«Il tasso d’insuccesso per i migranti che provano ad attraversare i confini a piedi è sempre più alto, direi intorno all’80%», spiega a Linkiesta Silvia Maraone, coordinatrice di progetto per Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli nei Balcani. «Le strade che percorrono sono le stesse usate dai trafficanti in macchina, quindi la polizia le conosce già. Finiscono come pesci nella loro rete. L’uso di droni, termocamere, sensori per il movimento: un impressionante dispiegamento di mezzi».
Ai confini orientali dell’Europa, i migranti della rotta balcanica continuano a essere respinti con brutalità. «Non si tratta più di un’esperienza singola: i migranti provano 30, 40 volte ad attraversare il confine, e gli agenti lo sanno. È il gioco del gatto e del topo», spiega Nando Signona, esperto in migrazione internazionale e direttore dell’Institute for Research into Superdiversity. Non a caso, gli stessi migranti hanno soprannominato the game, il gioco, i loro ripetuti tentativi di superare le frontiere di Croazia, Ungheria, Bulgaria e Romania. Un gioco in cui l’Europa continua a investire sempre di più, e non precisamente a favore dell’integrazione.
Secondo un’inchiesta del Guardian, i fondi per l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) sarebbero cresciuti da 6,3 a 238,7 milioni di euro tra il 2005 e il 2016, arrivando a toccare i 420,6 milioni quest’anno. L’aumento degli stanziamenti ha portato con sé una progressiva militarizzazione dei confini europei che includerebbe, secondo le testimonianze dei migranti bloccati in Serbia e Bosnia Erzegovina, l’uso di droni, termocamere, rilevatori di battito cardiaco e sensori di movimento da parte degli agenti di confine.
«Di notte, ci sono i droni. Penso ce ne siano una decina. Ti osservano. Non puoi attraversare il confine di notte perché se la polizia ti becca, ti riempie di botte», ha raccontato un migrante a uno dei cooperanti del Border Violence Monitoring Network nei pressi di Šturlić, in Bosnia. Nel suo ultimo report pubblicato a gennaio, il network di ONG e associazioni che operano in Grecia e nelle zone della rotta balcanica ha raccolto una serie di informazioni molto precise sull’impatto che queste tecnologie hanno sulla vita dei migranti e sulla provenienza dei fondi con i quali sono state acquistate dai governi locali.
Secondo i documenti esaminati dal BVMN, uno dei paesi ad aver investito di più nell’acquisto di nuove attrezzature è la Croazia. Tra il 2014 e il 2017, il Ministero dell’Interno croato avrebbe acquistato 8 rilevatori di battito cardiaco, 13 termocamere con un raggio di azione che va dai 2 ai 4 chilometri, 22 visori notturni e 8 microcamere per l’ispezione dei veicoli al confine. Il tutto grazie del Schengen Facility Instrument, il budget che l’Europa ha destinato al paese come «misura temporanea per il monitoraggio delle frontiere dell’area Schengen».
A questa attrezzatura si aggiungono 4 droni a lungo raggio e due set di droni a corto raggio acquistati dal governo croato da aziende private senza ricorso a fondi europei e destinati alla sorveglianza notturna delle zone di frontiera.
«Una volta hanno fermato anche me», racconta Maraone. «Ero in una zona tranquilla, stavo camminando su un sentiero al confine tra la Serbia e la Croazia dove ero già stata molte volte. Lì la frontiera non è ben segnalata, ma fino a qualche anno fa non sembrava essere un problema. A un certo punto mi sono trovata una pattuglia di polizia addosso: dovevano avermi trovata grazie ai sensori di movimento che piazzano sul confine».
Secondo le ONG presenti nella zona, l’uso di queste tecnologie per i respingimenti avrebbe contribuito all’inasprimento delle pratiche razziste e repressive contro i migranti. Una delle più diffuse, per una sorta di legge del contrappasso, riguarderebbe proprio i cellulari, l’unico mezzo tecnologico a disposizione dei migranti per orientarsi nei Balcani, mantenersi in contatto con i propri cari e gli altri migranti in viaggio e possedere una copia digitale dei propri documenti.
«Dipende molto dal telefono che hanno, ma in linea di massima, o glielo rompono a colpi di manganellate o glielo confiscano», afferma Maraone, che lavora a stretto contatto con i migranti di ritorno dal game in Serbia e Bosnia Erzegovina. «Li perquisiscono alla ricerca di soldi e oggetti di valore. Ultimamente sono arrivati anche ad aprire i pannolini dei bambini per vedere se per caso ci fosse nascosto qualcosa», conclude.
Secondo Amnesty International, pestaggi, trattamenti umilianti e distruzione di beni personali sono all’ordine del giorno per uomini, donne e bambini migranti che vengono fermati dalla polizia croata. Su sollecitazione dell’organizzazione stessa, l’Ufficio del difensore civico europeo ha quindi annunciato l’apertura di un’inchiesta “sulle possibili responsabilità della Commissione europea nel mancato rispetto dei diritti dei migranti e dei rifugiati da parte delle autorità della Croazia, nel corso di operazioni di frontiera finanziate dall’Unione europea”.
Anche Romania e Ungheria non hanno tardato ad adeguarsi al nuovo paradigma inaugurato delle autorità croate: secondo il Guardian, la Romania sarebbe in possesso di 117 termocamere e un numero imprecisato di rilevatori di battito cardiaco. Gli investimenti ungheresi nella gestione delle migrazioni sarebbero invece protetti da un emendamento del 2017. Tuttavia, le accuse da parte della Corte europea di giustizia sulla mancanza di trasparenza delle azioni degli agenti ungheresi hanno costretto Frontex a sospendere le operazioni a inizio anno.
Nonostante le continue denunce e segnalazioni da parte di attivisti e migranti, Frontex ha negato ogni correlazione tra l’aumento dei fondi e dell’uso di nuove tecnologie e le gravi violazioni di diritti umani nei Balcani, che sarebbero dovute invece a un «aumento della migrazione illegale» e, paradossalmente, «dell’uso di telefoni cellulari, che permettono di riprendere con facilità questi episodi».
Ma il ruolo della tecnologia nella questione migratoria va ben oltre il lato più pratico dei respingimenti. L’ultimo tassello del puzzle, infatti, è in arrivo entro il 2022: un database di impronte digitali e volti per i cittadini extraeuropei sviluppato da EU-LISA, l’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala e altre due aziende private europee (IDEMIA e Sopra Steria) per combattere l’immigrazione illegale e la criminalità.
Una volta in piedi, il progetto richiederà a tutti i cittadini extraeuropei che attraversano le frontiere dell’area Schengen di fornire i loro dati biometrici per favorire la loro identificazione.
«Misure di questo tipo vengono giustificate con il pretesto del contrasto all’immigrazione illegale, ma non tardano molto a penetrare nella società civile. Chiunque sembri un migrante diventa un potenziale target di queste tecnologie, anche cittadini italiani o europei a tutti gli effetti», spiega il professor Sigona.
Ma perché l’Unione non lascia da parte queste sofisticate (e costose) tecnologie per investire le sue risorse nell’integrazione? «L’Europa gioca sull’opacità di questi investimenti e sul loro utilizzo perché crede che investire in misure e provvedimenti a favore dell’integrazione incentivi i migranti a raggiungere i paesi dell’Unione, portando a un aumento degli arrivi. Neanche troppo segretamente, l’Europa cerca il risultato l’opposto».