Il titolo è già un programma: “Non vedremo Benno in galera”, ed il contenuto del pezzo sulla Stampa non delude. Gianluigi Nuzzi conosce il suo pubblico di gente dallo stomaco forte. Ed infatti è la pancia che lui evoca : «Prepariamoci il cuore e soprattutto lo stomaco, Benno Neumair pur avendo ammazzato, lo scorso 4 gennaio, i genitori Laura e Peter per poi passare la notte con un’amica, non sconterà alcun ergastolo, non subirà alcuna lunga detenzione. Sia i difensori, sia la procura della Repubblica hanno chiesto al giudice di sottoporre il giovane altoatesino a perizia psichiatrica. Il che tradotto dal linguaggio dei tribunali – continua Nuzzi- significa che entrambi sono affatto certi che quando il ragazzo ha ammazzato papà e mamma non fosse capace di intendere e volere».
Traducendo dal rozzo linguaggio “de panza”: questo qua, grazie ai soliti cavilli da avvocati, la farà franca. Un manifesto alla forca di rara efficacia più o meno come quello approntato dallo stesso giornalista per la famiglia Ciontoli e che preannuncia una nuova crociata: il bersaglio è il giovane altoatesino assassino dei suoi genitori, immortalato nelle pose da culturista che ne certificano lombrosianamente, per le tricoteuses dei talk show, lo stato di mostro.
Qualcuno tranquillizzi Nuzzi: ben difficilmente il “disturbo narcisista di personalità” che ci viene descritto nei racconti di familiari ed amici del giovane condurrà al riconoscimento di una totale infermità di mente, (che comporterebbe comunque l’internamento in un ospedale psichiatrico non certo la libertà) ma non è questo il punto.
Colpisce, piuttosto, che venga esposta in prima pagina, su di una prestigiosa testata espressione della borghesia progressista, una esposizione così assolutamente grossolana di una tragedia.
A fronte di essa l’unica risposta che il pensiero “alla Nuzzi” fornisce è l’invocazione “in galera”, come in una celebre macchietta del nostalgico fascista di Franco Bracardi molti anni fa, che vi seppe cogliere un tratto perdurante della psicologia nazionale: la violenza repressa mascherata da bisogno di ordine.
In realtà le cose sono un tantino più complesse: e senza rifugiarsi nella solita retorica “buonista” che ai domatori della serate televisive fa (anche giustamente) ribrezzo, ci limitiamo a qualche esempio.
Le cronache hanno già raccontato stragi familiari altrettanto efferate. Una in particolare è rimasta scolpita nella memoria: accadde giusto vent’anni fa a Novi Ligure, due adolescenti Erika ed Omar massacrarono barbaramente la madre ed il fratellino di lei. Confessarono senza mostrare pentimento dopo aver provato ad accusare degli extracomunitari (già si iniziava).
L’unico sopravvissuto era il padre della ragazza, un uomo come tanti, un dirigente d’industria, cittadino medio rimasto solo davanti alle macerie della sua vita. Merita che si ricordi il suo nome: Francesco Di Nardo non andò a piangere nei talk show, non rilasciò interviste, non invocò giustizia e torture né sulla figlia né sul suo complice, di lui non si hanno foto, ma restò accanto ad Erika, andò a visitarla in carcere, l’ha aspettata senza abbandonarla.
Oggi lei è uscita, (purtroppo per Nuzzi, per i mostri minorenni non è previsto il carcere a vita) convive coi suoi demoni ed i ricordi, ma vive la sua vita anche grazie ad un eroe civile che tutti hanno preferito dimenticare: suo padre. Si può pensare come si vuole, ma la storia incredibile di Francesco Di Nardo dimostra che un approccio diverso al problema della pena e del carcere esiste.
Invece dobbiamo registrare con preoccupazione che le soluzioni populiste e di pancia nel campo della giustizia penale ormai vengano fatte proprie anche da opinion maker pronti a sventolare su altri campi, ad esempio l’immigrazione, un approccio tollerante. Esiste evidentemente, anche nel campo cosiddetto progressista una forte fascinazione verso le soluzioni autoritarie di problemi complessi, esattamente lo stesso atteggiarsi che abitualmente il bravo e raffinato commentatore “de sinistra” rimprovera ai rozzi populisti alla Meloni.
È questa una postura intellettuale che si è rivelata dannosa in passato e che ha portato una rilevante fetta della stampa nazionale ad appoggiare modelli giustizialisti come l’intramontabile Piercamillo Davigo, ancora ospite richiestissimo nei talk show, ancorché in pensione e dopo che il TAR ha rigettato come irricevibile la sua pretesa di restare sulla poltrona del CSM anche da ex magistrato.
Capita così di assistere all’incredibile spettacolo di un intellettuale come Carlo Cottarelli, estatico di fronte a Davigo, che pone il problema della certezza del diritto pure per il parcheggio in doppia fila (confondendo violazioni amministrative e penali).
Certamente fa riflettere come anche un bravo democratico avverta forte il problema della sicurezza sociale nonostante le statistiche registrino una drastica riduzione dei crimini più gravi e ridimensionino fenomeni come la corruzione.
Sicuramente però l’opinione progressista deve riflettere su come il fiancheggiamento di un certo autoritarismo giudiziario (i vari PM eletti ad eroi) e di soluzioni esclusivamente repressive abbia agevolato la degenerazione del sistema giudiziario alimentato dal senso di onnipotenza e di impunità di alcuni magistrati favoriti dall’assoluta mancanza di controllo critico proprio da parte della stampa e della politica democratica.
Un problema che le prime pagine concesse dai giornali progressisti ai commentatori populisti evidenziano nella sua preoccupante attualità.