Se c’è una corsia del supermercato dove è possibile vedere il panico negli occhi degli sventurati con il cestino a rotelle, quella è la corsia della birra. Gente visibilmente confusa alla ricerca di etichette che gli forniscano un motivo, una ragione per essere scelte. Un disastro.
Fissiamo bottiglie andando avanti e indietro lungo tutto lo scaffale e non riusciamo a prendere una decisione, finisce che scegliamo per sfinimento.
Negli anni siamo diventati più bravi a leggere le etichette di ciò che acquistiamo ma quando si tratta di birra, tutto assume le sembianze di geroglifici, con le industrie birraie che pare amino vederci così smarriti.
Aggiungiamoci poi il fatto che questo mercato, in Italia, è stato completamente rivoluzionato con lo sviluppo dei birrifici artigianali lungo tutto il Paese che hanno fatto cultura sul tema ma che poi fatichiamo a ritrovare dentro un supermercato.
Abbiamo già provato a guidarvi nella scelta, oggi invece facciamo nomi e cognomi con tanto di voti. Insomma, è il momento delle pagelle!
Birre Industriali
Sono birre spesso di proprietà di grandi multinazionali che detengono molti brand in giro per il mondo e grandi budget da investire in quel marketing che ci convince a sceglierli. In altri casi, si tratta di realtà più ridotte ma non abbastanza da essere concepiti come birrifici artigianali.
Viktor, lattina – 1
Questa pilsner si trova in alcuni supermercati solo in lattine da 33 o da 1l. Costa meno dell’acqua con residuo fisso altissimo perché fatta usando anche semola di mais, manco fossero orecchiette pugliesi. Non toglie nemmeno la sete ma di sicuro aggiunge sguardi indignati di chi vi vedrà con questa roba in mano.
Williambrau, lattina – 2-
È importante ricordare che la birra in lattina non è assolutamente un indice di bassa qualità. Molti birrifici, specialmente quelli artigianali stanno investendo in questo formato che, oltre a essere sostenibili, regala un nuovo modo di consumare la birra. Provate! Ovviamente non in questo caso: la Williambrau ha il gusto di bomba inesplosa della Seconda Guerra Mondiale: quando ne trovate una, dovete evacuare la zona.
Corona – 2
Bottiglia trasparente che non fa mai bene alla birra e ingredienti che manco nelle ricette del fast food: acqua, malto d’orzo, estratto di luppolo, granturco, riso, Antiossidanti E300, Addensante E405. Se volete rivivere il sogno delle spiagge d’estate, meglio farlo con un bicchiere di acqua e sale.
Messina – 2 ½
Quella che una volta era l’emblema delle serate d’agosto alle Isole Eolie, la birra che veniva tagliata con un tocco di granita limone all’ora dell’aperitivo e a cena si accompagna con gli arancini, oggi è una cosa prodotta a Taranto e con aggiunta di mais. Possiamo accettare che la genovese sia un piatto napoletano ma che la birra Messina venga fatta in Puglia no, non ci sta bene. Riportate il marchio al suo posto!
Moretti filtrata a freddo – 3-
Un applauso a questa new entry nel panorama delle birre di cui non sentivamo il bisogno. Anni in cui ci spiegano che il vetro trasparente non fa bene alla birra e niente, lo usano comunque ma spiegandoci che “è stato trattato con un processo specifico che impedisce alla luce di alterare il profilo organolettico della birra conservando così le sue qualità dal primo all’ultimo sorso”. Sarà il vetro usato dalle prime navicelle spaziali quando ancora il finestrino si abbassava con la manovella? Chi lo sa. Qui più che estratti a freddo siamo rimasti di gelo per una birra che comunque risulta sgasata subito dopo averla aperta.
