Dopo la secca smentita circa la validità dei codici ateco per ripristinare la scuola in presenza (ma va’?), madri e padri e sogni infranti sono costretti ad affrontare la realtà con riunioni di classe via zoom, inviti a manifestazioni con convocazione alle tre di pomeriggio (ma non dovevamo lavorare?), sciopero della fame contro la scuola che non nutre più, ma soprattutto è un continuo postare e cancellare su Facebook comunicazioni di scuole che in realtà sono aperte, che chi glielo leva ai dirigenti scolastici il diritto alla libera interpretazione di “è vietato punto”, in una delirante lotta di classe tra scuole pubbliche e private e paritarie, io che ero convinta che i gloriosi fasti dell’occupazione liceale fossero finiti, datemi la mia maglietta di Che Guevara e un megafono e vi solleverò il mondo.
Poi ecco la riunione di classe, grande metafora, grande focus group sul non detto, dove i peggiori istinti si fanno largo, ma su zoom è tutto un non sento, non vedo, quindi non parlo; che sollievo, non mi faccio cacciare, che sollievo la scuola in assenza. Mi dico beh, parleremo della chiusura, sicuramente le maestre hanno delle informazioni riservate di primissima mano, che qua siamo chiusi in casa a sopportare i nostri stessi figli gratis fino a fine pena mai (sì, “sopportare”, lo sapete benissimo anche voi, abbracciamoci).
E invece.
Parliamo per due ore due di lavoretti. Ho quarant’anni, io non posso mettermi a fare boschi di cartapesta, non ho senso pratico, devo lavorare, fare la spesa, lavatrici, cucinare, diecimila passi, piangere, dove sono queste scuole private aperte, dove sono questi presidi illuminati.
Niente informazioni di prima mano, solo grande entusiasmo per questi due giorni di “lezioni” a distanza, mi dicono che adesso si chiama LEAD, legami educativi a distanza, che mi pare cosa molto poetica e molto tragica. L’elefante nella stanza è lì che ci guarda smarrito e abbandona la conversazione. Le maestre sono serene, come se volessero non ammazzarci la speranza che si riapra settimana prossima, siamo tornati al pensiero magico, e io francamente non ne posso più.
Costretta a mettermi in discussione, cosa per me inaccettabile, mi accodo a questo lunare entusiasmo: forse a mio figlio fa piacere mantenere questo legame educativo a distanza, poi penso che lo dovrà mantenere insieme alla babysitter e non insieme a me, eccoci qua cara la mia Eve Harrington, tieniti pure il tuo premio, ma che importa, che madre, che lavoratrice, che eroina, dov’è la mia maglietta con il Che.
Il percorso didattico di quest’anno verte sull’Arte, hanno costruito un museo e un bosco, un bosco vero con due alberelli veri dentro la classe, presumo innaffiati ad amuchina, poi hanno unito le due cose e hanno fatto un museo sul bosco. E penso al fatto che mio figlio non abbia ancora mai visto né un museo, né un bosco. Non abbiamo fatto in tempo. Questo pensiero mi fa impazzire, apre scenari di senso che non mi sento di affrontare, li farò affrontare alla babysitter.
Sono qui ogni santo giorno con questa persona bassa, questo figlio che mi dice «Mamma, io non voglio crescere, voglio rimanere bambino» ed io penso com’è possibile, perché non sei traumatizzato dalla pandemia, perché ti ribelli alla narrazione compiaciuta dell’infanzia rubata, poi io cosa scrivo su Twitter, come ti permetti di far saltare il banco. Un giorno mi ha raccontato che a scuola cantano “la bella lavanderina” (cose da fare: cercare se qualcuno ne detiene i diritti, valutare SIAE), ma che hanno dovuto cambiarne il finale, non dicono più «dai un bacio a chi vuoi tu» ma si danno il cinque e poi si lavano le mani. Se questo è il grado massimo di trauma ci faccio la firma. Anche se un po’ ho pianto.
Forse mio figlio non ha empatia? Inizierà ad appiccare incendi e vivisezionare gatti? Devo dormire con un occhio aperto? O sono io che non ce l’ho questa empatia? Non ci hanno insegnato che anche se distanti gli amori e le amicizie restano? Era solo retorica a buon mercato? O sono io che non stata in grado di insegnargli niente oltre all’unica verità che conosco, ossia che la miglior amica di un ragazzo è sua madre?
Se il covid non fosse stato mite con i bambini la nostra percezione sarebbe diversa, saremmo chiusi a doppia mandata in un bunker, ci si rivede forse nel duemilaecinquanta e chi s’è visto s’è visto. Ma ora vieni qui figlio mio, costruiamo un bosco con le grucce di legno, poi ti prometto che ti porto in un bosco vero. E in un museo. E al cinema. Lo sai che cos’è il cinema?