Ormai la presidenza Trump appartiene alla storia. E tocca agli storici il compito di darne una valutazione il più oggettiva possibile. Per questo un gruppo di studiosi si è riunito (su Zoom) venerdì 19 per fare il punto di quattro anni complessi, ondivaghi, tumultuosi e non sempre facili da decifrare. È stato un accidente della storia? Oppure no?
Come ha premesso il professor Julian E. Zelizer, di Princeton la vera sfida per gli studiosi è «comprendere gli elementi fondamentali della sua presidenza e la loro connessione con distinte caratteristiche della storia americana». Fino a individuare i momenti in cui «è andato oltre ogni cosa».
Il titolo dell’opera che racchiuderà gli studi dei 17 studiosi, la cui pubblicazione per la Princeton University Press è prevista nel 2022, è sobrio: “The Presidency of Donald J Trump: A First Historical Assessment”, ma il tono di alcuni interventi, garantiscono gli studiosi, va spesso oltre la consueta moderazione accademica.
Non è uno strappo alle convenzioni o, peggio ancora, una concessione all’ostilità politica. Il fatto è che la presidenza Trump è stata così folle, assurda, polarizzata e violenta che anche le valutazioni più asettiche non possono che ricorrere a toni adeguati. Leggendo certi passaggi (in particolare la gestione delle alleanze straniere) si sobbalza sulla sedia, garantisce il New York Times, ma si è sempre d’accordo.
Quattro anni prima gli studiosi si erano ritrovati per scrivere la prima ricostruzione storica degli otto anni alla Casa Bianca di Barack Obama.
In quell’occasione – era appena stato eletto Trump – aleggiava un’atmosfera di terrore e di incertezza. In questa, anche se sono passati solo tre mesi, si avverte un profondo sollievo. Il mondo è cambiato.
Ma non del tutto: i due giorni di incontro e discussione sono avvenuti online a causa della pandemia, problema che ricorda – per forza – lo stesso Donald Trump e la sua caotica gestione. Suscitando una domanda, ormai oziosa per il cronista, ma ancora interessante per lo storico: se avesse affrontato meglio la crisi da coronavirus avrebbe vinto le elezioni? Una risposta affermativa (per alcuni addirittura scontata) obbliga allora a interpretare il fenomeno Trump nel profondo, indagando dinamiche e desideri della società americana.
Ma non è andata così. E allora nel loro lavoro gli storici sono chiamati, piuttosto, a mettere ordine e individuare i filoni costanti di un’amministrazione incoerente quasi in ogni sua azione.
Uno di questi è proprio la sua politica infrastrutturale: la Infrastructure Week, diventata nel corso degli anni una barzelletta, è un simbolo di questa aspirazione, di un progetto mai realizzato. Nemmeno nella sua opera più significativa: il muro.
Gli storici sanno bene che nonostante gli annunci e le promesse della campagna elettorale si sono aggiunti solo 130 chilometri alla barriera già esistente. Il punto è che il muro, la sua costruzione e il suo significato rappresentano la chiusura americana nei confronti degli stranieri, i respingimenti, la separazione dei figli dai genitori, la politica migratoria spietata.
Il secondo aspetto è, invece, il disordine stesso, la cui portata eversiva si è vista nell’assalto al Campidoglio e nei due impeachment. La presenza di un oggetto anomalo come Trump ha imposto riposizionamenti e alleanze inedite, riavvicinando ad esempio movimenti radicali come Black Lives Matter al Partito Democratico, o spaccando il fronte Repubblicano.
Ma tutta l’America ne è stata scossa, vivendo l’obbligo di una maggiore attenzione alla politica. Gli sviluppi di questo atteggiamento forse sono ancora in atto, e si vedrà. Ma questo non è già più materia per gli storici.