Il Covid e le migrazioniAumentano gli sbarchi, ma dall’Italia in crisi andranno via anche i lavoratori stranieri

Secondo il rapporto della Fondazione Ismu, il fenomeno migratorio mostra segnali di «relativa stagnazione». E ci si aspetta un calo degli irregolari soprattutto a causa della «riduzione della forza trainante di un mercato del lavoro che quasi certamente faticherà a recuperare le posizioni, già non brillanti, dell’epoca pre-Covid»

(AP Photo/Pablo Tosco)

Non erano bastati i porti chiusi. Tantomeno la pandemia è riuscita a fermare gli sbarchi dei migranti in Italia. Secondo il rapporto annuale sulle migrazioni della Fondazione Ismu, il Covid-19 ha ridotto sì il numero di ricongiungimenti familiari e spostamenti per ragioni di lavoro, ma non le «migrazioni forzate» per motivi politici ed economici. Nonostante la ripresa degli arrivi via mare e via terra, però, il fenomeno migratorio nel nostro Paese mostra già da tempo i segnali di una fase di «relativa stagnazione». L’Italia è sempre meno attrattiva per gli stranieri: a gennaio 2020 erano quasi 6 milioni, in calo dello 0,7% rispetto all’anno prima. E questa tendenza sarebbe destinata ad accentuarsi con la crisi economica che il post-pandemia provocherà, innescando – spiegano da Ismu – anche la fuga degli stranieri regolari in cerca di fortuna verso altri Paesi.

Nel 2020 in Italia gli arrivi via mare sono stati 34mila, il triplo rispetto al 2019. Numeri, spiega il segretario generale dell’Ismu Vincenzo Cesareo, che «confermano la drammaticità di situazioni di pericolo e condizioni economiche che portano i migranti a spostarsi nonostante i rischi di contagio». Anche perché «le persone che arrivano tramite questi canali sono in viaggio da molti anni, ben prima della crisi economica e della pandemia», aggiunge Livia Ortensi, responsabile scientifico di Ismu. In più, la crisi economica dalla diffusione del virus costituisce a sua volta «un’ulteriore spinta a emigrare» da luoghi che avevano già condizioni di estrema povertà prima del Covid.

L’emergenza sanitaria, però, ha reso ancora più difficile realizzare i progetti di integrazione per chi arriva sulle nostre coste. I corsi di italiano, ad esempio, sono stati inizialmente sospesi. E i nuovi permessi di soggiorno, già in flessione prima del virus, nei primi sei mesi dell’anno si sono addirittura più che dimezzati (-57,7%). Così come si sono dimezzate le richieste d’asilo, che nel 2020 sono state 28mila contro le 44mila del 2019. Questo perché le restrizioni alla mobilità causate dalla pandemia hanno influito sugli spostamenti finalizzati alla richiesta di asilo o protezione umanitaria che avvengono attraverso le frontiere aeroportuali.

E per chi invece era già presente nel nostro Paese, l’emergenza ha messo in evidenza l’elevata percentuale dei migranti impegnati nella produzione dei servizi essenziali, nella filiera agroalimentare, nel settore sanitario e della cura e nella logistica. Ma nello stesso tempo «ha avuto l’effetto non soltanto di rivelare la precarietà e la vulnerabilità dei migranti sul mercato del lavoro, ma anche di rafforzarle», si legge nel rapporto.

«È stato più difficile proteggersi dal virus in quanto i migranti vivono spesso in condizioni abitative precarie e sovraffollate», spiega Cesareo. «Ma anche perché sono impiegati nei settori essenziali che richiedono il lavoro in presenza, dalla grande distribuzione all’agricoltura fino alla logistica, che sono quelli che hanno consentito al resto della popolazione di rimanere a casa».

Non solo. Visto l’alta concentrazione di lavoratori stranieri nei settori più in ginocchio, dal turismo alla ristorazione fino alle pulizie domestiche, la pandemia ha generato una impennata della povertà. Già prima del Covid, le famiglie povere di soli stranieri con figli minori erano cinque volte in più di quelle italiane. L’emergenza sanitaria ha peggiorato questa situazione. «La perdita del lavoro, spesso irregolare, ha comportato per molti la caduta in una situazione di totale indigenza», spiega Laura Zanfrini, responsabile del settore Economia e lavoro dell’Ismu.

Gli occupati stranieri hanno superato ad oggi i due milioni e mezzo. Secondo l’Istat, però, ben il 18,6% dei lavoratori senza regolare contratto nel nostro Paese è straniero. E nonostante i progressi nella partecipazione al sistema scolastico e accademico, oltre nove giovani lavoratori extracomunitari su dieci svolgono un lavoro a bassa qualifica o a bassa retribuzione.

E l’effetto della mini sanatoria del governo Conte due si è fatto sentire poco. Le domande in totale sono state 207.542, di cui 176.848 per lavoro domestico e assistenza alla persona, 30.694 nell’agricoltura, 12.986 per richiedere il permesso temporaneo di ricerca di lavoro. Ai primi posti tra le nazionalità che hanno proceduto alla regolarizzazione ci sono Pakistan, Bangladesh e Cina. «È evidente che scommette sulla fuoriuscita dalla irregolarità chi aveva già comunità numerose e integrate sul territorio», dice Ortensi. Anche se non si tratta di nazionalità particolarmente numerose nel comparto del lavoro domestico: elemento che fa pensare che «in tanti potrebbero aver approfittato di questi contratti per regolarizzarsi».

Nel 2020 gli irregolari sono calati sì, ma di poco: erano 562.000 nel 2019, sono scesi a 517.000 nel 2020, con una riduzione dell’8%. Ma al di là della sanatoria, i numeri di Ismu dicono che un terzo delle famiglie immigrate ad oggi sopravvive ancora grazie al lavoro irregolare, spesso sottopagato, proprio in quei settori che con la pandemia però si sono rivelati essenziali.

E se la didattica a distanza ha provocato disagi e lacune nell’apprendimento di molti studenti, questi effetti sono stati ancora più incisivi tra gli alunni stranieri, dove il tasso di abbandono scolastico è al 32,2% (contro l’11,3% italiano). «La chiusura delle scuole per un periodo prolungato ha inciso sulla fascia più debole della popolazione scolastica a cui spesso appartengono i ragazzi di origine non italiana», spiega Cesareo. Spesso senza un computer e senza connessione in casa, un sondaggio condotto da Indire nel mese di giugno 2020 ha confermato che i figli di famiglie migranti sono uno fra i gruppi più esclusi dalla dad.

Ora, con l’Italia destinata nei prossimi anni a lottare contro la crisi economica da Covid, per il futuro gli esperti dell’Ismu prevedono una riduzione ulteriore della presenza migratoria nel nostro Paese. «Nonostante la ripresa degli sbarchi – si legge – il fenomeno migratorio mostra i segnali di una fase di relativa stagnazione. Tale tendenza potrà accentuarsi anche con la crisi economica che il post-pandemia porterà con sé, rallentando gli arrivi e incentivando la mobilità degli stranieri e naturalizzati verso altri Paesi». In prospettiva, ci si aspetta un calo degli irregolari soprattutto a causa della «riduzione della forza trainante di un mercato del lavoro che quasi certamente faticherà a recuperare le posizioni, già non brillanti, dell’epoca pre-Covid».

L’Italia, insomma, sarà sempre meno attrattiva per i migranti che aspirano a una vita migliore. E se ci saranno molti meno stranieri in arrivo, in compenso la crisi economica incentiverà molti italiani e immigrati regolari a fare le valigie verso altri Paesi.

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