Non è stato facile per Katalin Kariko far capire il potenziale della sua scoperta. La biochimica ungherese, specializzata in meccanismi mediati dall’RNA, ha sviluppato l’mRNA trascritto in vitro per terapie proteiche. Ovvero la molecola che ha aperto la strada ai vaccini contro il coronavirus, sviluppati da BioNTech/Pfizer e Moderna.
Come spiega un articolo del Financial Times, dopo innumerevoli false partenze, Kariko è riuscita a depositare il brevetto della scoperta spiegando a un responsabile della proprietà intellettuale dell’Università della Pennsylvania che l’mRNA sarebbe stato in grado di accelerare la ricrescita dei capelli – il responsabile in questione era un uomo calvo. Non proprio un’applicazione nobile se messa in conforto ai vaccini anti-Covid.
Kariko adesso è considerata una luminare, ma per decenni la sua ricerca è stata liquidata come un risultato secondario dalla maggior parte dei suoi colleghi. Nel campus dove lavorava era soprannominata la “spacciatrice di mRNA” e l’acrobazia compiuta per il dubbioso funzionario della proprietà intellettuale è solo uno dei quasi incidenti che avrebbero potuto impedire lo sviluppo dei vaccini con l’mRNA. Sebbene l’mRNA fosse stato testato relativamente poco sugli esseri umani prima della pandemia, i vaccini che utilizzano la sua tecnologia funzionano estremamente bene – con tassi di efficacia di oltre il 90%, notevolmente superiori rispetto alle vaccinazioni rivali.
Pertanto, i giorni di gavetta senza successo di Kariko oggi sono un lontano ricordo. «Ora che la tecnologia è provata, può essere impiegata per affrontare una moltitudine di malattie, dal cancro alla fibrosi cistica, l’HIV e i difetti cardiaci», si legge nell’articolo. Nonostante tutte le cautele elencate in questi giorni dalla comunità medica, se gli scienziati potessero interrompere il processo di trasporto di messaggi difettosi del DNA inserendo copie corrette di mRNA nel corpo, potrebbero fermare le malattie correlate. «Un corriere biologico creato dall’uomo sarebbe in grado di intercettare il set errato di istruzioni genetiche e consegnare invece la copia giusta», spiega il quotidiano britannico.
Kariko ha iniziato a lavorare sulle molecole di RNA negli anni ’80 al Centro di ricerca biologica di Szeged nella sua Ungheria. I fondi a disposizione terminarono presto senza che Kariko avesse trovato risposte fondamentali. Per proseguire il suo lavoro la biochimica iniziò quindi a cercare nuove Università in grado di sostenerla. Nel 1985 si assicurò un lavoro alla Temple University in Pennsylvania, ma lasciare l’Ungheria, ancora dietro la cortina di ferro, non fu semplice. «Ho avvolto i soldi, li ho inseriti nell’orsacchiotto di mia figlia di due anni e l’ho ricucito», dice Kariko al quotidiano raccontando la storia di come è riuscita a emigrare negli Stati Uniti portandosi dietro i pochi risparmi che aveva con il marito.
La carriera accademica negli Stati Uniti è tuttavia un insuccesso. L’insicurezza caratterizza tutte le sue esperienze nei campus ed è persistentemente sull’orlo dell’esaurimento dei fondi. Kariko però non perde mai la fiducia nel potenziale dell’mRNA, e si ostina a “spacciarla” come la molecola che un giorno si sarebbe trasformata in una terapia umana – un farmaco o un vaccino – e avrebbe salvato vite umane.
Il tempo gli ha dato ragione, ma in quegli anni sono stati in pochi a credergli. Uno tra questi è stato Drew Weissman, un collega accademico alla Temple University in Pennsylvania che stava studiando le cellule dendritiche, che svolgono un ruolo fondamentale nel sistema immunitario del corpo. «Kati e io abbiamo deciso di provare ad aggiungere il suo mRNA alle mie cellule. Siamo rimasti molto sorpresi dai risultati», confessa Weissman.
