Neozozzoni La pandemia e la fine dell’oppressione patriarcale dell’acqua e del sapone

Basta con le docce. Stare a casa, rivela un allibito New York Times, spinge la gente a lavarsi meno e vestirsi peggio. Sai che scoperta. Il problema è che tanti puntano a mantenere le nuove abitudini anche in futuro. In nome del pianeta, dicono. O forse soltanto della pigrizia

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Ho aspettato per centotrenta righe che mi parlassero del patriarcato. Che mi dicessero che, così come la biologia e la matematica e altre cose che ci eravamo illusi fossero segni di progresso e civiltà, anche l’acqua e il sapone sono in realtà modi in cui il patriarcato bianco ci opprime e ci vessa.

Purtroppo, in centotrenta righe in cui ci spiega che, in conseguenza della pandemia, non ci facciamo più la doccia tutti i giorni, il New York Times ci arriva vicino ma non pronuncia la parola magica.

Ci dice, però, che non puzzare è una questione culturale, non biologica. Insomma: lavarsi non è una necessità come mangiare e dormire. Dev’essere per questo che nessuno si sbatte mai per far abbassare l’iva sulle saponette.

Ogni volta che leggo un articolo su qualche nostra abitudine cambiata durante la pandemia, c’è sempre qualcosa che mi stona, all’inizio non riesco mai a mettere a fuoco cosa, poi mi ricordo: io vivevo una vita da pandemia anche prima. Una vita di eremo e confino, una vita non sociale.

Te l’avrei potuto dire, caro New York Times, che se una non esce di casa non c’è una ragione al mondo di lavarsi. Certo, ci saranno sempre quelle che ti dicono che si fanno belle per sé stesse, ma non è per sé stesse: è per instagrammarsi.

Conosco donne che stanno in casa con le scarpe, addirittura con le scarpe col tacco, o in abito da sera di giorno, addirittura abiti da sera con la lampo, e si pettinano anche se non escono neppure a far la spesa, e si truccano anche se non devono incontrare neppure il portiere che porta su la posta. Sono tutte donne che s’instagrammano, però. Altrimenti sarebbero matte.

Le altre vanno divise in due tipologie. Quelle che hanno conviventi – mariti, figli, servitù: altri esseri umani davanti ai quali risultare vagamente presentabili – quelle è plausibile si lavino comunque. È altresì probabile che, se di notte si alzano per andare in bagno, al buio non capiti loro d’infilare un piede in un avanzo di spaghetti aglio e olio, spuntino di mezzanotte la cui scodella è appoggiata sul pavimento vicino al letto. (È un esempio di fantasia, naturalmente: io sono l’entelechia della casalinghitudine e non potrebbe mai capitarmi niente del genere).

Quelle che vivono da sole, invece. Da dove cominciare con quelle che vivono da sole. Se persino le intervistate del New York Times vengono guardate male dalle figlie perché, lavorando da casa, hanno smesso di far la doccia tutti i giorni, provate a immaginarvi cos’accada a chi non ha figlie a far da guardiane della privata morale (o estetica, o igiene).

Ma, dicevo, non è solo il ridotto consumo di bagnoschiuma che mi fa pensare che l’umanità pandemica viva una vita più a misura di me. C’è tutt’un filone di articoli che dovrebbero dirci che ci stiamo abbrutendo e che a me invece dicono che la vostra qualità della vita sta migliorando. Portate pantaloni con l’elastico dentro ai quali ingrassare e non stare mai scomodi (benvenuti). Mangiate disordinatamente (benvenuti). Bevete alcolici anche di giorno (benvenuti).

Quest’ultimo dettaglio preoccupa tantissimo gli americani, gente che ha un rapporto serenissimo con le bevande adulte: in epoca di ristorazione statunitense prepandemica, se ordinavi un bicchiere di vino a pranzo c’era subito un commensale pronto ad allungarti un bigliettino con le indicazioni per la più vicina riunione degli Alcolisti Anonimi. In compenso, se un adulto pasteggia a bibite zuccherate, non chiamano la buoncostume.

Rispetto a tutte le altre nuove abitudini, questa delle docce mancate ha una copertura culturale: sprechi meno acqua, è una cosa buona per l’ambiente (se vi state chiedendo dove l’abbiate sentita di recente: era la scusa utilizzata da Fulco Pratesi in una favolosa intervista al Corriere).

Non è chiarissimo cosa intendano gli intervistati dal New York Times che giurano di lavarsi comunque a pezzi, considerato che abitano una civiltà (per così definirla) senza bidet.

La spacciano anche per una rivolta di classe: segna la discontinuità con quando lavarsi tutti i giorni divenne segno di ricchezza e un modo per distinguere chi se lo poteva permettere da chi no. Smettiamo di farci la doccia calda in bagni riscaldati nel 2021 come ribellione alle bacinelle d’acqua fredda con cui si lavavano le nostre bisnonne povere nel 1921, e alle vasche d’acqua scaldata nei pentoloni con cui si lavavano le bisnonne ricche: mi pare sensato.

Una cosa posso dirvi, cari neozozzoni postpandemici: non è vero, come dicono i manuali motivazionali, che ci vogliono tre settimane a prendere un’abitudine. Un’abitudine pigra, cioè quelle che ora sono le usanze delle vostre vite, la prendi in tre minuti. Un’abitudine faticosa – vestirti con cose scomode, farti la doccia tutti i giorni, mangiare cose sane – per riprenderla ci vogliono secoli.

Quindi pregherei il governo di obbligare le aziende a far lavorare in remoto i dipendenti almeno fino alla prossima pandemia. La popolazione ha già sofferto abbastanza, non merita d’andare in ufficio affollandosi su metrò colmi di umani che proprio non riescono a riprendere l’abitudine di lavarsi.

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