Con l’arrivo della pandemia le case hanno moltiplicato le loro funzioni. Sono diventate ufficio e luogo di lavoro, aula di scuola per la didattica a distanza, poi all’occorrenza anche ristorante e bar. Le stanze in cui abitiamo sono quelle in cui abbiamo trascorso gran parte delle giornate del 2020 e in questo primo scorcio di 2021.
Si è parlato molto di come sarebbero cambiate le abitazioni con la pandemia: la ricerca di spazi più luminosi, magari un po’ di verde, qualche metro quadro in più, una stanza più grande se possibile. All’inizio le previsioni stimavano un mercato immobiliare a picco, visti i due mesi sostanzialmente fermi di marzo e aprile 2020.
Ma i numeri riflettono una realtà che non è stata stravolta dal virus, non più di tanto: c’è stata una riduzione in valore assoluto delle compravendite totali dalle circa 600mila transazioni del 2019 alle 500mila (previste) dello scorso anno – complice, appunto, il lockdown di primavera – ma anche una ripresa nella seconda metà del 2020 e un aumento dei prezzi del 2,5% su base annua.
Il direttore generale Gruppo Gabetti ha spiegato che «gli effetti del lockdown non sono stati così incisivi sul mercato residenziale: le compravendite hanno chiuso il 2020 con un -7,7%, un calo abbastanza esiguo che non indica né una crisi, né il calo della voglia degli italiani di comprar casa. Anzi sono tanti gli italiani che avvertito il desiderio e la necessità di cambiare casa».
Nell’ultimo anno infatti il mattone si sarebbe comportato come un bene rifugio più che in passato, spiega a Linkiesta l’amministratore delegato di Immobiliare.it Carlo Giordano: «Che la casa di proprietà fosse una fonte di sicurezza per gli italiani in tempi di crisi non è un mistero, era evidente già da prima. Ma l’ultimo anno ha evidenziato questa condizione ormai tipica del mercato italiano: oltre il 70% delle famiglie vive in case di proprietà».
Un dato in controtendenza rispetto ad altri Paesi europei: «In Germania ad esempio il 64% degli adulti vive con un contratto di locazione, perché avere una casa riduce la mobilità sul lavoro, la flessibilità di un certo stile di vita. Siamo noi ad avere abitudini e preferenze piuttosto vecchie», aggiunge Giordano.
Anche gli Stati Uniti sono una nazione storicamente legata alle case di proprietà, ma la mobilità interna dei cittadini e un aumento dei prezzi delle abitazioni – soprattutto nelle zone costiere, quelle più popolose e con più offerta di lavoro – sta spingendo verso il cambiamento.
Un recente articolo dell’Atlantic firmato da Shane Phillips, direttore della Randall Lewis Housing Initiative a Ucla, spiega come vivere in affitto stia perdendo il suo grande plus in termini di flessibilità, in quanto i costi da sostenere sono spesso troppo elevati. Allo stesso tempo acquistare casa per molti è diventato un impegno e un vincolo che non si sposa con le nuove abitudini, il nuovo mercato del lavoro, le nuove necessità. Per questo, sostiene Phillips, sarebbe necessaria una terza opzione, con l’intervento del settore pubblico.
L’Italia però sembra andare nella direzione opposta. Ne ha parlato a Linkiesta Federico Filippo Oriana, presidente dell’associazione società di promozione e sviluppo immobiliare (Aspesi): «Sono d’accordo sul fatto che la proprietà oggi può essere un impegno gravoso rispetto alla mobilità e alla volatilità del mercato del lavoro, che può portare ovunque. Però da noi l’housing pubblico ha spesso fatto più danni di quanti ne abbia risolti. Semmai dobbiamo dobbiamo creare condizioni e incentivi per permettere ai lavoratori, specialmente i più giovani, l’accesso al mercato immobiliare: comprare una casa partendo dal proprio reddito è sempre più difficile in un Paese in cui l’ascensore sociale si è fermato».
