Filosofia del recuperoLa rinascita architettonica e sociale dell’Italia parte dalle Vele di Scampia

Gli edifici di Napoli sono stati per anni il simbolo del disagio e della criminalità, anche se il loro progetto, in termini urbanistici e civici, era considerato molto innovativo all’epoca della costruzione. Con il Next Generation EU questi edifici potrebbero quindi ritrovare uno scopo residenziale, anziché una ulteriore demolizione/umiliazione, e il loro valore per la comunità

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L’architettura è anche politica e come tale trasmette messaggi, anzi è essa stessa un messaggio, motivo di scontro, di ideologie. Molte epoche hanno determinato stili legati indissolubilmente al momento storico. Basti pensare al Razionalismo ancora oggi, da alcuni pochissimi a dir il vero, mal digerito perché associato al Fascismo. Viceversa nessun complesso di edifici ha suscitato in oltre trent’anni, sdegno e condanna quasi unanime, diventando simbolo del Male.

Mi riferisco al complesso delle Vele di Scampia, i cui edifici hanno subito attacchi violenti bipartisan, agitato le folle, scaturito comitati, servizi giornalisti ed inchieste. Nessuna opera d’architettura, perché di questo si tratta, è stata così vituperata e considerata prodromica di tutti i disagi della società.

Progettati alla fine degli anni 70 dal noto architetto Franz Di Salvo, vincitore di un concorso Incis a seguito della legge 167/62, ebbero all’inizio unanime consenso. Il progetto infatti era molto innovativo per l’epoca, tanto da godere dei favori della prestigiosa rivista dell’INU, emanazione dell’Istituto di Urbanistica fondato nel 1930. Si basava dal punto di vista formale alla corrente del “brutalismo”.

Come è noto il “brutalismo” fu una corrente architettonica così definita perché privilegiava l’impiego, anche formale non solo strutturale, del cemento grezzo con i ferri, “Béton brut” per l’appunto. I prodomi e il manifesto, si ebbero con “l’antiarte” di Jean Dubuffet, con l’Art Brut. A questa corrente, nell’architettura, aderirono per primi gli inglesi Allison e Peter Smithson, poi Marcel Breuer ed Italia Vittoriano Viganò, Enrico Castiglioni, Giancarlo De Carlo, Peressutti e Roger’s ed anche Franz Di Salvo.

Di Salvo fu anche ispirato, come concetto sociale, all’Unitè d’Habitation, altro esempio di brutalismo, di Le Corbusier, affermando il principio della socialità nell’architettura. Si privilegiava infatti il concetto del vivere insieme, della collettività, le singole unità abitative erano contenute, viceversa svettavano grandi spazi comuni sospesi per bambini e anziani. In realtà si tentava di  clonare la vita in comune dei bassi di Napoli, in verticale anziché in orizzontale.

La mancata realizzazione di alcuni elementi materici, dei sottoservizi, delle infrastrutture, nonché la  quasi “deportazione” degli assegnatari e successiva occupazione di altri, senza una adeguata preparazione a questo nuovo modo di abitare, comportò il fallimento del progetto. In breve un progetto utopico si trasformò in distopico e la componente socioculturale economica qui ha fatto la differenza, se pensiamo che progetti analoghi, come il noto complesso “La baie des Anges” a Villeneuve Loubet, è ancora adesso un apprezzato ed agognato luogo per viverci, e a costi proibitivi per l’élite dei proprietari, per lo più possessori delle barche ormeggiate nel prospiciente porticciolo.

La differenza è solo questa. Ma io continuo a difendere l’esperimento Vele, un innovativo, impegnato, ardito progetto anche per l’aspetto strutturale. Emblematico il suo resistere ai vari tentativi di abbattimento, la prima Vela nel ’97 non voleva morire, ci vollero 3 tentativi con diverse cariche di tritolo e io tifavo per lei, come l’elefante che resiste ai bracconieri.

Trovavo triste lo spettacolo dei gaudenti che plaudivano, una ritardata ed insulsa apoteosi di riconoscimento tardivo di una classe sociale dimenticata. Anche le altre due con fatica vennero demolite tra il 2000 ed il 2003 e la Verde nel febbraio del 2020. Restano così ancora da abbattere, ed auspico di no, le Vele C e D, costo previsto più di 20 milioni di euro, probabilmente una sola, la Vela Azzurra, ma non è certo, verrà riconvertita in edificio ad uso terziario. Come me la pensa anche Saviano, con il quale mi trovo molte volte non in linea, ma che spese parole illuminanti per questa architettura ingiustamente vituperata, usata ed abusata però come fondale scenografico della trasposizione cinematografico di Gomorra e di altri film.

Auspicherei un recupero anche a scopo residenziale in una commistione sociale di individui, anziché un ulteriore demolizione/umiliazione, perché io così l’ho vissuta, esecrando i lugubri festeggiamenti, oltre che demagogici ed inopportuni.

Se vogliamo guardare al futuro post pandemico e all’uso corretto dei fondi a valere sul piano Next Generation EU, anche l’architettura e il suo mondo dovrà dare un contributo per riconciliare l’uomo alle città, ai luoghi, all’ambiente in cui vive. Si può trovare anche nelle Vele la Bellezza, basta scrollarsi pregiudizi, ottusità ideologie nefaste, scaramantiche visioni, studiare la storia  dell’architettura, saper guardare il cemento nella sua cruda poesia, il “brutalismo” questo significa e deve rimanere.

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