Riassunto delle puntate precedenti. A marzo Enrico Letta diventa segretario del Partito democratico e dice tre cose: che il suo partito si riconosce pienamente e senza riserve nel governo Draghi; che serve un rinnovamento del partito, da promuovere attraverso un processo di consultazione dei circoli chiamato «agorà democratiche»; e che è ora di finirla con le correnti.
Pochi giorni dopo Goffredo Bettini annuncia la nascita di una nuova corrente (che ovviamente non è una corrente, bensì «un’area di pensiero plurale»), decide di chiamarla «Le agorà» (che ovviamente non è un plagio, perché l’originale definizione dava già il titolo a un fondamentale saggio da lui pubblicato tre anni fa con le edizioni Ponte Sisto) e per promuoverla lancia un manifesto in cui spiega che il governo Conte è caduto per un complotto dei poteri forti (che ovviamente non è un complotto, bensì «una convergenza di interessi nazionali e internazionali che non lo ritenevano sufficientemente disponibile ad assecondarli», come recita il manifesto e come, anche ieri, Massimiliano Smeriglio si è preoccupato di puntualizzare nell’introduzione, e poi di nuovo pure Bettini, che non avendo mai pronunciato la parola «complotto» trova incredibile che si definisca complotto quello che lui chiama «convergenza»).
Parole da cui peraltro Letta si era affrettato a prendere le distanze, sebbene indirettamente, facendo filtrare ai giornali tutta la sua contrarietà (eppure, di fatto, ribadite ieri da Bettini, quando ha dichiarato sibillino che «il governo Conte è morto di freddo»).
E indovinate un po’ chi è andato ieri all’iniziativa solennemente organizzata dalla nuova area di pensiero plurale (per gli amici: App), quasi omonima dell’iniziativa lettiana, a discutere insieme con quello stesso Giuseppe Conte che il manifesto fondativo dell’App definisce vittima di una «convergenza d’interessi nazionali e internazionali»? Non ci arriverete mai: Letta.
Come se non bastasse, giusto ieri Bettini, in un’intervista al Manifesto, aveva detto pure che il Pnrr presentato da Draghi «è un testo buono», in quanto «riprende sostanzialmente l’ultima stesura» di quello di Conte («È un testo buono. Riprende sostanzialmente l’ultima stesura del piano del governo Conte II, con alcuni rafforzamenti e miglioramenti»), e che «Letta sta lavorando bene», in quanto «ha confermato la strategia politica del precedente gruppo dirigente» («Letta sta lavorando bene. Ha confermato la strategia politica del precedente gruppo dirigente, con alcune innovazioni positive»).
E se ora vi state chiedendo perché vi abbia inflitto due volte gli stessi virgolettati, prima in sintesi e poi in versione integrale, ebbene, la ragione è che conosco i miei polli, e dovendo già avere a che fare con una corrente che non è una corrente e un complotto che non è un complotto, sinceramente, non mi andava di sentirmi accusare da qualche fanatico non-esponente della non-corrente di avere manipolato il non-discorso del loro non-capo.
Del quale ieri è stato davvero singolare ascoltare la lunga dissertazione, dopo un analogo intervento di Elly Schlein, sulle cose tremende fatte in questi anni dalla destra neoliberista (e/o sovranista) dinanzi al volto impassibile dell’uomo che fino a due anni fa, in Italia, ne sottoscriveva tutti i provvedimenti, come capo del governo gialloverde (e avrebbe continuato ben volentieri, se il capo della destra non lo avesse sfiduciato).
Quanto alla domanda di partenza – e cioè per quale ragione a una simile iniziativa sia andato Letta, contrario alle correnti e alla tesi centrale contenuta nel manifesto dei promotori di quella corrente in particolare – sinceramente non l’ho capito. Gli ho sentito dire che i dirigenti del centrosinistra si devono stimare e tenere per mano, per avere più empatia anche col paese. Ha detto, citando Dante: «Cara Elly, vorrei che tu Giuseppe e io…». Confesso di non essere riuscito ad ascoltare oltre.
Intendiamoci, non sarebbe certo la prima volta che in un partito, com’è accaduto tante volte anche nella storia delle nazioni, si formasse la corrente dei nostalgici del vecchio regime, il partito dei fuoriusciti, la fazione degli ultrà di un’altra dinastia e di un leader (o papa) straniero, con il dichiarato obiettivo di riprendersi tutto quello che è loro (a loro giudizio, s’intende).
Dai prodiani irriducibili agli irredentisti renziani, la storia del centrosinistra è costellata di simili episodi. Ma credo sia la prima volta che al simposio organizzato attorno a un’iniziativa del genere si presenti, di sua spontanea volontà, la pietanza.