Forse saranno esplorazioni mirate, con tour gastronomici all’aria aperta. Oppure viaggi su mezzi propri in compagnia di qualche amico, ma lontani dalla pazza folla e immersi (o emersi?) in paesaggi sconosciuti, deserti e rilassanti.
Prima o poi si tornerà a viaggiare. Si sa. L’industria del turismo si sta attrezzando da più di un anno: occorre fare fronte alle limitazioni imposte dalla pandemia, concentrarsi sul versante igienico-sanitario (come raccomanda questa ricerca), rivitalizzare i trasporti e riscrivere, in qualche modo, l’offerta per turisti e vacanzieri. E la cosa meno ovvia perché, dopo più di due anni di chiusure e riaperture è difficile immaginare, in modo più o meno preciso, cosa vorranno fare le persone in vacanza.
È molto probabile, scrive Sophie Gilbert sull’Atlantic, che la quarantena forzata, la nuova sensibilità su igiene e salute, l’abitudine alle restrizioni resteranno a lungo nelle menti delle persone. Nonostante alcuni saltuari (e irregolari) affollamenti che punteggiano le cronache, qualcosa cambierà. Soprattutto per quanto riguarda la delicata sfera dei desideri. Cosa vorremo fare, quando lo potremo fare?
Qualche risposta, secondo l’articolo, arriva da due nuovi travelogue. Il primo è “Stanley Tucci. Searching for Italy”, una serie in sei puntate prodotta dalla Cnn in cui l’attore americano con origini italiane («Parla italiano come un dodicenne vecchio») vaga per ristoranti e osterie, assaggia pietanze tipiche e ne racconta storia e aneddoti.
È una variazione sul tema Anthony Bourdain, sempre fecondo, con la differenza che qui non si cerca l’insolito esotico ma il classico più affermato. La prima puntata, per capirsi, è girata a Napoli, «nell’estate dopo il primo lockdown. Si può stare all’aperto senza mascherina», spiega. Tucci assaggia la pizza, prova la mozzarella, incontra cuochi e camerieri.
La seconda è ambientata a Roma, realizzata prima del lockdown del 2020 e presenta scene oggi inquietanti: pranzi al chiuso, sale affollate, lunghe code di persone che aspettano di mangiare un gelato. Davvero vogliamo ritornare a questo? Se si pensa poi che a Bologna (episodio 3) mangia mortadella insieme a Mattia Santori, redivivo leader delle Sardine, la risposta sembra molto chiara.
Il messaggio però sopravvive al mezzo: il travelogue è insieme escapismo, voglia di fuga e di conoscenza. Il format, che in tempi normali avrebbe, scrive Gilbert, «un successo tranquillo», diventa un «contentino» per chi è costretto in questo «marzo perenne» a rimanere in casa. Fa sognare, ma è un sogno che, se realizzato, porterebbe solo a una gita solitaria, in ansia, dedita alla ricerca di gusti privati.
Un’altra soluzione è allora quella che si intravede in “Men in Kilts”, uno spin-off di natura promozionale in cui gli attori scozzesi Sam Heughan e Graham McTavish, tra i protagonisti della serie Outlander, girano per la Scozia con un camper. In altri tempi, ripete Gilbert, sarebbe sembrato solo quello che è: una produzione commerciale fatta per promuovere una serie televisiva. Dopo la pandemia si è trasformato in una sorta di metafora della nuova vacanza: solitaria, ma in compagnia. Libera, ma non selvatica. Lo spazio aperto ipnotizza, il vuoto regala tranquillità.
Girando per le brughiere del Nord i due pescano, fanno il bagno nel gelido oceano scozzese, cucinano aragoste su focherelli improvvisati, giocano a golf, fanno giri in bicicletta nella natura. «Per il 99% del tempo, sono all’aperto. È il perfetto travelogue televisivo post-pandemia».
Anche perché intorno a loro, a parte i paesaggi mozzafiato, non c’è nessuno: passanti zero. Curiosi, neppure. E stupisce anche di più se si pensa che è stata girata in epoca pre-Covid.
La sensazione che regala insomma è quella di una libertà incontaminata, al tempo stesso fresca e disabitata. Si può pensare che i vacanzieri del 2021, o peggio ancora del 2022, non cercheranno le spiagge affollate e le file al bar. Ma neanche la solitudine isolata del ritiro eremitico. Si desidera ora quello che manca: socialità buona, spazi aperti e linee dell’orizzonte. È probabile che lo si vorrà ancora, più avanti, quando sarà possibile viaggiare per piacere. Chi lavora nell’industria del turismo, una delle più penalizzate di tutte, prenda nota.