Digitalizzazione, innovazione competitività del sistema produttivo, transizione ecologica, salute, infrastrutture per la mobilità, istruzione e ricerca, inclusione ed eguaglianza sociale e territoriale, sono gli obiettivi strategici indicati nel Piano Next Generation EU, condivisi dal nostro Paese. Sino ad ora si è molto discusso di “come spendere” i circa 200 miliardi di euro destinati all’Italia. Si è poco discusso su “cosa fare” per realizzare gli obiettivi del Piano.
Nonostante la svolta impressa dal Governo Draghi, ciò che si profila è l’ipotesi di adottare Piani nazionali elaborati dai ministeri competenti e coordinati dal ministero dell’Economia. Una governance quindi molto centralizzata che non dovrebbe escludere il confronto con le organizzazioni di rappresentanza se non si vuole proseguire lungo la nefasta strada della disintermediazione. Le Regioni e i Comuni sono stati invitati a predisporre i propri programmi, pur in assenza di un quadro di riferimento chiaro.
Sullo sfondo, ma non per questo meno rilevante, il ruolo del Parlamento che dovrà esaminare ed approvare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il grande assente nel dibattito pubblico riguarda le politiche territoriali. Manca ancora una strategia in grado di disegnare e avviare con i Comuni una governance di attuazione che promuova l’integrazione dei progetti nel territorio e assicuri la partecipazione della società organizzata. I territori hanno un ruolo cruciale, non solo perché gran parte degli obiettivi della Next Generation EU si potranno raggiungere a questa scala ma anche perché, con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si dovrà realizzare una strategia di sviluppo sostenibile in grado di affrontare le disuguaglianze sociali e territoriali che ancora caratterizzano il nostro Paese.
Se manca da decenni una organica politica di sviluppo a scala territoriale, è legittimo domandarsi se questo gap si potrà colmare nel poco tempo che ci è assegnato per perseguire gli obiettivi della Next Generation EU. Il passato prossimo delle politiche territoriali è contrassegnato dai Programmi delle politiche di coesione 2014/2020 orientate verso le città metropolitane (PON Metro) e la Strategia Nazionale delle Aree Interne. È mancato quindi un pezzo fondamentale: misure organiche per le città intermedie che rappresentano il tessuto vitale del sistema economico e sociale del Paese con una popolazione che sfiora il 30%.
Se agli inizi di questo secolo abbiamo concentrato le nostre attenzioni sulle megalopoli, “le città mondo”, con il tempo abbiamo scoperto che esse contengono circa il 3% della popolazione mondiale. E se è vero che rappresentano i più importanti insediamenti di capitali, di economie sviluppate e di centri di innovazione, ora stiamo scoprendo che la qualità della vita di quelle comunità è fortemente compromessa da alti livelli di inquinamento e da disparità sociali che investono ampie fasce di popolazione.
L’interesse diffuso per i temi legati all’ambiente, alla difesa della natura e dell’equilibrio dell’ecosistema, evidenziati con la pandemia, possono contribuire ad allargare il nostro orizzonte e aprire la strada a nuovi protagonisti. Per oltre un decennio si è ritenuto che si potessero polarizzare le politiche di sostegno nelle aree più avanzate o comunque con un potenziale più alto di sviluppo possibile (le aree metropolitane) e in quelle strutturalmente più deboli (le aree interne, i piccoli centri) a rischio di progressivo abbandono e di declino economico.
Queste valutazioni sono state comuni a governi di diverso orientamento politico, senza quindi soluzione di continuità. È sembrata prevalere l’idea che i grandi capitali, le grandi imprese, come è avvenuto in alcune parti del mondo soprattutto asiatico, fossero particolarmente attratte dalle grandi metropoli, considerate come gli ambienti più favorevoli ad uno sviluppo accelerato dell’economia e dei servizi avanzati.
Allo stesso tempo però, soprattutto in Europa, dove permangono estese aree in ritardo di sviluppo (fra queste le aree interne, di montagna e i piccoli centri), si è ritenuto che dovessero essere impegnate importanti risorse pubbliche per salvaguardare i livelli minimi di vivibilità e rilanciarne lo sviluppo. In mezzo il vuoto. È mancata una qualunque analisi, e politiche conseguenti, riferite a quel tessuto, soprattutto italiano ma di rilievo in tutta Europa, rappresentato dal sistema reticolare delle città intermedie.
Si è sottovalutato che un Paese, una economia, una società si nutrono di interdipendenze. Ed è mancato il coraggio, la capacità di scoprirle e di governarle. E se è innegabile che i processi di cambiamento e di modernizzazione spesso si condensano in alcuni luoghi (vedi Milano), è altrettanto vero che quegli stessi processi si diffondono con fatica, con tempi e modalità differenti. Per tali ragioni servono politiche economiche strategiche di medio periodo capaci di accompagnare la valorizzazione delle vocazioni territoriali per connetterle in un disegno armonico dello sviluppo, ricomponendo le faglie determinate dalla crescita di alcune aree a scapito di altre.
In questo contesto si colloca il ruolo delle città intermedie che, nell’ultimo decennio, hanno cominciato a svolgere un ruolo di città–piattaforma, città-territorio, come le definisce Aldo Bonomi, sia sul piano dei processi economici e sociali reali che su quello delle politiche pubbliche e della governance, cooperando con i centri centri di prossimità e svolgendo un ruolo di leadership di area vasta.
Sono una conferma che non esiste smart city senza smart land. Per questo rappresentano un esempio virtuoso a cui riferirsi, soprattutto dopo questa lunga crisi pandemica. La Next Generation EU può essere quindi una straordinaria occasione per definire una Agenda Urbana Nazionale, incardinata sui temi più coerenti con la strategia europea, che si articoli lungo tre assi: le aree metropolitane, le città intermedie, le aree interne e i piccoli centri. In questo contesto è possibile, è necessario affidare alle città il compito di favorire l’integrazione nel territorio dei progetti riferiti agli obiettivi della Next Generation EU e delle Politiche di Coesione 2021/2027, assicurando la partecipazione della società organizzata.
Solo in questo modo avremo disegnato politiche organiche di sviluppo sostenibile a scala urbana, andando oltre la logica di interventi parcellizzati realizzati attraverso il nefasto sistema dei “bandi pubblici” organizzati per singole misure. Le Agende Urbane possono essere valutate, nella loro fattibilità e coerenza con gli obiettivi europei, dal Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane (CIPU), mettendo le politiche territoriali al centro di un moderno sviluppo del Paese, coerente con gli obiettivi della Next Generation EU.
In altri termini, poche misure nazionali orientate a colmare i divari territoriali in materia di digitalizzazione, salute, infrastrutture per la mobilità, istruzione e ricerca e ampio spazio a politiche territoriali con le città impegnate a svolgere un ruolo autonomo per lo sviluppo sociale ed economico del Paese, sostenute da una rinnovata Strategia delle Aree Interne, alla luce di una più globale sfida che coniuga dimensione urbana e territoriale e sviluppo sostenibile.
Ledo Prato-Segretario generale Mecenate 90