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La tendenza negazionista è cominciata nel momento in cui il riscaldamento globale è diventato un fatto appurato, confermato da scienziati, ormai più di 30 anni fa.
La prima cosa da considerare per capire fino in fondo la portata mondiale del negazionismo climatico è che l’esistenza del cambiamento climatico ha smesso di avere a che fare con l’incertezza scientifica molto tempo fa e al suo posto si sono fatte largo dinamiche politiche, sociali ed economiche che hanno generato terreno fertile al negazionismo.
Accettare il cambiamento climatico come un’emergenza planetaria significa riconoscere innanzitutto un cambiamento nelle dinamiche di potere tra l’uomo e la natura, ma significa anche individuare le forze economiche e politiche che si celano dietro al cortocircuito del nostro rapporto con il pianeta.
La natura non si è svegliata una mattina decidendo di rivoltarsi contro l’essere umano.
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La crisi climatica ha a che fare esclusivamente con dinamiche di potere politico ed economico e, oltre ad esserne consapevoli, dobbiamo anche comprenderne il perché.
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Chi predica il negazionismo climatico afferma che il cambiamento climatico non esiste o che, se esiste, non è stato causato dall’uomo e, quindi, non è di natura antropica. Poiché, come abbiamo visto, l’esistenza del cambiamento climatico è una certezza da ormai quasi 30 anni, in realtà negarla significa non ammettere una verità dimostrata oltre ogni dubbio.
Ma che succede se si diffonde l’incertezza che non sia un fatto assodato?
Cosa accade se si intraprende una strategia così efficace da minare le fondamenta di un fatto scientifico? Il successo delle teorie negazioniste fa leva proprio su questo.
Il negazionismo climatico non è una semplice “corrente di pensiero”, è un vero e proprio sistema organizzato, un’architettura sorretta da solidi pilastri strategici, sostenuta da un’efficace comunicazione e costruita sulle fondamenta di potere e denaro – un giro d’affari considerevole.
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Il negazionismo non è un meccanismo “passivo”, è una decisione strategica volontaria, fatta di tattiche, manipolazione e politica.
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L’obiettivo principale della campagna di rifiuto del cambiamento climatico è quello di impedire la formazione di un consenso per l’azione politica sul cambiamento climatico. Le motivazioni per partecipare alla campagna di rifiuto variano da quelle economiche (ad esempio, l’industria dei combustibili fossili) a quelle personali (ad esempio, lo status di celebrità e potere di cui godono pochi individui), ma tutte condividono l’opposizione all’impegno governativo di implementare norme e leggi per attenuare il cambiamento climatico.
Dale Jamieson, esperto di studi ambientali e professore alla New York University, attribuisce il successo dell’industria del negazionismo al suo ampio finanziamento, che è ciò che le permette non solo di sopprimere la fiducia nella scienza, ma anche di mettere in dubbio che ci sia un consenso scientifico sull’esistenza del cambiamento climatico.
L’operazione, secondo Jamieson, è facilitata dal fatto che, nella nostra società, l’ignoranza scientifica è prevalente ed è più facile per il negazionismo “mettere radici”.
Da un punto di vista politico, le lobby negazioniste si caratterizzano per una forte ideologia conservatrice, universalmente condivisa da coloro che aggrediscono la scienza del clima. Il biologo Jared Diamond ha sostenuto nel suo libro Collapse (2005) che le società che negano o ignorano le proprie questioni ambientali tendono a crollare.
Negare il cambiamento climatico, quindi, non solo è una minaccia per la vita, ma anche per la società. Diamond scrive che quanto maggiore è il livello di cambiamento richiesto (ai valori fondamentali di una società), tanto più facile è cadere in una negazione sistematica e falsamente rassicurante.
Allo stesso modo Naomi Oreskes sostiene che “molti rifiutano la climatologia […] non tanto perché vi sia qualcosa di sbagliato di per sé, ma perché è in conflitto – o così la percepiscono – con i loro valori, le loro convinzioni religiose, l’ideologia politica e/o gli interessi economici”.
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Oggi, abbiamo bisogno di ogni misura possibile per ridurre, anzi, neutralizzare le emissioni, e ne abbiamo bisogno subito. Non domani, non tra 10 anni, ora. Non serve che ce lo dica l’IPCC, riusciremo a farlo solo se siamo disposti ad accettare una trasformazione del modello economico e un mutamento sociale sistemico.
L’assenza di solidarietà, la separazione da ciò che ci circonda, la mancanza di un senso di comunità, il distacco dalla terra, l’isolamento costante nell’oblio dei nostri smartphone, la rarefazione della conoscenza, l’imprecisa, superficiale e sciatta informazione, il privilegio come giustificazione sociale per qualsiasi mancanza di empatia, l’orrore di permettere esseri umani “sacrificabili”: è tutto riconducibile ad uno stesso sistema contorto e illusorio.
Un sistema improntato alla crescita costante ed inesorabile che procede a ritmi veloci come una palla demolitrice che si porta dietro tutto, sradicando le fondamenta della nostra giustizia sociale e della nostra democrazia. Un sistema fondato sull’economia dei combustibili fossili.
Secondo Naomi Klein, la crisi ambientale è la prova di un fallimento sistemico, di un cortocircuito delle dinamiche socioeconomiche che sono alla base della nostra società. Il problema è strutturale, ecco perché il clima è strettamente legato alla politica e all’economia.