Formazione strategicaIl successo del Recovery Plan passa dall’Università

Grazie al partenariato pubblico-privato gli atenei italiani possono sviluppare un processo innovativo fondato sull’integrazione dei saperi, l’interdisciplinarietà della ricerca e l’interconnessione tra sistema scolastico e accademico

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Le sfide poste dal piano Next Generation Eu, come si evince anche dalle indicazioni espresse in ambito europeo, spingono il nuovo ordine economico dal paradigma del profitto a quello del benessere sociale. Per questo motivo occorre riflettere sulle competenze che servono per portare a compimento la strategia nazionale sullo sviluppo industriale 4.0 e attuare il Recovery Plan.

La transizione digitale e ambientale orienta la formazione e la ricerca verso la costruzione di competenze nell’ambito delle discipline Stem (acronimo di science, tecnology, engineering and mathematics), quelle che garantiranno maggiori possibilità di carriera e condizioni economiche più elevate. Ma è altrettanto vero che affinché l’evoluzione tecnologica e digitale possa svilupparsi a servizio del progresso sociale, in termini di uguaglianza, inclusione, accessibilità ai servizi universali ed effettività dei diritti fondamentali, è necessario potenziare le competenze anche sul fronte delle aree umanistiche e sociali.

In questo scenario, l’Università è destinata ad assumere un ruolo strategico, non solo nell’esercizio delle funzioni tradizionalmente svolte – come la ricerca e l’alta formazione – ma anche, e soprattutto, come soggetto istituzionale che dialoga con la società contribuendo al suo sviluppo sociale, culturale ed economico, e ponendosi, quindi, come punto di raccordo tra imprese, società civile e territorio.

L’Università, infatti, sta diventando sempre più spesso la sede istituzionale privilegiata per sperimentare nuovi modelli di partenariato pubblico-privato, spingendo la ricerca e l’alta formazione al servizio delle esigenze di sviluppo sociale del territorio in cui opera. Ed è proprio attraverso questa Terza missione che il sistema universitario può sviluppare un processo innovativo nella costruzione delle competenze, che tenga conto dell’impatto sociale che le stesse sono in grado di produrre nella realtà in cui operano.

Per raggiungere tale obiettivo occorrerebbe, perciò, investire su tre azioni: la trasversalità dei percorsi formativi; la interdisciplinarietà della ricerca; la connessione del sistema di formazione scolastica con quello universitario.

La prima azione richiederebbe una revisione sistematica delle classi di laurea, per rendere i corsi universitari performanti rispetto alle competenze del futuro. La seconda azione, invece, dovrebbe spingere gli investimenti pubblici su temi di ricerca in grado di integrare i saperi e i bisogni a cui tali saperi sono funzionali.

Sì che, tanto per fare un esempio, il prodotto tecnologico non dovrebbe essere progettato solo in funzione delle esigenze di mercato, ma dell’impatto sociale che lo stesso potrà produrre in termini di benessere sociale, richiedendo a tal fine, il supporto scientifico della ricerca prodotta in altri ambiti disciplinari, come quelli delle scienze umane e sociali.

Infine, le nuove competenze necessarie per attuare gli investimenti previsti nel Recovery Plan non possono che radicarsi nell’ambito di un percorso formativo che si sviluppa a partire dai programmi di istruzione svolti nelle scuole primarie e secondarie.

Particolare attenzione, quindi, dovrà essere posta alle misure di contrasto all’abbandono scolastico, il cui tasso sarà molto elevato per effetto della modalità di didattica distanza adottata durante la pandemia, e all’opportunità di modificare i programmi scolastici nei contenuti e nei modelli pedagogici, per adeguarli, anche in chiave digitale, alle nuove frontiere della formazione e delle competenze di cui ha bisogno il Paese.

Ciò al fine di adeguare il sistema formativo ad un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla centralità della persona e sui valori fondamentali per il pieno sviluppo della sua personalità, come merito, dignità, rispetto, senso di appartenenza, accessibilità, inclusione sociale, valorizzazione delle differenze.

Valori che, nel saggio dell’economista Paul Collier, “Il futuro del capitalismo”, sono considerati fondamentali per affrontare le storture del capitalismo, sostituendo alla massimizzazione del consumo, la ricerca della stima sociale, più adatto a comprendere le varie sfaccettature della psicologia umana.

Questa prospettiva, non solo è pienamente condivisibile, ma si pone in armonia con quella visione economica evocata da Papa Francesco al Forum di Assisi, (The Economy of Francesco), che invita a superare l’attuale modello, fondato sui profitti come unità di misura, per puntare su politiche pubbliche che tengano in adeguata considerazione il costo umano, sociale e ambientale delle scelte economiche.

Tutto ciò conferma, quindi, che le risorse del Recovery Plan costituiranno una grande opportunità se si porrà al centro degli investimenti strategici e infrastrutturali la formazione del Capitale umano, valorizzando il ruolo strategico che le Università possono svolgere, come ascensore sociale e motore di sviluppo territoriale nelle aree in cui operano, specialmente in quelle del Mezzogiorno.

* Margherita Interlandi è giurista, avvocato e professore ordinario di Diritto Amministrativo. Esperta di pubblica amministrazione, intelligenza artificiale e diritti fondamentali.

 

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