Ichnusa chiara – 4
Una buona birra, compresa quella industriale, dovrebbe essere fatta di solo acqua, malto d’orzo e luppolo. L’utilizzo di altri cereali per la fermentazione è un modo per abbassare i costi di produzione e quindi la qualità. Le birre industriali in Italia sono spesso piene di mais. Nessuna birra qui avrà la sufficienza se contiene mais. A Ichnusa abbiamo dato il massimo possibile perché sappiamo essere amata da molti consumatori. Nata in Sardegna, oggi residente a Heinekenland, questa birra la amiamo solo perché ci dicono sempre che non possiamo odiarla.
Tennent’s – 5-
Pare sia gettonata più in Italia che in casa sua (UK). Il motivo è probabilmente dovuto alla caratteristica di essere leggerina negli aromi e nel gusto ma molto alcolica: i ventenni ci vanno a nozze! Ecco, lasciamola bere a loro e speriamo si convertano presto in una ricerca altrettanto alcolica ma di qualità!
8.6 Original – 6-
Una birra olandese di proprietà di una multinazionale come Bavaria che produce una doppio malto senza pregi particolari. L’abbiamo provata solo per poterci chiedere qual è il valore aggiunto di scegliere questo prodotto. Risposta: nessuno in particolare.
Ceres Strong Ale – 6
Prima di tutto un sentito grazie al team social che per anni ci ha fatto molto ridere e ha dato slancio a una birra che rischiava di perdersi tra le mille etichette a scaffale. Ma noi non siamo qui per farci corteggiare dal marketing! Questa birra danese è una Strong Ale, ovvero birre ad alta gradazione alcolica che ha in genere sentori di malto piuttosto intensi. Per certi stili sarebbe meglio orientare la scelta su birre artigianali.
Poretti 4 luppoli – 6+
Non 3, 5 o 9. Questo brand (ora di proprietà della multinazionale Carlsberg) ad un certo punto ha iniziato a chiamare le birre come fosse la saga di Rocky Balboa. Dal punto di vista di comunicazione pare abbia funzionato e il successo sembra evidente. In ogni etichetta ci sono ingredienti che non ci mettono serenità oltre al fatto non è dato avere informazioni sui luppoli e loro differenze. Tra tutte però troviamo un buon rapporto qualità-prezzo con la versione 4 luppoli. Certo non la offriamo agli ospiti ma possiamo berla da soli, al buio.
Tuborg – 6+
Birra Danese sempre di casa Carlsberg. Ci ricorda Nastro Azzurro nell’aspetto ma questa è fatta senza uso di cereali che non siano orzo. Birretta come tante altre ma che ci regala un pizzico di emozione in più.
Messina cristalli di Sale 6+
Si tratta di una birra a cui viene aggiunto sale siciliano e che quindi vuole ricordare le birre artigianali Gose tipiche per la loro salinità. Questa è una di quelle birre con cui le multinazionali si travestono da produttori artigianali e locali. Come per Ichnusa, Cristalli di sale piace a molti consumatori ma gli appassionati del settore avrebbero molto da ridire. La lista ingredienti qui è più autentica della versione classica e una piccola parte di questa produzione è effettivamente fatta a Messina. Ci accontentiamo ma teniamo d’occhio la situazione.
Ichnusa non filtrata 6 ½
A parte la forma della bottiglia, che ricorda uno di quei bidoni di alcolici ai tempi del proibizionismo, questa birra non contiene il mais tra gli ingredienti e si presenta non filtrata. Aspettatevi quindi un colore torbido e il gusto di una birra industriale che però si lascia bere.
Vedet Pilsner – 6 ½
Spinti dalla forma e dall’etichetta di questa bottiglia che arriva dal Cile, ci siamo lasciati convincere senza leggere tanto. Peccato, abbiamo scoperto che è fatta con anche il riso come tante birre non buone. La schiuma è molto persistente e il gusto è leggero, molto fresco. Può sicuramente piacere a molti per questo motivo ma non a noi.
