Sprazzi di NovecentoI turisti del vaccino e il rito dimenticato di andare all’agenzia di viaggi

Il sogno è durato un lampo, ma abbastanza perché agli italiani smaniosi di andare a Belgrado per scegliere tra Pfizer, Sputnik e il cinese venissero offerti pacchetti completi con trasferta, accompagnatore, albergo e anche un giro culturale. Un salto nel passato, finito con «prima i serbi»

Immagine di Gerrie Van Der Walt, da Unsplash

Per una mattina ci siamo illusi fosse la rivalsa del Novecento, quel tempo di turismo sessuale e agenzie di viaggi.

Quando non c’erano Last Minute e siti di compagnie aeree low cost, quando se dovevi partire andavi in un ufficio dove una gentile signorina ti emetteva un biglietto aereo in carta copiativa.

Quando un personaggio di Verdone poteva mettere dei collant nel bagagliaio e partire alla volta dell’Europa dell’Est, dov’era certo di trovare signorine disponibili a farsi conquistare da regali che alle romane sarebbero parsi da poco ma nei paesi comunisti sembravano lussuosi.

Oggi quei collant sarebbero sessismo, colonizzazione, appropriazione culturale, sfruttamento e chi più ne ha; e le agenzie di viaggio, poi, credevo fossero tutte chiuse da anni, trasformate in cucine di poké (quelle ciotole di riso che infestano le pause pranzo nelle nostre città – o almeno le infestavano finché si andava in ufficio e si faceva la pausa pranzo).

Invece, ieri mattina, un sussulto di vita. Non c’è più il turismo sessuale, ma c’è il turismo vaccinale, e a organizzarlo è un’intraprendente agenzia di viaggi di Bologna.

Lo riportavano le pagine locali del Corriere, alle quali il proprietario dell’agenzia diceva di aver provato lui stesso a prenotarsi per accertarsi della fattibilità del vaccino per turisti in Serbia: «Ho provato a fare la richiesta per Pfizer, per quello non c’era immediata disponibilità, ma mi hanno offerto subito un appuntamento per Sputnik, AstraZeneca, o per il siero cinese» (la più persissima delle battaglie perse è quella per non far usare ai giornali «siero» come sinonimo di «vaccino»).

Quindi l’agenzia ti organizza la trasferta, l’accompagnatore «fondamentale per compilare i moduli in cirillico», l’albergo, ma il vaccino devi prenotartelo da te.

Senonché, sulle pagine dell’Ambasciata italiana a Belgrado, si dice che sì, effettivamente puoi prenotarti il vaccino pure se sei straniero, ma la conferma arriva per sms solo a un telefono serbo: sarà un trucco per vendere sim serbe agli italiani smaniosi di vaccinarsi? L’agenzia di Bologna per caso lavora per le compagnie telefoniche locali?

O forse l’indispensabile guida locale è indispensabile perché proprietaria d’un cellulare con numero serbo. (L’ambasciata, in una nota d’una settimana fa, precisa, evidentemente oberata dalle richieste, che la campagna di vaccinazione è organizzata dai serbi e a loro devono rivolgersi gli aspiranti turisti vaccinali italiani).

Se vi sembra di aver sentito già parlare del meccanismo, è perché la morte delle agenzie di viaggi era solo apparente. Certo, nessuno si serve più di loro per organizzare un weekend a Londra o l’estate al mare (lo so, lo so: non si può andare da nessuna parte, quali weekend, quali agenzie – ma io parlo di quell’eterno presente che è il 2019, quello che prima o poi tornerà). Ma c’è tutto il settore turismo dentale a tenerle in vita.

A Milano passi dal punto raccolta di corso Sempione, un pullman ti preleva e ti porta in Croazia. Lì, ti fanno un intervento dentale per un terzo di quel che ti chiederebbe un dentista italiano. Poi ti mandano in albergo con un antidolorifico che stenderebbe un pugile. La mattina dopo ti svegli e riparti, hai speso poco e hai risolto il tuo problema: i paesi ex comunisti sono per gli italiani del ventunesimo secolo persino più risolutivi di quanto lo fossero per i personaggi di Verdone nel Novecento.

Stranamente i dentisti italiani non hanno mai protestato (i colleghi croati non stanno forse a loro come Uber sta ai tassisti? Cos’è, i dentisti sono l’unica corporazione che non sappia farsi valere?), i vaccinandi serbi invece evidentemente sì.

Ieri sera l’Ansa batteva una secca smentita del responsabile per le vaccinazioni serbe. Sì, avevano pensato di vaccinare i turisti, ma chi promette viaggi vaccinali vi truffa, ora danno la precedenza ai serbi, e comunque non sarà certo un’agenzia a potervi prenotare, si prenota tramite sito governativo. Che, per la verità, è proprio quel che diceva l’articolo del Corriere.

«Sin dall’inizio abbiamo consentito anche ai cittadini stranieri, residenti e non residenti in Serbia, di prenotarsi sul portale eUprava, ma ora siamo concentrati sulla vaccinazione dei nostri cittadini serbi. Quando avremo vaccinato i serbi, allora sarà il turno dei cittadini stranieri». Prima i serbi. Mi ricorda qualcuno.

Chissà se ora arriveranno le proteste degli aspiranti pellegrini del vaccino, quelli che volevano tanto farsi quello cinese con copertura al 3 per cento, praticamente utile come un ventaglio che ti copra la bocca al posto della mascherina.

L’agenzia bolognese nel pacchetto della trasferta vaccinale metteva anche una «visita culturale», qualunque cosa essa sia, ma soprattutto suggeriva la possibilità di inserire il vaccino in una trasferta di lavoro.

Giacché, se vai all’estero per turismo, vaccinale o meno, al ritorno devi fare la quarantena. Ma, se vai per lavoro e torni entro 120 ore (cinque giorni), la quarantena non è dovuta.

Centoventi ore per infettarti non posson bastare. In compenso mica le lavorerai tutte e centoventi: possono contenere la visita culturale e, se proprio hai una carie, magari anche un’otturazione.

Purtroppo non a pie’ di lista, giacché è finito il Novecento, e con esso quelle vacche grasse che permettevano di segnare qualunque follia in nota spese. Persino, ce ne fosse stato uno allora, un vaccino che ti coprisse al 3 per cento.

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