Supponiamo che un discendente del marziano, che fu ospite di Ennio Flaiano, approfittando delle maggiori opportunità offerte per i viaggi spaziali, sia approdato a Roma nei giorni scorsi e capitato nell’Aula di Palazzo Madama (il bisnonno gli aveva spiegato che quella era la sede della Camera Alta) si sia trovato ad assistere al processo de «Il popolo italiano, rappresentato dal Senato della Repubblica, contro Formigoni Roberto detto Il Celeste».
Sorpreso nel vedere tanto accanimento nei confronti di una sola persona (sempre il bisnonno reduce, gli aveva parlato del vezzo inglese della caccia alla volpe, precisando che si trattava di un animale) della quale si diceva tutto il male possibile, abbia fatto ritorno sconsolato al suo pianeta. Del resto, è plausibile che anche i nostri concittadini siano disorientati, non rendendosi ben conto dei termini della questione e che trovino più gratificante associarsi al coro del crucifige. Atteniamoci allora ai fatti.
Roberto Formigoni già parlamentare, poi presidente della Regione Lombardia per quindici anni, trascorsi i quali è stato eletto di nuovo al Parlamento, sta scontando una condanna in via definitiva a 5 anni e 10 mesi di reclusione (domiciliare per via dell’età) per il reato di corruzione. In applicazione di una delibera del 2015 assunta in regime di autodichia (l’autonomia concessa agli organi di rango costituzionale) a firma congiunta dei presidenti pro tempore delle Camere, Pietro Grasso (l’animatore dell’iniziativa) e Laura Boldrini, a Formigoni è stato abolito (in conseguenza della condanna) il trattamento economico erogato a titolo di vitalizio/pensione.
Sospendiamo ogni giudizio di merito su quella delibera e proseguiamo nel racconto della vicenda. Nel sistema di autodichia sono previste istanze di giurisdizione, in forza di quanto dispone l’articolo 24 della Costituzione: «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado di procedimento». La Corte Costituzionale ha sempre girato al largo da un precisa definizione dei limiti della autodichia e se il livello di giurisdizione interna precluda il ricorso al giudice ordinario.
Ma questo problema nel caso Formigoni non si è posto. Il ricorso è stato presentato all’istanza di primo grado del Senato, la Commissione del contenzioso, composta da parlamentari e da personalità esterne. La Commissione, giudicando viziata di illegittimità la delibera, ha accolto il ricorso. Anche in questo passaggio ci asteniamo dal commentare le motivazioni. Il segretario generale del Senato ha presentato appello contro questa decisione al Consiglio di garanzia, l’organismo di secondo grado, il quale è stato oggetto di un violento attacco politico da una resipiscenza del giustizialismo grillino e dei suoi manutengoli nei media e nei quotidiani.
Fino a promuovere un dibattito specifico, in Aula, con la sceneggiata dei cartelli e la presentazione di tre risoluzioni (Pd-M5S-Leu; FI-Lega-FdI; Iv) tutte approvate. Queste risoluzioni presentavano un tratto comune: poiché la delibera Grasso era stata abolita (un’ammissione pesante) in seguito al giudizio di primo grado, si raccomandava l’adozione di una nuova disciplina in materia, più o meno forcaiola a seconda degli orientamenti delle diverse forze politiche.
È comunque un altro fatto oggettivo che – dando seguito e voce in un’Aula del Parlamento a un tentativo di manipolazione dell’opinione pubblica (no il vitalizio ai corrotti!) mentre il contenzioso era all’esame di un collegio giudicante – si sia determinata una pressione indebita sulla imparzialità di tale organo sottoposto alla minaccia di una gogna mediatica, indifferente e incurante delle norme di diritto e ad una accusa di connivenza con un sistema di corruttela. Arriviamo così all’ultimo fatto.
Sul piano giuridico assume molta importanza la natura del trattamento: si tratta di un vitalizio o di una simil-pensione? Ha un profilo di erogazione octroyée oppure di natura previdenziale?
A prescindere da una giurisprudenza consolidata che ha equiparato il vitalizio a una prestazione di carattere previdenziale, non ha fatto una bella figura Pietro Grasso, ex magistrato, già seconda carica dello Stato, il quale – invece di scusarsi per aver promosso e sostenuto quella delibera poi giudicata illegittima – è intervento in Aula per negare la trasformazione in senso previdenziale del cosiddetto vitalizio, nonostante sia stata recepita anche al Senato, nel 2018, la delibera Fico che introduceva in modo arbitrario e retroattivo – tramite un ricalcolo su parametri inventati – criteri nettamente previdenziali nei vitalizi degli ex parlamentari.
Quanto a Roberto Formigoni la sua colpa è una sola: aver sottoposto il suo caso a un organo giurisdizionale, come era suo diritto.