Il Wunderwuzzi ha perso il toccoIl mese tragico del Cancelliere austriaco Sebastian Kurz

Il Golden Boy del conservatorismo europeo, un tempo un punto di riferimento dei cristianodemocratici tedeschi, ha compiuto una serie di passi falsi. Dall’errore nell’acquisto dei vaccini al volo a bordo di un jet privato di un magnate austriaco dal passato non trasparente fino alle accuse di nepotismo sulla Öbag, un holding statale

LaPresse

Anche i maghi perdono il loro tocco. Il Wunderwuzzi (“mago miracoloso” o anche “ragazzo prodigio”) della politica austriaca, il Cancelliere Sebastian Kurz, non attraversa un periodo facile. Sia in patria che all’estero il periodo è complicato e i fronti aperti sono molti, dai vaccini sino alla possibile chiusura del Wiener Zeitung fino al caso Thomas Schmid. A questi si aggiunge anche la scelta del Cancelliere di tornare da Gerusalemme, dove aveva appena incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, a bordo di un jet privato di proprietà di un magnate ucraino dal passato non proprio trasparente. Per il Golden Boy della politica austriaca, un tempo un punto di riferimento in patria e anche all’estero, per esempio in Baviera dove la CSU lo ha sempre ammirato molto, il vento sembra essere improvvisamente cambiato.

I vaccini
«La distribuzione non sta avvenendo secondo i criteri della popolazione. Qui ci sono Stati che fanno accordi segreti con le case farmaceutiche per avere più dosi di vaccini». Un’accusa durissima quella formulata da Kurz in una conferenza stampa di metà marzo, dove ha accusato i vertici europei di non seguire le regole previste. Peccato però che nello steering committee i singoli partner Ue possono derogare alle quote stabilite e scegliere di cambiare, ma soltanto secondo alcune modalità stabilite. E Kurz si è mosso troppo tardi, quando ha capito che la sua strategia, impostata dall’inizio in gran parte su AstraZeneca e meno su Pfizer, non era corretta. Infatti, come hanno rivelato prima il segretario generale del ministero della Salute Ines Stilling e poi Clemens Martin Auer, vicepresidente proprio di quel comitato direttivo europeo che si è occupato di smistare i vaccini verso i Paesi, l’Unione ha offerto a tutti i Paesi una quota proporzionale alla popolazione di ciascun marchio di vaccino acquistato.

L’ultima decisione sull’acquisto spettava perciò agli Stati nazionali, che hanno poi pagato le quote prese mentre le altre sono finite in un fondo comune europeo. Nonostante Berlino avesse avvertito della necessità di acquistare più dosi del vaccino Pfizer-Biontech, molti Stati, tra cui l’Austria, hanno preferito AstraZeneca, di gran lunga più economico rispetto a quello tedesco. Risultato: l’Austria, che aveva acquistato rispettivamente il 100 e il 75 per cento dei lotti AstraZeneca e Pfizer proposti, si è ritrovata 1,4 milioni di dosi in meno del vaccino anglo-svedese.

Un problema chiaramente inimmaginabile all’inizio, ma su cui Kurz ha cercato di alzare il tiro scrivendo una lettera a Bruxelles insieme a Croazia, Bulgaria, Slovenia, Lettonia e Repubblica Ceca per chiedere una redistribuzione più equa. Non un bel modo di ringraziare l’Europa che aveva appena inviato a Vienna una dose extra di 100 mila vaccini per il Tirolo, dove gli impianti aperti avevano causato una risalita dei contagi. Una crescita costante che oggi si osserva in tutto il Paese: il virus, infatti, ha ripreso a correre visto che la media a 7 giorni è di 3282 casi al giorno, il triplo rispetto a due mesi fa. Eppure, la campagna di vaccinazione di Vienna procede bene: i dati, aggiornati al 28 marzo, registrano un 12,6 per cento di persone che hanno ricevuto una prima dose, pari a circa 1 milione e 113 mila abitanti, mentre il 4,6 per cento di Austriaci, cioè 412 mila individui, hanno già ricevuto anche la seconda puntura.

Numeri che pongono l’Austria al di sopra della media europea e anche di alcuni Paesi, come Francia, Germania e Italia. Non c’è perciò da sorprendersi se l’Europa abbia preferito sostenere i cinque Paesi firmatari della lettera, che avevano ricevuto meno dosi perché non potevano permettersele, lasciando invece a secco l’Austria, che ha cercato fino all’ultimo di bloccare questa redistribuzione, ma senza riuscirci. L’accordo con Israele ha ulteriormente messo ai margini Vienna, con il presidente del Consiglio Draghi che ha perentoriamente bloccato qualunque dose extra e la Cancelliera Merkel che ha evitato Kurz nel recente viaggio del suo omologo austriaco a Berlino, in occasione dell’Axel Springer Award di metà marzo. In questo senso vanno perciò letti i tentativi di Kurz di battere i pugni al tavolo dei negoziati, negoziando un milione di dosi del vaccino russo Sputnik e minacciando di bloccare l’anticipo di 10 milioni del vaccino Pfizer dal lotto di 100 milioni di dosi del quarto trimestre se Vienna non otterrà una quota di vaccini più consistente.   

