Quesiti linguisticiChe differenza c’è tra “astuto”, “furbo” e “scaltro”? Risponde la Crusca

Alcuni di questi aggettivi hanno un connotato positivo, altri no. Ma dipende molto anche dai contesti in cui li usiamo

(Unsplash)

Tratto dall’Accademia della Crusca

Alcuni lettori ci chiedono se astuto, furbo e scaltro abbiano un senso almeno in parte diverso e, in tal caso, a quale di essi si possa assegnare un significato più negativo.

Risposta
I quesiti sono interessanti sul piano semantico, perché pongono due problemi abbastanza complessi: la sinonimia e la connotazione, in senso positivo o negativo, che alcune parole possono assumere a seconda degli ambiti d’uso. Due o più lessemi, per essere considerati sinonimi totali, devono potersi scambiare in tutti i contesti possibili e appartenere allo stesso registro linguistico, circostanza che è rara in ogni lingua e che, come vedremo, non avviene neppure nel nostro caso. Tuttavia, alla domanda dei nostri lettori si potrebbe sbrigativamente rispondere che i tre aggettivi sono sostanzialmente equivalenti, riferendosi a chi è abile a escogitare il modo per evitare un pericolo, per risolvere a suo favore una situazione difficile, per raggiungere i propri scopi anche senza grandi sforzi. Se questa capacità, di per sé, può essere valutata positivamente, non di rado le azioni messe in campo da chi è astuto, furbo o scaltro, avvengono col ricorso a inganni o comunque ad abili espedienti e, cosa ancora più grave, a danno di altri. Ed ecco quindi che gli aggettivi (e i sostantivi a cui sono connessi: astuzia, furbizia, scaltrezza) assumono non di rado un valore negativo, che può finire anzi col diventare quello predominante.

Una sostanziale ambiguità, del resto, è nel concetto ancor più che nella parola, come dimostra l’eroe della mitologia greca che possedeva, al massimo grado, la dote dell’astuzia: Odisseo/Ulisse, il cui epiteto omerico è polytropos ‘d’ingegno versatile’. L’eroe, protetto da Atena/Minerva, dea della sapienza, fu capace di trovare il modo di salvare sé stesso e i suoi compagni dal ciclope Polifemo (azione che gli fa onore), ma fu anche responsabile di aver ideato il cavallo di Troia che permise ai Greci di aver la meglio sui Troiani con l’inganno e non con il valore delle armi (azione in seguito alla quale Dante lo collocherà all’Inferno).

Un altro esempio letterario che possiamo citare, di molti secoli più tardo, è quello di Rosaura, la protagonista della commedia La vedova scaltra di Carlo Goldoni (1748), che nel momento del congedo sente il bisogno di scusarsi col pubblico per aver scelto il suo nuovo marito dopo aver messo alla prova la fedeltà dei suoi quattro pretendenti ricorrendo a una serie di travestimenti:

Ecco dunque condotto felicemente a fine ogni mio disegno. […] Confesso di aver operato nelle mie direzioni da scaltra, ma siccome la mia scaltrezza non è mai stata abbandonata dalle massime d’onore e dalle leggi della civil società, così spero che sarò, se non applaudita, compatita almeno, e forse forse invidiata.

Con queste premesse, analizziamo ora i tre aggettivi guardando al loro uso attuale e alla storia. Se prendiamo come punto di riferimento il GRADIT, troviamo una prima importante indicazione: astuto e furbo appartengono entrambi al cosiddetto “Vocabolario di base” dell’italiano, anche se non al lessico fondamentale (cioè ai circa 2.000 lessemi noti a tutti gli italiani): furbo è inserito tra le parole di “alto uso”, astuto tra quelle di “alta disponibilità”. Quanto a scaltro, fa parte invece del più ampio “vocabolario comune” e quindi è una parola che si adopera di meno.

Il dato è confermato dal corpus del PTLLIN, che, per quanto riguarda le forme al maschile singolare, restituisce 26 occorrenze in 13 opere per scaltro, 51 occorrenze in 31 opere per astuto, 98 occorrenze in 41 opere per furbo (al femminile i dati sono questi: scaltra 5 occorrenze in 5 opere, astuta 21 in 16 e furba 40 in 26). Se però si guardano i dati di Google Books Ngram Viewer relativi alle attestazioni nello scritto dal 1800 al 2019, risulta che al maschile singolare furbo ha superato in frequenza scaltro già nel 1868 ma astuto solo negli anni intorno al 2000. Al femminile, invece, il sorpasso sia di scaltra sia di astuta da parte di furba risale a dopo il 2000; prima questo aggettivo è stato sempre minoritario e ciò molto probabilmente si deve all’esistenza di titoli come La vedova scaltra, la commedia di Goldoni prima ricordata, o La piccola volpe astuta, l’opera del compositore ceco Leoš Janáček (1923), autore anche del libretto. Tutti e tre gli aggettivi, comunque, sia al maschile sia al femminile, hanno avuto negli anni più recenti una crescita, che nel caso di furbo si direbbe una vera e propria impennata.

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