Pablo Iglesias, leader di Podemos, s’annoiava. S’annoiava proprio tanto. Quella vita non faceva per lui. Secondo Vicepremier del Governo spagnolo è un gran titolo da mettere sul proprio biglietto da visita, sì, ma vicepremier con quale delega? Entriamo nel dettaglio: vicepremier con delega ai Diritti Sociali e all’agenda 2030. Mi dispiace non poter spiegarvi cos’è l’Agenda 2030, ma in Spagna non l’ha capito ancora nessuno.
“Diritti sociali” è un concetto che fa sempre figo, soprattutto a sinistra, ma in realtà non conferiva a Iglesias nessuna capacità politica di incidere sulle scelte degli altri ministeri. Il premier socialista Pedro Sánchez aveva disegnato un incarico altisonante semplicemente per “legare” il suo socio-avversario. E ci era riuscito. Iglesias, quindi, non aveva un granché da fare. Nessuna legge firmata da lui, sempre meno protagonismo, sondaggi pessimi e la tendenza a mettere su quella “pancia da casta” che era venuto a combattere.
Di colpo, ieri, è arrivato il colpo di scena.
La leader del Partito Popolare (Pp) nella regione di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, la più a destra dei moderati, ha anticipato le elezioni regionali convinta di ottenere la maggioranza assoluta. O, almeno, di poter governare assieme all’estrema destra di Vox, ma senza i centristi oramai quasi spariti di Ciudadanos. La sua vittoria sembrava scontata. E Pablo Iglesias non aveva nulla da dire. Strano.
Così, Iglesias ha telefonato a Pedro Sánchez pochi minuti prima di fare un annuncio che cambierà la politica spagnola: lascerà il governo e sarà il candidato di Podemos alle elezioni di Madrid. Non è stato solo poco leale con il premier. Sempre arrogante, si è permesso anche di dire pubblicamente chi dovrebbe scegliere Sánchez come nuova vicepremier: Yolanda Díaz, che oggi è ministro del lavoro e dovrebbe essere anche la candidata capolista di Podemos alle prossime politiche.
Iglesias è un politico da combattimento che al suo ministero si sentiva chiuso in una gabbia d’argento. Uno stratega abile nella conquista del potere ma anche incapace di gestirlo. Un po’ come se qualcuno avesse chiesto a Gabriele D’Annunzio di fare il bibliotecario negli anni Venti visto che di libri se ne intendeva.
Il vecchio leader degli Indignados non ha combinato nulla al governo. Non ha lasciato nessuna impronta. E rimpiangeva i suoi giorni in trincea, le giornate passate tra un’intervista e l’altra, i comizi qua e là. Gli mancava la sfida quotidiana, avere ogni mattina una cima da conquistare, incassare ogni giorno una pallottola per ricordare di essere vivo. Ma forse Iglesias ha dimenticato che la pancetta “made in casta” si vede tanto quanto la goffaggine di un cinquantenne in discoteca.
In questo momento, si può dire senza paura di sbagliare che Pablo Iglesias sia l’uomo più odiato della Spagna. Di sicuro, della Spagna di destra. E anche in gran parte di quella di sinistra. Non rimane nemmeno un pizzico di quel leader fresco, con un modo di parlare diverso, trasversale, che si diceva «né di destra né di sinistra».
Ormai, ha espulso dal partito tutti quelli che hanno osato dirgli di no. Ha fatto diventare ministro sua moglie, Irene Montero. È il leader in crisi di una formazione post comunista classica con una dose elevata di populismo. Ma, soprattutto, aveva promesso che non sarebbe uscito dal suo quartiere operaio, Vallecas, mentre vive in una villa di 300 metri quadri con piscina e un giardino di altri 2000 metri quadri, a nord ovest di Madrid. Non proprio il simbolo di un rivoluzionario.
La sua candidatura non è solo una conseguenza della sua natura guerriera. C’era in bilico quasi l’esistenza di Podemos. Nei comizi di Madrid c’è una soglia del 5%. In certi sondaggi, Podemos era dato al 4,9%. Scomparire dell’orizzonte politico della regione più importante, dopo essere sparito in Galizia, dimezzato nei Paesi Baschi e aver perso più di 100mila voti nella Catalogna, sarebbe stato anche il primo passo verso la fine del suo movimento.
Ma allora, è una buona idea? Di sicuro torna al centro della scena. Ma non è detto che questa mossa, che alcuni hanno considerato “suicida”, finisca bene per lui. Cerchiamo di capire la situazione politica al di là di Podemos.
La presidente di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, è la stella nascente della destra. Ma anche una che a volte farebbe arrossire Giorgia Meloni. Ieri mattina, prima di sapere che Iglesias sarebbe stato il suo avversario, ha detto: «Se ti danno della fascista sei dal lato giusto della Storia». Sì, è la leader della destra moderata.
Nata come una Thatcher tascabile e oramai dipinta come una follower di Trump, è una che dice come la pensa ed era felicissima di conoscere il nome del suo nuovo avversario: «Questa, la Spagna me la deve. Ho tirato fuori Iglesias dal governo». Mentre la destra preparava già i popcorn per la campagna che arriva, lei ha detto che avrebbe cambiato il suo slogan di campagna, durato solo 4 giorni.
Dal semplicistico «Socialismo o libertà» a uno non molto più moderno: «Comunismo o libertà». Capirete già che la politica spagnola non è proprio un florilegio di sfumature e finesse intellettuale.
La destra è quindi incantata. A sinistra, invece, la situazione è difficile da descrivere. I socialisti, guidati da un rettore di università “old style”, Angel Gabilondo non vinceranno. Ma c’è un’altra formazione, Más Mádrid, che incarna una sinistra più aperta, moderna ed ecologista, abbastanza forte nella regione, che ha raggiunto il 14,6% alle ultime regionali (contro i 5,4% di Podemos). Más Madrid era guidata da… Iñigo Errejón, l’ex numero due di Pablo Iglesias e decapitato 2 anni fa. Quindi, la scelta di Iglesias è anche per partecipare a una vecchia battaglia interna alla sinistra.
L’ex vicepremier ha già fatto sapere che offre la sua mano a Más Madrid per correre insieme. Non ha precisato se offre la stessa mano che aveva usato per decapitarli, o forse l’altra, non è importante, insomma, è una mano. Prima mossa in una di quelle partite kamikaze di poker così comuni alla sinistra europea.
Questo è il paesaggio della politica spagnola nel 2021, un paese ancora dentro alla pandemia e con una disoccupazione prevista per quest’anno al 17,4%, la seconda dell’Unione europea.
Tanti analisti credono che Iglesias non solo non riuscirà a mobilitare gli elettori di sinistra ma sarà uno stimolo definitivo per quelli di destra. Vedremo. Il 4 maggio, nei comizi di Madrid, non sarà in gioco solo la presidenza della regione economicamente più potente della Spagna. Ma anche il futuro della politica iberica, nonché quello di Pablo Iglesias. Il centro è sparito. La moderazione pure. Oramai, c’è solo lo scontro politico e un disagio sociale in crescita.