E se provassimo a trattare gli adulti da adulti? Lo so, è una proposta estremista; innanzitutto perché dovremmo prima trovare un accordo sulla definizione di «adulti»: Enrico Letta vuole far votare i sedicenni, secondo me fino ai trentacinque l’umanità non è neanche in grado di decidere cosa vuole per cena; e poi perché gli adulti proprio non vogliono essere trattati da adulti.
Lo si è capito col titolo di Repubblica su Astra Zeneca, quello che – santo cielo – conteneva la parola «paura». Siete dei terroristiiii, mia zia centocinquenne ora non si vuole più vaccinareeee, mio cugino medico ha ricevuto cinque disdette di prenotati per il vaccinoooo, se la campagna vaccinale fallirà sarà colpa vostraaaa, siete degli stragistiiii, per vendere quattro copie in piùùùù (un giorno voglio trasferirmi anch’io sul pianeta di quelli che chiedono all’edicolante di fargli vedere tutte le prime pagine e poi comprano il giornale col titolo d’apertura più suggestivo: dev’essere un posto bellissimo).
Non vorrei sottrarmi all’hobby nazionale, quello per cui l’aneddotica diventa statistica e se tuo padre si è prenotato velocemente per il vaccino l’Italia è un Paese efficientissimo e se tuo padre ancora non è stato chiamato per il vaccino la sanità italiana fa schifo. Quindi racconterò del mio amico chirurgo. Il mio amico chirurgo ha avuto il Covid, è guarito a novembre. Dovrebbe rientrare nel novero di quelli che, guariti tra i tre e i sei mesi prima, vengono vaccinati. Giacché il Covid non ha memoria immunitaria, dicono. È una delle molte cose che dicono, di questo virus di cui i medici dicono tutto e il contrario di tutto – figuriamoci i giornalisti, figuriamoci i passanti, figuriamoci tua zia centocinquenne.
Il mio amico ha, mi dice, gli anticorpi a novecento, che per me è una cifra oscura, so cosa significhi in metri e in chili ma non in anticorpi. Tuttavia lui, che è del mestiere e quindi come aneddoto vale briscola, dice che sono altissimi e che «se mi fai il vaccino mi ammazzi». Di qualunque marca esso vaccino sia. (Non ho niente contro Astra Zeneca, ho molti amici vaccinati Astra Zeneca: sono tutti ancora vivi).
Perché non si verifica la presenza di anticorpi con un banale test sierologico, prima di rischiare d’ammazzare tua zia centocinquenne con un vaccino e poi di prendersela col giornale che titolerà che è morta in/con/su/per/tra/fra il vaccino? Non si sa, nel senso che è una domanda che non si può fare, se la fai sei un picchiatello che crede t’iniettino il microchip, e ti pigli uno sbuffo in risposta.
Figuriamoci se insinuasse, quel qualcuno di coraggioso (quindi non io), che il test prima del vaccino non lo facciano fare perché rallenterebbe e complicherebbe le cose, un po’ come un anno fa si diceva che le mascherine non servissero giacché le mascherine non si trovavano. Sia chiaro che io non l’ho detto: mica voglio pigliarmi della picchiatella, dell’allarmista, della titolista di Repubblica.
Eravamo partiti che le due curve di stadio erano una di paranoici che credono alle leggende metropolitane, e una di fiduciosi nel metodo scientifico. Poi, non ho capito come e perché (forse perché una curva di stadio non è posto in cui la razionalità si trovi a suo agio), quelli fiduciosi nella scienza si sono trasformati in fideisti.
In gente che, se qualcuno si chiede come mai tre nazioni europee abbiano sospeso l’utilizzo d’una marca di vaccino, accusa quel qualcuno di crimini contro l’umanità. Che vede il complotto proprio come i picchiatelli: se il Piemonte sospende Astra Zeneca è perché il titolista di Repubblica mio padre (centocinquenne) al mercato comprò.
In millantatori di indipendenza intellettuale che, se trovano sbagliato un titolo di giornale, lo motivano dicendo «i giornali stranieri hanno titolato diversamente». In piccoli fan di ospiti televisivi con lauree in medicina che vanno sulle pagine Facebook dei loro beniamini a chiedere cosa pensare del mondo, come avremmo potuto fare trent’anni fa se i Duran Duran avessero avuto una pagina Facebook. In illuministi romantici, in razionalisti devoti a un credo, insomma in un pasticcio.
C’era una volta il metodo scientifico. Era quello praticato da chi, se si sospettava che la talidomide provocasse malformazioni nei feti, era lieto che i giornali glielo raccontassero. Anche se sua nipote incinta lo stava prendendo. Specialmente se sua nipote incinta lo stava prendendo.
Poi ci siamo evoluti, siamo diventati più alfabetizzati, abbiamo creato l’internet, abbiamo diffuso la conoscenza. E il risultato è che ora una buona metà di coloro che leggono quest’articolo starà strillando: pazza allarmistaaaa, stai insinuando che il vaccino per il Covid provochi malformazioni fetaliiii, ora moriremo tutti e sarà colpa tuaaaa.
Ma conto sul fatto che l’articolo sia troppo lungo per la loro soglia d’attenzione, che si siano indignati abbandonandolo molte righe fa. Se invece fossero ancora qui, vorrei raccomandar loro di non stare a badare ai giornali e ai loro eventuali allarmismi. Qualunque controindicazione abbia qualsivoglia farmaco, peggio di così non può farvi.