Base culturaleLo Stato deve fornire le infrastrutture e chi opera sul territorio le idee

Nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza sarà opportuno distinguere bene tra il ruolo dello Stato (che, ad esempio, dovrà adoperarsi per incrementare in ogni zona del Paese la qualità dei trasporti e dell’accesso a internet) e quello dei cittadini e del terzo settore, che potranno approfittare di questa “piattaforma” costruita dall’intervento pubblico per investire nella creazione di un’offerta locale capace di differenziare i flussi turistici

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Smaltito l’hangover degli inni ai balconi e con il perdurare delle condizioni di emergenza imposte dalla pandemia, l’Italia pare aver perso quella verve del #distantimauniti e delle politiche condite all’hashtag di turno e aver lasciato il passo a una stanchezza, mediatica e umana, e a un atteggiamento di semi-indolenza nei confronti di tutto ciò che oggi dovrebbe rappresentare un catalizzatore naturale di energie: la ripartenza.

Il cambio di esecutivo ha impresso all’intera dinamica della gestione dell’emergenza un sostanziale cambio di stile, riportando la gestione dell’emergenza e la scelta delle attività all’interno di una più marcata cornice istituzionale. Scelta in parte dettata dalle caratteristiche del governo, in parte dall’esigenza di ridurre il “rumore di fondo” che ha contraddistinto molti degli ultimi mesi, in parte perché, almeno in queste prime fasi, questo governo pare contare su una maggiore stabilità e quindi essere meno suscettibile a dinamiche interventiste delle forze politiche.

Del resto, Mario Draghi, conosce bene gli effetti dei comunicati ufficiali e già in passato ha mostrato più volte, come ad esempio nella vicenda del quantitative easing, di saper ben maneggiare quel particolare equilibrio tra aspettativa e comunicazione e rendere così più efficaci le strategie, anche attraverso l’effetto indiretto generato sui mercati, non da ultimo quello finanziario.

Quello cui gli italiani si devono dunque abituare è un’interpretazione della “comunicazione” come strumento di rendicontazione piuttosto che di “annuncio”, e con tutta probabilità questa strategia verrà adottata anche in termini di ripresa e resilienza. Ci si riferisce, ovviamente, al famoso Pnrr, vale a dire al Piano nazionale di ripresa e di resilienza su cui la squadra istituzionale istituita dal governo è al lavoro in questi giorni e in merito al quale le uniche informazioni certe sono quelle diffuse dallo stesso Draghi in termini di obiettivi programmatici al Senato, ormai un mese fa.

«Come si è ripetuto più volte, avremo a disposizione circa 210 miliardi lungo un periodo di sei anni. Queste risorse dovranno essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita della nostra economia. La quota di prestiti aggiuntivi che richiederemo tramite la principale componente del programma, lo strumento per la ripresa e resilienza, dovrà essere modulata in base agli obiettivi di finanza pubblica».

In quella sede Draghi ha altresì annunciato di non voler stravolgere «l’importante lavoro» condotto dal precedente governo, ma di voler intervenire, piuttosto, da un lato sulle strategie, sulle riforme e sugli obiettivi di medio e lungo termine, e dall’altro sulla selezione di progetti che possano essere correttamente conclusi nell’arco dei sei anni.

«Le missioni del programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva».

In questo quadro programmatico, diviene dunque essenziale comprendere quale ruolo possano effettivamente giocare i futuri investimenti in tema di cultura, turismo, incremento delle competenze e della competitività economica, e come tali misure possano integrarsi in uno scenario ampio, al fine di tutelare anche, e soprattutto, l’equità territoriale.

Tale questione diviene ancor più importante se si considera la visione rigorosa che l’attuale esecutivo ha del ruolo dello Stato, puntualmente rimarcata all’interno delle sue dichiarazioni: «Compito dello Stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione».

Visione che potrebbe avere delle modifiche importanti soprattutto nel settore culturale, in cui il nostro Paese ha mostrato, negli ultimi anni, una spiccata propensione interventista.
Con riferimento a tali settori, ciò che è lecito dunque aspettarsi dal Pnrr riformulato è un piano programmatico che veda un’importante differenza tra investimenti in termini di spesa pubblica e il ruolo dei privati e del terzo settore.

Quanto più netta e chiara sarà tale differenza, anche in termini operativi, tanto più efficaci saranno gli effetti che le singole azioni potranno avere sulla produzione e sul consumo di cultura, in termini di ritorni economici per le imprese, in termini di occupazione e, naturalmente, in termini di partecipazione della cittadinanza.

Una netta divisione tra il ruolo dello Stato e quello delle altre componenti della società civile, infatti, non potrà che ripercuotersi in un’altrettanto netta separazione tra “patrimonio culturale” e “offerta culturale”, che definendo meglio regole e deleghe permetta di superare le zone grigie di sovrapposizione tra ruolo pubblico e ruolo privato.

Queste dimensioni saranno ancor più importanti nella definizione delle azioni rivolte alla riqualificazione del territorio. La logica di “equità territoriale” infatti, supera il perimetro della “questione meridionale” e coinvolge direttamente una riflessione sui territori “interni” oggi in grave difficoltà ma che potrebbero, con un’adeguata strategia di investimenti infrastrutturali, essere una delle principali leve di sviluppo per il nostro Paese.

Interventi volti a incrementare la dotazione infrastrutturale in termini di trasporti e di accesso alla rete internet, accompagnati da azioni volte a favorire la nascita di un’offerta culturale territoriale, potrebbero infatti non solo avere effetti positivi sul nostro turismo, che vedrebbe così moltiplicare un’offerta di qualità e quindi una grande opportunità di diversificare i flussi turistici in entrata nel nostro Paese, ma potrebbe altresì avere effetti positivi sulla cittadinanza, con un tendenziale calo dei flussi migratori interni e l’affermazione di nuovi stili di vita nel lungo periodo.

La strada per poter ottenere questi risultati strategici, tuttavia, passa da interventi che dovranno necessariamente imporre al nostro sistema di creazione del valore una piccola rivoluzione: lasciare che gli investimenti pubblici si concentrino sulle azioni infrastrutturali, condizione propedeutica a qualsivoglia investimento privato (individuale o organizzativo), definire con esattezza i risultati attesi da tali interventi infrastrutturali e definire le modalità dirette (incentivi e azioni di co-partecipazione) e indirette (agevolazioni fiscali, al fine di favorire l’emersione di interventi privati in tale direzione).

In questa strada, l’ostacolo più grande, il reale crocevia, è quello di dotare il nostro sistema Paese di strumenti che consentano di fare in modo che queste linee guida vengano rispettate in tutta la filiera territoriale. Nella nostra storia recente, infatti, sono stati frequenti i casi, soprattutto nei settori culturale, turistico e di sviluppo del territorio, in cui un principio affermato (attraverso leggi e/o interventi di finanza pubblica) a livello centrale è stato poi distorto a livello decentrato (regolamenti, bandi, gare, ecc.).

Quali che saranno gli interventi contenuti dal Pnrr, sarà necessario rompere questa logica del “telefono senza fili” e ritrovare, finalmente, una coerenza tra intenti e intenzioni e tra obiettivi e strumenti.