Come è riuscita Intesa SanPaolo ad anticipare la crisi globale che ha travolto il mondo del lavoro, riuscendo a trarre vantaggio dallo smart working, nonostante la pandemia. Lo spiega un articolo del Financial Times che analizza le strategie adottate in questo periodo dal gruppo bancario italiano. Tutto nasce da un’intuizione di Massimo Proverbio, chief IT Digital and Innovation officer di Intesa Sanpaolo, che con sua sorella veterinaria aveva a lungo discusso del rischio di malattie che passano dagli animali all’uomo.
Così quando l’Italia ha registrato il suo primo caso di Covid-19, il 21 febbraio 2020, Proverbio ha lanciato l’allarme in Intesa Sanpaolo, la più grande banca italiana. Da lì è scattato un cambio di mentalità ed è stata sfruttata al massimo l’esperienza di Intesa Sanpaolo con lo smart working. La strategia adottata è stata un successo e ha portato a un ripensamento dell’organizzazione del lavoro in banca.
«Abbiamo agito immediatamente. Purtroppo, quello che è successo dopo ci ha dato ragione», dichiara Proverbio al quotidiano britannico, ricordando che in quelle caotiche settimane «Intesa doveva garantire il regolare svolgimento dei servizi chiave», poiché «in qualità di banca di importanza sistemica deve disporre di un piano di continuità aziendale».
E anche quando la pandemia ha congestionato gli ospedali, e bloccato l’intero Paese, Intesa doveva comunque garantire il regolare svolgimento dei servizi chiave, come i pagamenti. Il piano di continuità aziendale – ha spiegato Proverbio – «si basa sul presupposto che sarà necessario per poche ore, giorni, nel peggiore dei casi. Qui, avevamo bisogno di qualcosa che funzionasse per mesi, un anno intero, come si è scoperto».
Disponendo già di un sistema di gestione delle crisi denominato Noge, creato in occasione del terremoto in Abruzzo del 2009, la dirigenza della banca lo ha assunto come modello per il coordinamento delle attività durante la pandemia, facendo il punto della situazione quotidianamente. «Ci siamo incontrati tutti online ogni sera alle 19:00», afferma Paola Angeletti, Chief Operating Officer.
Le telefonate sono iniziate il giorno dopo la segnalazione del primo caso, continua Angeletti, e sono durate fino a metà maggio, quando l’emergenza iniziale si è attenuata e sono stati stabiliti nuovi processi. Ora si svolgono ogni due settimane.
Con la diffusione del coronavirus, però, il personale ha iniziato a lavorare da casa full time. E Intesa ha dovuto garantire delle prerogative fondamentali: dalle connessioni sicure e veloci alla rotazione in filiale, il modello messo a punto è stato in grado di garantire continuità e superare le resistenze dei clienti «che non sono abituati al mondo digitale», puntualizza Proverbio, ricordando che in 12 mesi si è registrato un aumento del 50% nell’utilizzo della app bancaria e le vendite di prodotti attraverso i canali digitali sono cresciute ancora più velocemente, passando dal 13% al 31% del totale.
La pandemia ha esposto la banca anche a nuovi tipi di rischio informatico, oltre al possibile hacking delle reti Wi-Fi domestiche. E l’aumento dell’uso del digital banking ha aumentato il rischio che i clienti fossero vittime di frodi informatiche, con l’aggravante dei ritardi legali e burocratici. «La tempistica delle attività digitali è di pochi minuti. La rimozione di un sito web richiede solitamente tre giorni», afferma Proverbio.
Il cambiamento più visibile portato dal coronavirus è stata l’adozione diffusa del lavoro a distanza, una transizione che finora si è rivelata vincente. Il numero di dipendenti Intesa che possono lavorare a distanza è passato da 14.000 nel 2015 a 81.000 lo scorso anno, cifra che comprende 16.000 persone che lavorano all’estero. Prima della pandemia, Intesa aveva programmato di raggiungere i 24.000 nel 2021. «Un ritorno completo in ufficio è quasi impossibile, anche con un vaccino – ha spiegato Angeletti – poiché ci sono aspettative che continui la possibilità del lavoro a distanza».
Angeletti teme anche il rischio che i lavoratori si sentano tagliati fuori dai colleghi. Le idee delle persone, si legge ancora, non si adattano abbastanza rapidamente alle nuove circostanze, con il risultato che la cultura del lavoro deve recuperare terreno: «Intesa sta valutando una combinazione di attività da remoto e in loco e potrebbe anche incoraggiare l’uso di hub per offrire luoghi di lavoro collettivo con un tragitto più breve», si legge sul quotidiano britannico.
«Abbiamo dimostrato che possiamo lavorare tutti a casa», conclude Proverbio. «Non è questo il problema. Il problema è nelle teste dei manager. Devono pensare a gestire le persone, non a controllarle».