Inizialmente, però, non in positivo. Quando l’mRNA è venuto in contatto con le cellule è scattata una risposta immunitaria infiammatoria, riconoscendo il materiale come estraneo. La cosa strana è che il corpo umano pullula di mRNA prodotto naturalmente, oltre al fatto che si trattava di una notizia pessima per Kariko, perché condannava le sue molecole come non adatte per una terapia per i disturbi umani.
Eppure Weissman e Kariko continuarono a lavorarci. E nel 2005, dopo aver lavorato insieme per otto anni, la coppia compie un importante passo avanti, senza il quale i vaccini contro Covid-19 non esisterebbero: «apportando modifiche chimiche all’mRNA potevano inserirlo nelle cellule dendritiche senza attivare un risposta immunitaria. Ovvero, inducendo le cellule a pensare che le molecole vengono prodotte all’interno del corpo piuttosto che in un laboratorio».
Ciò significava, almeno in teoria, che l’mRNA poteva essere trasformato in una terapia per gli esseri umani. Peccato che tutto il lavoro dei due scienziati non venne riconosciuto, e soprattutto finanziato, da nessuno. Fino all’arrivo di Derrick Rossi.
Rossi, un altro scienziato che non aveva mai sentito parlare di Kariko e Weissman, lavorava come assistente professore presso la Harvard Medical School e cercava di utilizzare l’mRNA per produrre cellule staminali, cioè quelle cellule immature che non si sono ancora sviluppate in un tipo specifico.
«L’idea di Rossi era di replicare i risultati dello scienziato giapponese Shinya Yamanaka – che aveva dimostrato che era possibile trasformare qualsiasi cellula del corpo umano in uno stato simile a una cellula staminale embrionale inserendo quattro geni – usando invece l’mRNA per riprogrammare le cellule della pelle umana in modo che potessero agire come se fossero cellule staminali», si legge ancora.
Un’idea brillante che tuttavia non era affatto utile per una applicazione medica. «Così abbiamo pensato: eliminiamo l’intera integrazione del DNA utilizzando l’mRNA. L’mRNA non si integra nel DNA. Non torna indietro e non altera geneticamente nulla in modo permanente» spiega Weissman.
La formula, finalmente, sembra quella giusta. Se non fosse per lo stesso impedimento che aveva ostacolato Kariko e Weissman. «Le cellule rispondevano come se fosse entrato un virus, si stavano uccidendo», dice. Così Rossi decide di approfondire gli studi sui paper di Kariko e Weissman, passati in gran parte inosservati nel mondo scientifico, e capisce quale potrebbe essere la soluzione.
«Abbiamo studiato i documenti e abbiamo pensato di prendere questi dannati mRNA e farli girare nella cellula senza essere riconosciuti», dice Rossi. Le modifiche chimiche di Rossi all’mRNA che Kariko e Weissman avevano sperimentato si rivelano vincenti, così come l’esperimento utilizzando la proteina fluorescente verde, che conferisce alle meduse il loro splendore etereo.
Le scoperte dello scienziato vengono così pubblicate nel 2010 con grande successo, e tutto sembra filare per il verso giusto. Ma Rossi, Kariko e Weissman avevano bisogno di soldi. Tanti soldi. Arrivò in loro soccorso Bob Langer, un ingegnere chimico del Massachusetts Institute of Technology e un colosso nel mondo delle biotecnologie. Successivamente si unì Noubar Afeyan, un venture capitalist che ha fondato Flagship Pioneering nel 2000 e nel 2010 una società dal nome Moderna.
Il passo è breve: la società ingrana e diventa un punto di rifermento nel panorama scientifico. L’amministratore delegato diventa Stéphane Bancel, e grazie a lui i soldi cominciano ad arrivare. «Altri dirigenti biotech hanno espresso incredulità sul fatto che gli investitori fossero disposti a cedere così tanto denaro a un’azienda che lavorava in quella che era – e in larga misura è ancora – un’area della scienza non testata», si legge nell’articolo.