Se la pandemia ha spinto verso un mercato in cui la priorità sono case polifunzionali, di dimensioni più ampie, con spazi modulabili anche per lo smartworking – e poi lo spazio esterno, il terrazzo o il giardino e altri comfort – è anche vero che questo profilo restringe il mercato a una fascia di acquirenti più alta.
«La parte di popolazione che muove il mercato, quella che si legge nei numeri, è rappresentata solo da una parte degli italiani, coloro che possono permettersi una spesa così impegnativa, è anche per questo che sono aumentati i prezzi nelle richieste e nelle ricerche», spiega a Linkiesta Vincenzo De Tommaso, responsabile dell’Ufficio Studi di Idealista. «In questo momento – aggiunge – stiamo vedendo un aumento delle disuguaglianze: lo stock di domanda delle compravendite viene assorbito da chi cerca un’altra casa, magari la seconda o comunque un’abitazione migliore di quella che già ha, e chi invece non può proprio permettersi nemmeno la prima».
Una condizione che si legge anche nei numeri: la metà degli utenti che sul portale di Idealista cerca una casa da acquistare possiede già una casa di proprietà, il 49,2%, più degli acquirenti in cerca di una prima casa (44,1%). Mentre il 7,7% ha due case, il 3,5% ne possiede 3, il 2,5% dei rispondenti dichiara di averne 4 o più.
Inoltre, spiegano da Idealista, «il profilo sociodemografico di chi cerca casa è quello di un uomo tra i 45 e i 56 anni, che vive in coppia con figli e con un contratto di lavoro indeterminato. Mentre nel caso dell’affitto a chiederlo sono soprattutto donne. E chi cerca una soluzione temporanea nel 68,8% dei casi non ha una casa di proprietà alle spalle da vendere o da dare in affitto».
L’accesso alla casa di proprietà potrebbe diventare ancora più esclusivo nei prossimi mesi: la crisi ha ridotto la propensione delle banche a concedere liquidità per i mutui, rischiando di tagliare fuori una pare della popolazione che se non ha accesso al credito non può accedere al mercato.
Ne ha parlato la società di consulenza Nomisma: «In seguito alla seconda ondata di contagi, le banche hanno cominciato ad adottare un approccio più attento e selettivo», spiegando che in Italia 8 persone su 10 comprano casa attraverso i mutui. E se le banche fanno un passo indietro inevitabilmente il mercato è destinato a frenare.
La previsione di Nomisma per il futuro può essere solo una: «Per il 2021 si prevede che l’andamento delle transazioni dipenderà dal rimbalzo a livello economico e dalla tempestività ed efficacia con cui i vaccini saranno resi disponibili. Al momento, però, per il prossimo anno si prevede un calo del mercato, e una risalita graduale che si manifesterà solo nel 2022-2023».
Sulle previsioni future però Carlo Giordano di Immobiliare.it offre una prospettiva diversa: «Sul nostro sito abbiamo visto che se escludiamo marzo e aprile 2020, mese su mese abbiamo un aumento di visite, di ricerche e di attività produttive che fa pensare che la propensione degli italiani sia rimasta sostanzialmente invariata».
A questo si aggiungerebbe un altro elemento positivo: il risparmio delle famiglie italiane. Una ricerca di Intesa Sanpaolo e Istituto Einaudi spiega che un po’ per timore, un po’ per impossibilità di fare altro, nel 2020 il risparmio delle famiglie italiane è aumentato moltissimo nonostante fosse già superiore a quello di molte altre situazioni in Europa: nel 2019 il 45% delle famiglie risparmiava, nel 2020 il 60%.
«Molti di questi risparmi – conclude Carlo Giordano – vanno nell’immobile, almeno in teoria. Se cerco sicurezza, dove metto i miei risparmi? La storia ci dice che la casa è spesso una risposta per gli italiani. Forse l’aspetto particolare di questo momento sta nel fatto che molti alimentano il mercato perché magari sono disposti a vendere meno bene di come potrebbero cercando il vero guadagno nella qualità dell’immobile, con l’upgrade nel passaggio a una casa migliore, più adeguata. E allora accelerano la transazione pur di fare un cambio di proprietà».