Drappo rosso trionferà?Letta istiga Salvini ad abbandonare il governo, ma forse non è la mossa giusta

Il segretario democratico attacca l’imbertinottato leader leghista («Vuole uscire dall’esecutivo? Esca»). Ma ammesso che questi si faccia obnubilare da tale invito, un indebolimento di Draghi riconsegnerebbe l’Italia alla sua immagine di instabilità

Photo by Giovanni Calia on Unsplash
Il “moderato” Enrico Letta – lo sa bene chi lo conosce e chi ha osservato il suo fare politica negli anni passati – non è affatto un “moderato”. Solo chi non ne conosce la formazione alla scuola di Beniamino Andreatta e Romano Prodi (il pezzo più orgoglioso e “tosto” del cattolicesimo democratico, incline invece nella sua maggioranza alla mediazione più che alla competition) può essere rimasto interdetto davanti all’intervista di ieri a Lucia Annunziata.
Il segretario del Partito democratico è uno che incontra Matteo Salvini per poi bastonare Matteo Salvini medesimo, perché la sua è una logica che istintivamente predilige la contrapposizione alla composizione: è un tratto dell’ulivismo, nel bene e nel male. E poi, certo, anche perché, così facendo, Letta evoca per se stesso il ruolo di antagonista del capo leghista alle elezioni politiche del 2023 in uno schema tipicamente degli anni Novanta, dominati dal dualismo Prodi-Berlusconi: la Storia si ripeterà?
Quando poi in campo vengono le questioni ideali, morali, umanitarie, il segretario dem alza la voce in nome della nettezza e della radicaliità delle posizioni da opporre all’avversario, e dunque l’ultima catastrofe al largo della Libia, che oggettivamente ripropone l’urgenza di un ripensamento generale delle politiche sull’immigrazione, è apparsa a Letta, stuzzicato dalla Annunziata, come l’occasione perfetta per un attacco durissimo a Salvini, anche a costo di mettere in tensione la maggioranza che sorregge Draghi perché di fronte a queste cose, pensa Letta, non c’è mediazione in grado di annullare o anche solo smorzare le differenze. Se nulla questio sulla coerenza, c’è però da chiedersi il senso politico di questa sortita lettiana.
Perché è chiaro che la nuova tensione fra Pd e Lega esplode in un quadro già lesionato dal dissenso leghista sull’orario del coprifuoco con tanto di raccolta di firme che – ha ragione di lamentarsene Letta – ripropone quell’“imbertinottamento” di Salvini (il neologismo di Prodi evoca la rottura del suo governo per mano dell’allora leader di Rifondazione comunista) che appare come il Leitmotiv propagandistico del Pd contro la Lega.
Infine, la mossa fortemente identitaria del numero uno del Nazareno, che segue quella sullo ius culturae, gli consente di agganciare la parte più “radicale” del partito, quell’ala sinistra ex zingarettiana che ancora soffre per la caduta di Giuseppe Conte e l’avvento a Palazzo Chigi di Mario Draghi alla testa di un esecutivo con dentro una destra che prima non c’era.
Non è un mistero che da quelle parti si coltivi l’idea non di sostituire Draghi – nemmeno la fantasia di Walt Disney arriverebbe a tanto – ma di agevolare l’uscita del partito di Salvini dall’esecutivo, confidando che l’istinto animalesco (sia detto senza offesa) di quest’ultimo potrebbe condurlo esattamente lì, all’opposizione, postazione oltretutto per lui più favorevole per contrastare l’ascesa di Giorgia Meloni alla quale di fatto egli ha regalato l’esclusivo ruolo di oppositrice di Draghi. Letta non si è fatto problema di dirlo apertamente: «Vuole uscire dal governo? Esca». Come sventolare un drappo rosso davanti al toro.
Una linea simile, che non difficilmente può degenerare in scontro aperto fra i due partiti-cardine della maggioranza (essendo il M5s venuto meno), sottoporrebbe come detto il Governo Draghi a una tensione non esattamente benefica nel momento dello sforzo cruciale della campagna di vaccinazione e all’immediata vigilia del dibattito parlamentare sul Piano nazionale di resistenza e resilienza di questa settimana, oltre a dare in Europa – di nuovo – l’immagine di un Paese politicamente sempre in fibrillazione: proprio mentre la figura di Mario Draghi è quella su cui puntano gli Stati Uniti di Joe Biden e fondamentali circoli politico-economici europei per rimettere in piedi l’Europa come pedina fondamentale nel grande gioco geopolitico di questa fase storica.
E, su un piano più immediatamente politico, lo sbilanciamento provocato da un’eventuale uscita della Lega dal governo comporterebbe per forza un enigmatico ritorno in campo di quel M5s desaparecido (e forse moribondo almeno nella forma in cui lo abbiamo conosciuto sin qui), attendendo Letta il Conte-Godot capace di creare un oggetto misterioso alleato col Pd.
Ma poi è tutto da vedere se Matteo Salvini si farà obnubilare dal drappo rosso lettiano. Difficile che uno che ha compiuto una scelta così contro natura – entrare in una notte in un governo europeista – possa ora cambiare idea: anche perché (anzi, soprattutto perché) se Salvini davvero avesse in testa l’idea di pilotare la Lega fuori dal governo, si può star certi che i Giorgetti e i Garavaglia lo farebbero a pezzi. Resta alla fine la domanda: Enrico Letta sta facendo la mossa giusta?

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