Non leggete questo articolo La normalizzazione delle mestruazioni e il peggio della donnitudine

Sanguiniamo senza farci colare il sangue dalle mutande, perché siamo personcine educate, perché il lavasecco costa, e soprattutto perché avere il ciclo fa schifo. E neanche due murales in San Babila ci faranno cambiare idea. Ma poi non capisco perché nessuno sostiene mai che si debba defecare in pubblico: solo le funzioni schifose che sono prerogativa di chi ha i gameti sbagliati vanno esibite?

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La parola più stupida della neolingua è «normalizzare». Viene usata per invocare l’esibizione di cose che sono già normalissime. A volte, normalissime ma dietro porte chiuse a causa d’un sano senso del pudore.

Ogni volta che leggo inviti a normalizzare le mestruazioni o l’allattamento, vorrei che fossero gli anni Settanta, i Monty Python fossero in attività, e io avessi un loro recapito per offrirmi come autrice d’uno sketch in cui si entra in camere da letto private urlando alla viltà e accusando la povera coppia della mancata normalizzazione del sesso: perché si rifiutano di copulare sul set d’un film porno, eh?

L’ultima imbecillità in tal senso risale a ieri, che era la giornata mondiale dell’igiene mestruale (altro potenziale sketch dei Monty Python). Ormai ogni giorno è giornata mondiale di qualcosa, figuriamoci se poteva non avere la sua festività internazionale anche il bidet. Tuttavia non mi pare che per l’occasione siano stati donati bidet a paesi sottosviluppati quali Inghilterra e Stati Uniti; in compenso ci siamo trovati con due murales in san Babila, a Milano.

In uno c’era Marge Simpson, personaggio di fantasia; nell’altro Kim Kardashian, anch’essa definibile come tale. A entrambe – non so come dirlo senza farvi vomitare, spero che i più sensibili di voi abbiano smesso di leggere già al titolo, come avrei fatto io se qualcun altro si fosse messo a scrivere di mestruazioni – a entrambe – dicevo – a entrambe – distogliete lo sguardo finché siete in tempo – a entrambe cola il sangue dalle mutande.

Probabilmente il messaggio è che una multimilionaria come Kim Kardashian non può permettersi assorbenti con un’iva al 22 per cento. (Tra l’altro ci sarebbe molto da dire sugli assorbenti in vendita in America, una vera schifezza, non capisco cos’aspettiamo a conquistare quel mercato, hanno molto più bisogno del made in Italy nel settore dei pannolini che in quello dei bucatini).

Il titolo dell’opera (mi scuso per il sostantivo, ma a chiamarla, invece che «opera», «ennesima truffa di quel settore in confronto al quale il gioco delle tre carte è una roba onesta denominato arte concettuale» si rischia di passare per superficiali), il titolo, dicevo, è «Break the taboo», rompere il tabù.

Ora, caro aleXsandro Palombo, che sei del Salento ma hai un nome d’arte con la X maiuscola in mezzo e l’iniziale minuscola, sentendoti figlio naturale di Enrico Ghezzi e della compagna di classe terrona che abbiamo avuto tutte, quella che si chiamava Carmela ma «Mel» le sembrava più internazionale, caro artista concettuale che fai le opere furbastre dalla parte delle donne, fattelo dire da una che sanguina tutti i mesi da prima che tu ti rimescolassi le maiuscole e le minuscole: non c’è nessun tabù.

Sanguiniamo tutte, da sempre, per la metà o giù di lì della nostra vita: non c’è una roba meno rara e imprevista, per chi nasca con una vagina. Ci siamo così arrese a questo handicap che ci concentriamo sulle stronzate – l’iva sugli assorbenti – invece di ribadire che sanguinare tutti i mesi per decenni non è normale, cazzo, e se capitasse agli uomini le aziende farmaceutiche avrebbero già trovato una cura.

Sanguiniamo senza farci colare il sangue dalle mutande, perché siamo personcine educate e non installazioni furbastre, perché il lavasecco costa, e soprattutto perché (ti svelo un’altra cosa che, se l’avessi interpellata, avrebbe potuto dirti una qualunque tua compagna di scuola in Salento) le mestruazioni fanno schifo.

Sì, lo so che ci sono donne che dicono che bisogna allattare in pubblico, mestruare in pubblico, esibire il peggio della donnitudine perché solo l’esibizione ci libererà: sono donne sceme. Esibire non ci libererà, purtroppo: se mi dicessero che andando in giro col sangue che mi cola poi non sanguinerò più tutti i mesi, mi sacrificherei volentieri, ma così non è. Vorrei peraltro sapere perché nessuno sostenga mai che si debba defecare in pubblico: solo le funzioni schifose che sono prerogativa di chi ha i gameti sbagliati vanno esibite? Gli uomini, oltre a non avere l’incomodo di mestruare, non devono avere neanche quello di fare schifo davanti a tutti?

Leggo sul New York Post (facciamoci sempre riconoscere) che la signora Kardashian t’aveva già fatto causa per l’utilizzo della sua immagine per una trovatina sulle donne malmenate, e che ti eri occupato anche dell’uccisione di George Floyd; dal Salento, e avendo una sensibilità razziale, sarebbe forse più naturale occuparsi di quelli che raccolgono pomodori nel codice postale adiacente, che di uno ucciso a Minneapolis, ma capisco l’ambizione dell’emigrante che voglia la valigia Vuitton al posto di quella di cartone: al New York Post del caporalato non fregherebbe granché.

Il mestruo no, il mestruo è cosmopolita. E, poiché l’algoritmo tutto vede, anche gli articoli che sto scrivendo, YouTube mi ha appena proposto la pubblicità d’una marca d’assorbenti. Lo spot italiano esorta: «Proteggete la vostra lingerie con la freshness routine». Devi averli convinti, con questa tua opera di sensibilizzazione, che mestruino solo le celebrità alloggiate tra Parigi e Los Angeles, e si son messi a parlare quella lingua lì. Chissà come faranno, ora, a vendere i pannolini alla comare Cozzolino.

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