È il momento di fare fronte comune nel sostenere l’industria e spingere il mondo imprenditoriale, gli scienziati e gli esperti di tecnologia – gli innovatori! – a mettersi in gioco e a fare quello che sanno fare meglio: concepire nuove idee, aprire nuove strade, farla finita con i metodi tradizionali. Sì, l’industria, il settore che è stato la prima e principale causa del riscaldamento globale deve dare una svolta alla situazione e assumersi per prima il compito di riportare alla normalità il nostro clima.
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Da anni gli ambientalisti lanciano l’allarme sugli effetti dei cambiamenti climatici. Il loro obiettivo è spingere l’opinione pubblica a fare pressione sulle aziende perché modifichino le loro prassi e, quindi, ispirino leggi e strategie politiche positive per il clima.
Ma è un obiettivo che somiglia un po’ a un flipper. Si basa sul fatto che l’educazione ambientale spinge il pubblico all’azione, la quale, a sua volta, stimola le aziende a cambiare e i governi ad adottare politiche migliori. Quell’obiettivo non è stato raggiunto.
Possiamo premere i pulsanti, muovere le palette e far suonare il flipper quanto vogliamo, ma non potremo mai riavere un clima vivibile prima dell’irreversibile catastrofe. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite afferma che c’è tempo per agire solo fino al 2030, prima che si verifichino cambiamenti senza precedenti in tutti i settori della società.
Nelle epoche passate, i visionari hanno cambiato la società rapidamente. Al cambiamento climatico serve questa opportunità, subito.
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Il più importante sistema naturale di cattura del diossido di carbonio sono gli oceani. Qui viene assorbito tra il 30 e il 50 per cento del diossido di carbonio prodotto dall’uomo. La seconda più grande spugna sono gli alberi, che assorbono fino al 25 per cento del diossido di carbonio di origine umana. Il suolo e gli altri sistemi assorbono il resto. Il diossido di carbonio deve essere catturato dall’atmosfera e sequestrato, altrimenti si accumula nell’atmosfera e rilascia energia.
Di conseguenza, le temperature, come vediamo, aumentano in modo anomalo. Ovviamente, è impossibile creare dal nulla più mare o più terra per aumentare i bacini di cattura del diossido di carbonio; per farlo, dovremmo creare un altro pianeta Terra. Ma di alberi possiamo piantarne di più. In teoria, più alberi si piantano, più diossido di carbonio viene assorbito. Ma anche questo processo è lento. In media, un albero impiega circa quarant’anni per assorbire solo una tonnellata di diossido di carbonio dall’atmosfera.
Teniamo conto del fatto che in un anno solo le attività dell’uomo emettono decine di miliardi di tonnellate di diossido di carbonio. Secondo alcune stime, la superficie di suolo necessaria perché gli alberi diano un contributo significativo nella cattura del diossido di carbonio atmosferico equivale a tre volte la superficie dell’India. E in più, se tutti questi alberi spuntassero di colpo dal terreno, dovremmo aspettare decenni prima che tutto il diossido di carbonio atmosferico torni, per così dire, alla Terra.
Ecco perché Klaus Lackner ha inventato degli alberi molto particolari. Lackner, direttore del Centro per la riduzione delle emissioni della facoltà di Ingegneria sostenibile e pianificazione ambientale dell’Arizona State University, ha elaborato un meccanismo di cattura del diossido di carbonio migliore di quello che esiste in natura: ha progettato un albero artificiale che riesce ad assorbire fino a una tonnellata di diossido di carbonio al giorno. Una foresta di questi alberi potrebbe azzerare tutte le emissioni prodotte dall’uomo, e anche di più.
Al momento, purtroppo, nell’ambiente esterno esiste un solo albero di Lackner. Se ne sta tutto solo nel deserto vicino a Mesa, in Arizona. Intorno non ha altro che sabbia e sterpaglia.
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Ma ci sono due ostacoli alla produzione in serie degli alberi di Lackner: la volontà politica e le risorse. Ogni albero costa tra i 20.000 e i 30.000 dollari.
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Il problema è che il mondo, oltre a dover ridurre l’emissione di diossido di carbonio nell’atmosfera, deve anche fare i conti con quello che è già presente. Per questo, a quanto pare, non esistono soluzioni semplici. Ma a Mesa, intanto, un albero sta crescendo.
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L’Environment Assembly delle Nazioni Unite ha intenzione di studiare e regolamentare gli esperimenti di ingegneria climatica per impedire che gli interventi tecnologici sul clima siano attuati precipitosamente. Alcuni credono che sia un pretesto per fermare del tutto i progressi dell’ingegneria climatica (gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita si oppongono a questa iniziativa sul controllo). Questo mette in evidenza le principali argomentazioni a favore e contro l’ingegneria climatica.
Chi si oppone all’ingegneria climatica dice che scoraggia l’impegno a ridurre le emissioni di diossido di carbonio: se aumentano le “soluzioni facili”, la prevenzione diventa inutile.
Chi è a favore dell’ingegneria climatica afferma che la prevenzione e l’impegno nella riduzione – l’ecologismo dei piccoli passi – non hanno funzionato oppure non risolveranno in tempo i problemi del clima.
[…] Gli attivisti dovrebbero continuare a stimolare il pubblico a fare piccoli passi quotidiani per salvare l’ambiente, e i politici dovrebbero continuare a promulgare leggi che incentivano la riduzione delle emissioni e le strategie di adattamento.
Al tempo stesso, la comunità scientifica e quella imprenditoriale dovrebbero lavorare insieme per mettere sul mercato prodotti concretamente ecologici e progetti che possano far cambiare corso alla lezione che la natura ci sta dando.
Prima ammettiamo che la Terra – la Madre di tutti noi – è malata e non può più badare a sé stessa, prima potremo intervenire per aiutarla a guarire. I rimedi naturali non funzionano. I vaccini hanno salvato il genere umano dall’estinzione. L’ingegneria climatica e le tecnologie ambientali credo che siano i vaccini necessari a curare le malattie del pianeta. È il momento di provarci.