Paulaner, Munchner hell – 7-
Nel reparto birra è pieno di monaci nelle etichette come fossimo a San Giovanni Rotondo. Ma chi conosce un po’ la storia di questa bevanda sa che i monaci hanno contribuito molto alla cultura brassicola. Paulaner, è una delle tante birre monacali (oggi in parte posseduta da Heineken). È la lager per eccellenza della Baviera.
Chimay, Brown Ale 7
Quando pensavamo che birra Peroni fosse lusso, Chimay era già lì, desolata sullo scaffale nella speranza che qualcuno la capisse. Ci sembrava roba made in China e invece è un brand belga di tutto rispetto. La trovate in diversi stili al supermercato, noi abbiamo provato al Brown Ale: una birra da 7 gradi che potete provare per iniziare ad alzare l’asticella.
Chouffe – 7+
Lo gnomo sull’etichetta è ormai diventato iconico. Non siete al reparto giocattoli ma sempre a quello della birra. Questa etichetta, anch’essa belga, è storicamente presente in GDO ed è probabilmente una delle prime che abbiamo assaggiato tra le birre “particolari”, in gioventù. È, e rimane un buon compromesso tra le birre di importazione disponibili al supermercato.
Vaurien V5 – 7 ½
Una pils proveniente dal Belgio con un’etichetta quasi invisibile. Una chicca che abbiamo trovato al supermercato e speriamo rimanga a lungo. Decisamente superiore ad altre birre chiare industriali, fatta con gli ingredienti classici e una parte di frumento. Vale una prova, anche due.
PilsnerUrquell – 8
La birra base che troviamo al supermercato è una versione ormai devastata di un genere che si chiama Pils. Questo stile è stato creato proprio da PilsnerUrquell in Repubblica Ceca e ancora oggi si mantiene fedele alla produzione autentica ed è facilmente reperibile al supermercato. Scegliere questa birra è come scegliere la Nutella nel reparto delle creme spalmabile: sarà industriale ma è pur sempre la prima.
Damm Complot IPA 8+
Si definisce la prima Mediterranean IPA, prodotta dell’industria brassicola spagnola. Il motivo è perché si utilizzano ben 8 varietà di luppolo coltivato in loco. Etichetta attraente, birra con un’idea, un valore e anche un sapore che non lascia per niente indifferenti già al naso. Dal sito ci dicono che la disponibilità del prodotto dipende dalla disponibilità di luppolo. Meglio fare una scorta se la trovate!
Birre industriali d’Italia
Se proprio dobbiamo comprare birra industriale, scegliamo local! Ci sono molte realtà – anche storiche- che non rientrano nell’ambito della birra artigianale ma che si basano su produzioni locali, che hanno impatti positivi sul tessuto produttivo di determinate aree del Paese e che appartengo all’identità di città/regioni. Queste birre non sono sempre distribuite a livello nazionale ma ogni area ha un po’ le sue.
Morena – 5
Tutti i lucani bevono birra Morena. È la birra che troviamo anche nei bar dai tavoli in plastica, nelle grigliate ignoranti e nelle sere con la pizza surgelata. C’è bisogno anche di queste e piuttosto che una qualsiasi, meglio una appartenente a un capitale italiano.
Forst Sixtus – 5 ½
Di Forst, azienda che ha la sua produzione nella provincia di Bolzano, abbiamo provato un’alternativa alla classica birra pils. Sixtus è una doppio malto che ci vuole ricordare le birre dei monasteri. Il rapporto qualità-prezzo è ottimo ma anche qui leggiamo tra gli ingredienti il gritz di mais. Ma a Forst riconosciamo una lunga tradizione italiana di birra da supermercato che si fa rispettare.
Birra Castello e Pedavena – 6 –
Quella di Castello è una storia giovane rispetto ad altre industrie della birra italiana. Questa azienda produce due etichette note e distribuite sicuramente nei supermercati del nord Italia: Castello e Pedavena. Entrambe queste etichette si portano dietro un’abitudine delle pilsner italiane: l’uso di mais in produzione. A voi la scelta!
