Ha sentito che il momento è critico, il primo momento veramente difficile da quando è a Palazzo Chigi. Che il rischio è di un rompete le righe istituzionale, di una resa al moltiplicarsi di episodi sbagliati nelle vaccinazioni e soprattutto di un crescere del nervosismo dei partiti. Ci voleva un richiamo. Bisognava rassicurare. E frenare il partito della riapertura.
Per questo Mario Draghi ha tenuto un’altra conferenza stampa al solo scopo di rassicurare gli italiani che le cose stanno andando come devono andare, e lo ha fatto al termine di una lunga giornata in cui ha dovuto ascoltare le lamentele di Pier Luigi Bersani, poi quelle – respinte al mittente – di Matteo Salvini, infine la riunione con Regioni e Comuni su una prima informativa del Piano di ripresa cui il governo ha lavorato silenziosamente e riservatamente per essere pronto a consegnarlo a Bruxelles il 30 aprile.
Il presidente del Consiglio ha avuto anche modo di chiamare il presidente turco Tayyip Erdogan come va chiamato: dittatore. E di dare una rapida risposta sulla Libia, con cui bisogna cooperare, senza dimenticare la violazione dei diritti umani. Ma il tema era ovviamente un altro.
Il Paese è stanco, stremato. La manifestazione davanti a Montecitorio dell’altro giorno, per quanto chiaramente infiltrata dai soliti personaggi dell’estrema destra, è stata “sentita” dallo stesso premier che non può non accorgersi del malessere («l’alienazione», ha detto Draghi con termine un po’ desueto ma azzeccato), del rischio non solo di un impoverimento crescente del Paese (atteso un decreto pesante) ma di un improvviso andamento lento delle vaccinazioni che ha cercato di smentire in tutti i modi.
E doveva rispondere alle inquietudini dei partiti della maggioranza, da LeU a Italia Viva alla Lega, mentre Pd e Cinquestelle (questi ultimi affaccendati nelle loro peripezie interne) appaiono più propositivi. La spinta ad aprire tutto è sempre più forte. Come se Draghi fosse contrario. Ma il premier ha buon gioco nel ricordare che si aprirà solo quando lo consentiranno i dati del contagio, è impossibile fissare una data precisa, anche per non ingenerare illusioni.
Con il presidente del Comitato tecnico-scientifico Franco Locatelli accanto pronto a entrare nel merito dei dubbi, a partire da quelli ingenerati dalle raccomandazioni sull’efficacia di AstraZeneca, l’obiettivo di Draghi era rassicurare il Paese che le dosi ci sono e ci saranno e che il criterio-base deve essere uno e uno solo: vaccinare gli anziani e i fragili, il resto verrà di conseguenza ivi compresa la ripartenza economica. Con un Draghi più “umano” del solito nello scagliarsi contro quelli che saltano la fila, «che coscienza hanno?».
Ha funzionato? Solo in parte. In quella frase sulla riapertura – «una data non ce l’ho» – c’è tutta l’indeterminatezza di fondo, figlia dell’incertezza della situazione, che la Grande Rassicurazione di Draghi non ha e forse non poteva dissipare.