Ricorrenza, celebrazione. Ma anche riproposizione di una voce intellettuale che, per la sua lontananza dal mainstream, risulta ancora fresca e interessante. Con l’inaugurazione della nuova collana “I libri di Cesare De Michelis”, la casa editrice Marsilio festeggia i suoi 60 anni e riporta alla luce in una nuova veste grafica e in una preziosa confezione editoriale (curata da Leonardo Sonnoli) gli scritti del pensatore ed editore veneziano, che la guidò dal 1965 in poi.
È una testimonianza, certo. Ma anche un modo per far tornare in circolazione idee e riflessioni che meritano nuova attenzione. Lo dimostra la scelta di pubblicare, come primo volume, “Moderno Antimoderno”, uscito per la prima volta nel 2010 per Aragno, che già raccoglieva i saggi disseminati da De Michelis lungo il corso del Novecento, per lui il secolo più sfuggente e quello più diverso dagli altri.
Sono riflessioni letterarie, storiche, filosofiche. Interrogativi eruditi che planano su questioni scottanti. Il ruolo degli intellettuali – la loro nascita, la loro sorte e il loro inevitabile conformismo – o l’avvento del mondo dei consumi, l’euforia del progresso e la distruzione della tradizione del mondo contadino, evitando però le nostalgie oleografiche di Pasolini. O ancora la fabbrica, totem e tabù delle letture fatte da sinistra, con la sua ambigua funzione economica, sociale e politica.
Del Novecento cerca prima di tutto di delimitare l’estensione e la portata: fu secolo breve? O secolo morto già 30 anni prima che finisse, come era diventato di moda dire?
La risposta non c’è (secolo enigmatico), ma qualche indizio sì: a partire dalle fasi di rottura dal passato, le avanguardie, i guastatori, il pensiero inedito (secolo moderno) e poi dalle reazioni, uguali e contrarie, tese a ripristinare gli ordini, le tradizioni, gli equilibri passati o perduti (secolo antimoderno).
Quello che manca, come fa notare Giuseppe Lupo, prefatore alla nuova edizione, è il suffisso -post: più che un rifiuto della categoria, è una scelta deliberata. De Michelis, scrive, «non è mai ricorso alla nozione di posterità perché evidentemente non credeva nell’esistenza di una stagione suppletiva al moderno, in un segmento di anni in qualche modo concedesse una prova di appello a quel che era stato, una chance per riabilitarsi dagli errori (se errori erano stati commessi)».
Nella sua mappatura di luoghi, situazioni, autori e temi, emerge in filigrana un mondo di contrasti. Come l’utopia e la realtà, il progresso e la stasi, la rivoluzione e la riforma, la democrazia e la sua crisi.
Come scrisse lo stesso De Michelis, «la vita opponeva al progresso i suoi ritmi di sempre, il suo andare in tondo anno dopo anno? Fu ben presto assai chiaro che anche di essa si poteva fare a meno pur di arrivare a utopia, nel luogo che appunto non c’è; anzi, se proprio la vita era lei che diventava l’ostacolo, bisognava farne a meno, celebrare la morte» (secolo doloroso).
È al tempo stesso una bussola, un’indagine, un labirinto di idee che non sfociano né in teoremi (non sarebbe stata una ricerca) né in cedimenti all’ideologia.
Il canone di autori (Federigo Tozzi, Elio Vittorini, Giuseppe Berto, Fulvio Tomizza, Ferdinando Camon, Claudio Magris, Antonio Debenedetti, Gian Antonio Cibotto) è alternativo, quasi anti-scolastico. Ma è lo stile di un pensiero che non vuole la via comoda nelle soluzioni degli enigmi e affronta, di passo in passo, ogni domanda come se fosse una nuova indagine cominciata proprio in quel momento.