La danza fotografata. Dall’8 giugno al 2 luglio la galleria 29 Arts in Progress di Milano ospiterà la mostra di Silvia Lelli “KONTAKTHOF – KONTRAPUNKT”. Nella stessa occasione uscirà anche il nuovo libro (a edizione limitata) dell’artista, «che del resto era il progetto originario», spiega.
Un libro d’artista, in 150 copie numerate (10 avranno all’interno una stampa) che racchiude la volontà «di poter realizzare qualcosa su Pina Bausch», la celebre coreografa tedesca.
Sia il volume che la mostra sono il racconto per immagini delle diverse versioni di “Kontakthof”, l’unica coreografia che Pina Bausch riprese nell’arco di un trentennio. La prima fu nel 1978, la seconda nel 2000, impiegando persone sopra i 65 anni, e la terza nel 2008, facendo muovere invece teenager (non danzatori).
«È il genere di spettacolo che mi ha aperto le porte a quello che, a livello artistico, cercavo da tempo»
Silvia Lelli, nella sua lunga carriera di fotografa nei campi del teatro d’avanguardia, della musica e della danza, ha ritratto le tre diverse versioni «tra il 1981 e il 2010» alle quali ha aggiunto «una rappresentazione tenuta dalla compagnia originale tenuta a Wuppertal nel 2015, dopo la morte di Pina Bausch».
In tedesco “Kontakthof” significa «luogo di contatti». Il senso dello spettacolo è una ricerca, compiuta attraverso la danza e il teatro, sulle relazioni tra gli esseri umani. Studia gli effetti provocati dalla gioia e dalla sofferenza sui corpi in movimento.
Non può sfuggire oggi il richiamo alla situazione attuale, nella quale la semplice parola «contatto suona ricca di significato», in un momento in cui, con lentezza, riprendono gli abbracci tra le persone.
La seconda parola del titolo è “Kontrapunkt”. Riflette l’alternanza dei temi e delle situazioni affrontate dalla coreografia, ma è anche la sovrapposizione (il contrappunto) dell’evoluzione negli anni della fotografia di Silvia Lelli. I suoi scatti, che seguono le versioni della stessa opera, segnano il percorso e riflettono i diversi modi di rendere e comprendere il movimento e il gesto.
«Non ho visto nascere “Kontakthof”», spiega. «Neanche altre coreografie della Bausch. Non ho assimilato il comporsi dell’opera», ma vi è entrata seguendo la ripetizione dei passi, dei gesti, delle espressioni.«Ho affiancato a questo procedere i miei gesti, rispondendo alle sollecitazioni formali e dinamiche provenienti da una coreografia così densa e pregnante».
Significa passare da una fotografia a distanza, in senso fisico, a un fotografare ravvicinato, arrivando a contatto (appunto) con i danzatori «che di volta in volta mi ritrovavo davanti, a un passo».
È il culmine di un percorso, costellato da una serie di esperienze (come Danza Dentro Danza Oltre, o il lavoro su Susanne Linke e Reinhild Hoffmann) con cui ha «interiorizzato la necessità di superare il limite di sicurezza e del rispetto» per ottenere un risultato fotografico «che rendesse appieno la forma dinamica e l’energia del momento».
Significa andare oltre, «lasciando il fatto meccanico per entrare in una sfida più grande – entrare nel contemporaneo – con immagini anche sfocate, particolari». Un lavoro reso bene anche dal libro, costruito secondo una logica essenziale, senza testi, ma con una documentazione che ne traccia il percorso.