A questo punto, arriva il Covid-19. La società di Bancel stava già lavorando a un vaccino con l’Istituto nazionale statunitense di allergie e malattie infettive e proprio grazie al manager francese, e agli introiti che ha fatto confluire nel settore della ricerca, la società è pronta per cambiare le regole della scienza. Nel giro di pochi mesi il vaccino contro il coronavirus è così disponibile.
Un processo mai visto prima, che lascia però nell’ombra le scoperte di Kariko e Weissman. «Non puoi raccontare questa storia senza di loro e le loro intuizioni fondamentali», afferma Stephen Hoge, il presidente e vice di Bancel. Ma la società ci tiene anche a sottolineare che ha fatto di più che semplicemente commercializzare delle scoperte scientifiche: «ha deciso, ad esempio, di utilizzare mRNA modificato e non immunogenico all’interno di un vaccino, e quindi di somministrare la dose utilizzando nanoparticelle lipidiche – piccole goccioline di grasso che impediscono ai nostri enzimi di distruggere il materiale genetico», spiega il Ft.
Quando la pandemia ha colpito, Moderna sapeva già che la sua tecnologia funzionava. Ma l’intervento del governo americano è stato decisivo: «Nel 2013, il governo degli Stati Uniti ha emesso una serie di sovvenzioni a società private, tra cui 25 milioni di dollari a Moderna per lavorare su un farmaco mRNA per combattere la Chikungunya, un virus potenzialmente mortale diffuso dalle zanzare che colpisce milioni di persone principalmente in Africa, Asia e India. Quel finanziamento, sebbene esiguo rispetto ai miliardi che Bancel aveva raccolto in finanziamenti privati, ha spinto l’azienda nel campo delle malattie infettive, un’area non amata dagli investitori biotecnologici che preferiscono investire denaro in attività più redditizie», svela il quotidiano.
Kariko (che adesso lavora alla BioNTech) ritiene di essere stata trattata male dai suoi datori di lavoro dell’Università della Pennsylvania, mentre Weissman, che lavora ancora all’Università della Pennsylvania, la vede diversamente: «Tutto ciò che fa Moderna lo fa utilizzando il nostro brevetto, la nostra tecnologia. BioNTech ha altri programmi che non lo usano, ma il vaccino che hanno realizzato utilizza la nostra tecnologia».
Non scorre buon sangue neanche tra Rossi e Moderna, la società che ha contribuito a fondare nel 2010 ma che ha lasciato circa tre anni dopo. «Rossi voleva che Moderna dedicasse più tempo alla sua scoperta delle cellule staminali, ma alla fine è stato messo da parte quando la società si è concentrata su farmaci e vaccini», si legge.
La capitalizzazione di mercato di Moderna, che è aumentata di oltre il 600% da quando il Covid-19 è stata dichiarata una pandemia globale, ora si attesta a 63 miliardi di dollari. Un traguardo che spinge Bancel a pensare in grande e a puntare sull’mRNA per molte altre invenzioni scientifiche.
In realtà, nonostante l’entusiasmo di Bancel, ci sono pochissime prove che l’mRNA possa essere trasformativo per altre aree della medicina come lo è stato per i vaccini. «A marzo, Translate Bio, una società che fa ricerca sui farmaci a mRNA per la fibrosi cistica, ha riportato risultati deludenti da una sperimentazione che non ha migliorato la funzione polmonare dei pazienti». Brad Loncar, un investitore in biotecnologie che gestisce un fondo incentrato sul cancro, afferma invece di aver riscontrato scarse prove che l’mRNA possa funzionare anche per il cancro.
Insomma, è ancora presto per sbilanciarsi. Ma una cosa è certa: «Scienziati come Kariko, dopo quanto accaduto nel 2020, non dovranno più lavorare nell’ombra», conclude il quotidiano.