A bordo dell’Oligarch Jet
Proprio il viaggio a Gerusalemme dal premier israeliano Netanyahu ha svelato un’altra figura opaca del mondo ÖVP che Kurz dovrebbe conoscere: si tratta dell’oligarca ucraino Dmytro Firtash. Infatti, se all’andata il Cancelliere austriaco ha sfruttato il passaggio aereo offertogli dalla premier danese Mette Frederiksen, al ritorno Kurz ha viaggiato con la sua delegazione su un jet privato di lusso prenotato tramite Avcon Jet. La proprietà del lussuoso mezzo è del miliardario ucraino, considerato uno dei preferiti di Vladimir Putin e ricercato negli Stati Uniti, dove è accusato di corruzione. Firtash, attivo come intermediatore nel settore del gas naturale e con molte amicizie dentro Gazprom, viene visto in Ucraina come uno dei burattinai di alcuni ex presidenti, come Viktor Yushchenko e Viktor Yanukovich, e dell’attuale sindaco di Kiev, il liberale Vitali Klitschko, ex pugile detentore del titolo WBC. Da diversi anni, tuttavia, Firtasch è bloccato a Vienna: non può tornare in Ucraina, dove rischia l’arresto, e la FBI lo marca stretto, considerandolo come figura chiave in grado di raccontare gli accordi sul gas conclusi negli ultimi anni tra Mosca e Kiev.

Finora, tuttavia, gli avvocati di Firtasch sono riusciti a impedire che l’Austria estradasse il loro cliente, nonostante vanti più di qualche tentativo di arresto e una cauzione dal valore di 125 milioni di euro, la più alta nella storia della Repubblica d’Austria, pagata dopo il primo, datato 2014. L’oligarca ucraino ha ormai stabilito importanti legami a Vienna, dove conosce uno più grandi donatori dell’ÖVP, Alexander Schütz, a cui è intestata la casa in cui vive, ma anche l’ex ministro della giustizia Wolfgang Brandstetter e il padre politico di Kurz, Michael Spindelegger, legati a Firtasch grazie alla fittizia Agenzia per la modernizzazione dell’Ucraina.

Il caso Thomas Schmid
Come se non bastasse, negli ultimi giorni sia Kurz che il ministro delle finanze Gernot Blümel hanno dovuto affrontare la richiesta di dimissioni da parte dei partiti di opposizione, che li accusano di nepotismo. È infatti in corso un’inchiesta parlamentare sulla Öbag, un holding statale austriaca, che nel 2019 avrebbe visto una procedura poco chiara per l’assegnazione del posto di amministratore ottenuto da Thomas Schmid, uomo di fiducia del Cancelliere. Ha infatti lavorato per molti anni al ministero delle Finanze, prima come capo di gabinetto, poi come segretario generale. Nel 2017 è stato incaricato di trasformare la holding statale Öbib (poi diventata Öbag) in una società per azioni e nel farlo ha potuto scegliere il consiglio d’amministrazione, dove ha trovato un posto per stesso.

Di tutto questo si dice che fossero informati sia Blümel che lo stesso Kurz, che però hanno sempre negato qualsiasi coinvolgimento in questa faccenda, anche se alcuni messaggi sembrano provare il contrario. La posizione di Schmid è di assoluto spessore: Öbag, infatti, gestisce azioni dello Stato, dal valore di 26 miliardi di euro, in importanti società quotate come OMV, Telekom Austria, Post e Verbund.  Non è un caso che una simile cassaforte offra spesso importanti posti statali nelle partecipate a cui aspiravano alcuni politici dell’ÖVP, finiti fuori dalle istituzioni. Uno scandalo che ha fatto parecchio rumoreggiare sia l’opposizione della SPO che i Verdi, partner di governo dei popolari, che hanno chiesto a Schmid «di dimettersi, per evitare danni maggiori alle società, In queste condizioni non può svolgere il suo lavoro».

La chiusura della Wiener Zeitung
In un simile contesto non poteva mancare la scomparsa del più antico quotidiano del mondo. Il Wiener Zeitung, nato l’8 agosto 1703, quando ancora il ricordo dell’assedio ottomano di Vienna del 1683 era piuttosto vivo e Leopoldo I d’Asburgo governava il Sacro Romano Impero, rischia infatti di avere i giorni contati. «Chi deve decidere non ci dà la sensazione che quello che stiamo facendo qui sia assolutamente degno di essere preservato», ha dichiarato al tedesco Spiegel Walter Hämmerle, caporedattore della Wiener Zeitung. Motivo del contendere è l’abolizione degli annunci formali, come posti di lavoro pubblici e modifiche nel registro del commercio, voluta dal governo, editore del giornale.

Per il giornale questo significa perdere 18 milioni di ricavi e costringere i suoi 45 giornalisti a dover lasciare la redazione. «Con la necessaria volontà politica, la sopravvivenza di questo piccolo ma raffinato quotidiano della Repubblica potrebbe essere assicurata», assicura Hämmerle. Il giornale, infatti, che ha circa 10 mila lettori durante la settimana, li quadruplica durante il weekend: un numero sostanzioso ma inferiore rispetto a quello dei tabloid, che hanno cifre ben sostanziose ma anche un considerevole aiuto pubblico.

A sostegno del Wiener Zeitung si sono mosse importanti personalità del mondo politico e culturale, come l’ex presidente federale Heinz Fischer e la presidente del Festival di Salisburgo, Helga Rabl-Stadler, che hanno firmato una petizione, arrivata già a oltre 3 mila e 300 firme, per chiedere che il giornale continui. Per salvarlo potrebbe bastare anche un passaggio in mano privata. Secondo Hämmerle, «un cambio di proprietà non sarebbe una fine. Il nome Wiener Zeitung è un buon marchio che può attirare sicuramente investitori. Spero solo che finita l’ondata di indignazione il giornale non esali l’ultimo respiro: non voglio essere l’ultimo caporedattore di una storia lunga più di tre secoli».

 

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