I numeri degli scambi commerciali fra Regno Unito e Unione europea mostrano un (atteso) tonfo nel gennaio post-Brexit (-68%), mentre la campagna vaccinale corre fra i sudditi di Sua Maestà e va a rilento in Europa, che accusa Londra di nazionalismo farmaceutico. A riaccendere le polemiche fra Unione europea e Regno Unito in un fine settimana delle Idi di marzo ci pensa però una questione identitaria da manuale. La proprietà della porzione di fregio del Partenone (oltre la metà) che da inizio Ottocento si trova custodita al British Museum.
In un’intervista con il quotidiano greco Ta Nea, il premier britannico Boris Johnson è tornato sulla ultracentenaria questione della proprietà dei Marmi del Partenone per infrangere i sogni di rivalsa della Grecia: «Capisco le forti emozioni di molti greci e del premier Kyriakos Mītsotakīs. Il governo britannico, però, ha da tempo una chiara posizione sulle sculture, legalmente acquisite in conformità con le leggi di allora, e oggi nella disponibilità del British Museum».
I marmi del V secolo avanti Cristo, realizzati da Fidia e dai suoi allievi, si trovano esposti nel museo londinese dal 1816, dopo essere state rimosse dal Partenone, sull’Acropoli di Atene, a opera del nobile scozzese Lord Elgin, all’epoca ambasciatore di Sua Maestà presso l’Impero Ottomano, potenza occupante in Grecia da cui aveva ricevuto il benestare alla rimozione e al viaggio via nave verso le coste britanniche.
A rispondere a distanza al premier britannico, che già nei giorni scorsi aveva ingaggiato un braccio di ferro virtuale con i leader Ue sul divieto di fatto all’export di vaccini nel Regno Unito, è stato l’abbottonato ma focoso Margaritis Schinas. Già influente portavoce di Jean-Claude Juncker, il greco è oggi vicepresidente della Commissione e responsabile del portafoglio «Per la promozione dello stile di vita europeo», che comprende la supervisione su vari dossier, dalla migrazione alla cultura. Ambiti in cui capita che Schinas non smetta i panni del politico greco. «I marmi appartengono al Partenone. In questi tempi difficili, il patrimonio culturale universale dovrebbe elevare l’umanità, non dividerla», ha twittato poco dopo la pubblicazione dell’intervista di Ta Nea.
The marbles belong in the Parthenon. In these difficult times, universal cultural heritage should uplift humanity, not divide it. #ParthenonMarbles https://t.co/ELjbYTcYa9
— Margaritis Schinas (@MargSchinas) March 13, 2021
Eppure, ironizza ma non troppo il quotidiano greco, da Johnson ci si aspetterebbe una sensibilità diversa rispetto ai suoi predecessori. Il premier spesso rievoca gli studi classici a Oxford, ha il vezzo di lanciarsi in citazioni in greco – recita a memoria versi dell’Iliade e considera Omero «il più grande scrittore di tutti i tempi» – e custodisce nel suo studio a Downing Street la replica di un busto di Pericle, padre della democrazia ateniese ed eroe personale di BoJo, secondo forse solo a quel Winston Churchill a cui pure gli capita di accostarsi.
Non è la prima volta che Johnson si scontra con le rivendicazioni greche sulle statue del Partenone. Anzi, è pure stato in silenzio per parecchi anni. L’ultima volta che si espose fu in un botta-e-risposta con George Clooney, nel 2014. Durante una tappa del tour promozionale di The Monuments Men – film che racconta del salvataggio delle opere d’arte minacciate durante la Seconda guerra mondiale -, la star hollywoodiana si schierò a favore della restituzione dei Marmi, scatenando la furia di BoJo, allora sindaco di Londra.
La stessa Amal Alamuddin Clooney, avvocata specializzata in diritti umani, avrebbe consigliato al governo greco di andare avanti con la richiesta, mentre il marito ancora pochi giorni fa ha ricordato, in contatti bilaterali con chi segue la causa nel Regno Unito: «Ci sono molti artefatti storici che dovrebbero essere restituiti ai proprietari originari, ma nessuno di questi casi è tanto importante quanto il ritorno dei Marmi al Partenone».
È dall’indipendenza ottenuta nel 1832, che i greci rivendicano il rimpatrio delle statue di 2500 anni fa, mettendone in discussione la legittimità del titolo d’acquisto. Pretese rilanciate in varie fasi storiche, ad esempio da Melina Mercouri, ministra della Cultura della Grecia democratica dopo la caduta del regime dei colonnelli e pioniera della costruzione di un’Europa consapevole delle sue radici, e sostenute negli scorsi anni anche dall’Unesco, che, su richiesta del governo greco, si era offerta di mediare fra le parti in causa, salvo vedersi recapitare il rifiuto di Londra. A fasi alterne, il British Museum ha anche ribadito che Atene non avrebbe uno spazio per un’adeguata fruizione del monumento e che – da patrimonio dell’umanità – è custodito nella sua Duveen Gallery e accessibile gratuitamente a milioni di visitatori ogni anno.
Oggi la titolare della Cultura, Lina Mendoni, continua a prendere di mira Lord Elgin («ladro»), ma è consapevole che nel frattempi qualcosa è cambiato. Il dato è politico, commentava un anno fa Mendouni in un’intervista con Reuters: «La Brexit ha creato le condizioni per il ritorno definitivo dei Marmi ad Atene. È cambiata la predisposizione mentale, ora che il Regno Unito ha deciso di prendere le distanze dalla famiglia europea».
A un certo punto della saga Brexit, del resto, la disputa sulle sculture del Partenone aveva fatto il proprio ingresso nei negoziati commerciali tra Regno Unito e Unione europea: a Londra avevano insinuato il sospetto – riecheggiato dai tabloid – di una clausola nel trattato relativa alla riconsegna del patrimonio rubato.
Di nuovo al governo dal 2019, dopo i quattro anni anti-austerity di Alexis Tsipras, il centrodestra di Nea Demokratia ha rievocato in più occasioni la questione dei Marmi del Partenone. Con un chiaro obiettivo: il 2021. Benché sia limitato dalla pandemia, quest’anno segna infatti per la Grecia un anniversario tondo: i 200 anni dall’inizio della guerra d’indipendenza contro gli Ottomani.
Un’occasione di rilievo, secondo il premier Mītsotakīs, per far tornare le sculture «a casa», sulla scia di quanto già avvenuto con porzioni del fregio riconsegnate ad Atene, tra gli altri, da Stati Uniti e Germania e – ultima in ordine di tempo – dalla Francia di Emmanuel Macron, con una mossa che è stata letta come una sfida aperta lanciata a Londra.
Per convincere il British Museum, Mītsotakīs ha pure proposto di dare in prestito al preziose opere d’arte che mai prima d’ora hanno lasciato la Grecia. Offerta rispedita ancora una volta al mittente: i Marmi del Partenone restano a Londra.