Birrificio dello Stretto – 7 ½
Nei pomeriggi di luglio in spiaggia, il sole andava tramontando sullo Stretto e i ragazzi stappavano Birra Messina. Nelle spiagge della periferia a Sud della città c’erano molti dipendenti dello storico birrificio che arrivavano dalla fine del turno, giusto in tempo per l’ultimo bagno. Era una storia bella quella di Birra Messina che poi Heineken ha fatto concludere rilevando il marchio – nato nel 1929 – e mettendo fine a un’azienda locale piena di dignità. Dopo tante lotte, gli storici dipendenti decidono di ridare un birrificio alla città e fondano il Birrificio Messina, con i marchi Birra dello Stretto, Doc 15 e le versioni di birra cruda e non filtrata. Tutte fatte con ingredienti base e continuando la tradizione di inizio secolo. Una birra da sostenere!
Birre Artigianali
Sono birre prodotte da birrifici indipendenti e che non eccedono nel quantitativo di produzione stabilito. L’Italia è uno dei pochi Paesi EU che ha regolamentato questo prodotto proprio perché i birrifici artigianali sono diventati ormai molti, sparsi in tutto il Paese. Regola per il consumo di queste birre: berle il prima possibile rispetto alla data di imbottigliamento.
Prato Rosso, Bianca Cruda – 7-
Un birrificio artigianale che riesce a presidiare il supermercato vale il nostro assaggio. Abbiamo optato per la bianca cruda (ovvero una birra non pastorizzata). Poco amara e con una persistenza leggera. Tra gli ingredienti anche frumento e buccia di arancia. Non ci ha fatto impazzire di gioia ma non possiamo pretendere sempre troppo da una birra.
Lagunitas 12Th of never, lattina – 7+
Alla faccia del km zero, questa birra viene direttamente dalla California ma ne vale la pena. Risultato è più che positivo per una birra sicuramente non economica e potrebbe intimorire, visto il formato in lattina. Una birra ben fatta che si è spinta fino ai supermercati italiani per farsi apprezzare insieme alla versione IPA, in bottiglia. Altro pezzo notevole che merita l’assaggio.
Collesi Rossa – 7 ½
Troviamo questa etichetta nel formato 75cl e nella versione bionda, rossa e ambrata. Azienda marchigiana, Collesi ha raccolto diversi premi in giro per il mondo e si attesa tra i birrifici artigianali con la maggiore produzione di birra in Italia. Questo le offre il vantaggio di presidiare i supermercati con le sue etichette che sono assolutamente da provare. Anche se sono molti a non amare la birra nei grandi formati, specie se non chiare.
Mastri Birrai Umbri – 8 ½
Forse la birra artigianale più facile da trovare nelle diverse catene. Negli anni si è posizionata con importanti riconoscimenti e premi e si distingue per le sue birre fatte con ingredienti di qualità, capaci di offrire profumi e sapori che poco hanno a vedere con le altre birre a scaffale. Lanciatevi in una prova e non ve ne pentirete!
Baladin – 9
Il giorno in cui in Italia esplose la febbre della birra artigianale, Baladin e il suo fondatore Teo Musso erano in prima fila a farci innamorare di qualcosa di nuovo, in un’Italia che pensava che bere bene fosse solo un discorso chiuso al vino e poco più. Nazionale è la Blond Ale di Baladin presente nella grande distribuzione. Una birra che sostiene la filiera agricola italiana con l’utilizzo di malto e luppolo 100% italiani. Un prodotto che non ha competizione sullo scaffale del supermercato.
Birra analcolica – 0
Ultimo appunto su questa categoria bizzarra. Non è tanto colpa di chi le compra ma di chi le produce. Non riusciamo a spiegarci il senso di una birra senza alcol, non tanto perché ci piace fare gli sbruffoni ma perché esistono soft drink meritevoli di ben più stima. Cheers!