Il vincolo di trasformismo Il Movimento delle giravolte e il fallimento del grillismo

Il non-partito di Beppe Grillo in meno di tre anni si è alleato con tutti i partiti (tranne Fratelli d’Italia), mostrando la sua natura qualunquista, da contrastare coniugando le forze europeiste e progressiste del Paese

Roberto Monaldo / LaPresse

Questa è una legislatura in cui quasi tutti i “prima” sono finiti smentiti o contraddetti dai relativi “dopo”.  Vale quasi per chiunque, quasi per qualunque leader e forza politica: per il Partito democratico, per la sinistra (semi)antagonista, per la Lega, per Forza Italia, ma in particolare proprio per il Movimento Cinque Stelle, che all’inizio del 2018 entrò trionfalmente in Parlamento, persuadendo un elettore su tre a votare per la propria onestà, coerenza, allergia al compromesso e “diversità” non solo dagli altri partiti, ma dai partiti in quanto tali, essendo allora, per autocertificazione, l’entità grillina una sorta di frattale politico, cioè una realtà geometrica identica a se stessa pure al variare delle dimensioni. Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.

Può essere il meetup della più sperduta provincia italiana o un gruppo parlamentare di maggioranza, ma la comunità grillina – questa era la promessa – non può che replicare se stessa e la propria incorruttibile qualità, nella medesima forma, in tutte le circostanze, insensibile alle lusinghe del Palazzo (di qualunque Palazzo). La futurologia totalitaria di Casaleggio senior appendeva a questo chiodo la conseguente pretesa di espandere la comunità fino ad ingoiare tutto e tutti, fino a fare della fattoria degli animali a Cinque stelle la forma dell’autogoverno definitivo della nazione, superando mediazioni istituzionali e ideologiche e rottamando parlamenti e weltanschauung.

Come è stato acutamente notato, questo non-partito, che non si sarebbe mai alleato con nessun partito, si è in meno di tre anni alleato con tutti i partiti (un record galattico), tranne i Fratelli d’Italia, solo perché questi ultimi si sono poco fraternamente sottratti all’indiscriminata alleabilità grillina.

In questo il Movimento Cinque Stelle non si è semplicemente contraddetto, ma si è sostanzialmente rovesciato (nel senso del calzino, metafora preferita degli eroi giustizialisti cari agli eroi pentastellati), commutando l’oltranzismo talebano in un pragmatismo “responsabile” da free rider delle istituzioni. La “scilipotizzazione” del Verbo, ecco.

Un po’ come se i brigatisti rossi, anziché provare ad abbattere lo Stato, per portarvi la rivoluzione proletaria, l’avessero occupato trasformandosi in una corrente della Dc e intonando supercazzole dorotee che nemmeno, in seguito, Forlani – però con la stessa voce stentorea che, da mediocri burocrati della morte, usavano per annunciare l’esecuzione delle sentenze dei nemici nel loro macabro e autoproclamato tribunale del popolo.

Come in tutte le esperienze totalitarie, anche in quella da operetta made in Grillo e Casaleggio, le idee sono intercambiabili e non contano niente, se non come pennacchi sulla punta del fucile. Si può cambiare il pennacchio, ma la sostanza rimane il fucile. Anche se è un fucile che anziché pallottole spara veleno, menzogne o cazzate. Si può stare con Farage o con la Van der Leyen, si può proporre un referendum per l’uscita dall’euro o al contrario un progetto di monetizzazione del debito da parte della Bce, ma l’unica cosa rilevante è l’idea di farlo contro qualcosa o qualcuno, di dimostrare uno spirito eroico e resistente contro un nemico immaginario.

Perché questo è stato in fondo il grillismo. Una declinazione provinciale, di straordinario successo, della (purtroppo) generalizzata prevalenza del “voto contro”. Non c’entra niente l’efficienza, la correttezza, la trasparenza, perché semplicemente non c’entra niente la realtà. La realtà ha un altro statuto morale, per i grillini irrilevante o inattingibile.

Quando si capirà che il cinquestellismo è stato solo il Frankenstein partorito dalla cattiva coscienza vittimistica della nazione, un’autobiografia inconfessabile delle nostre colpe, si riuscirà forse a coniugare europeismo e progressismo, responsabilità e buongoverno in un modo meno paraculo e inconsistente di quanto, in questi anni, sono stati in grado di consigliare un ex luddista convertito alla prestidigitazione digitale e il suo buonanima apprendista stregone di riferimento.

La ribadita centralità dell’asse Pd-M5s dimostra che siamo molto, moltissimo lontani da questa consapevolezza o da questa (qui ci vuole) onestà necessaria per leggere correttamente e liquidare per sempre questo fenomeno tossico.

Assistere in queste ore alle espulsioni per “deviazionismo” di deputati e senatori che imbracciano contro Grillo e Crimi il catechismo del “mai con…” è desolante, ma in fondo istruttivo, perché dimostra che il feticcio del vincolo di mandato non implica una dipendenza dall’impegno assunto con gli elettori, ma una subordinazione politica e morale degli eletti alle giravolte di chi comanda. È cioè anch’esso un artificio trasformistico in grande uso nel tempio della “volontà generale”, dove la ghigliottina dell’onestà e della coerenza non può che continuare a pieno ritmo, fino all’ultima capoccia e all’ultima giravolta.

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