La regola dei social è: più una cosa è risaputa, più gli iscritti se ne stupiscono. Vale per tutto, dalla vita sessuale di Montanelli in giù. Eterna è la capacità del tenutario di pacchetto dati di twittare la propria indignazione per una cosa che tutti sapevano tranne lui (tranne lui e qualche migliaio d’indignati che si stupiranno nel corso dello stesso pomeriggio).
Ieri, lo scandale du jour era: Kim Kardashian è ricca. Ce l’aveva tenuto nascosto, finora, era un segreto accuratamente custodito dentro una di quelle borse da diecimila euro con cui va in giro.
Poi l’altroieri ha scritto sui social che – dopo aver isolato e tamponato tutti (una premessa che ormai devi fare sennò vieni linciato tipo untore, un remake manzoniano coi cancelletti) – aveva portato i suoi cari per due settimane a villeggiare su un’isola privata sulla quale avrebbero trascorso quindici giorni facendo finta che il mondo non stesse cadendo a pezzi.
Poteva non comunicarlo alla plebe? Certo, se l’identità dei nuovi patrizi non fosse il loro continuo comunicare alla plebe quante brioche mangiano.
È una sana forma di lotta di classe? Non mi pare, la ricca che su Instagram non finge d’essere povera non redistribuirà le proprie ricchezze causa indignazione da cancelletti.
Abbiamo un problema coi soldi? Coi soldi degli altri, intendo.
A guardarsi virtualmente intorno, cioè a spolliciare i social dal divano, parrebbe di sì.
Settimane fa, l’ira funesta d’un paese incapace d’assaltare la Bastiglia era rivolta a un sondaggio amatoriale su Twitter. La domanda era «quanto spendete al mese per vivere a Milano, esclusi affitto e bollette». Molti avevano osato rispondere «più di 500 euro».
Cinquecento euro a Milano sono il costo di venti messe in piega dal parrucchiere (un posto che facesse messe in piega decenti a prezzi meno da usurai avrebbe una lista d’attesa che neanche i ristoranti stellati).
Se hai la disgrazia di non avere capelli presentabili al naturale, e se a essa si sovrappone la disgrazia d’avere un lavoro per il quale devi essere esteticamente presentabile, almeno dieci volte al mese dal parrucchiere devi andare (Hillary Clinton, a un’elettrice che le pose il problema del costo della manutenzione estetica femminile, rispose «Amen, sorella»).
Le vorrei conoscere, le femmine che vivono a Milano spendendo meno di sedici euro al giorno. Vorrei sapere dove mangiano, che consumi culturali hanno, ma soprattutto se, come me, lavorano tutte da casa e non si pettinano da anni.
Un paio di settimane fa, il Financial Times ha pubblicato un articolo intitolato «È facile odiare i ricchi, più difficile è giustificarlo», in cui spiegava che su Twitter la stagione di caccia è aperta, e le prede sono i ricchi. Persino «ok boomer», la sciattissima risposta che qualunque giovane autocertificato nel giusto dà a qualunque adulto troppo trombone per essere d’accordo con lui, persino quella avrebbe un fondamento economico: i nati negli anni del boom avrebbero più soldi di quelli della generazione x, che a loro volta avrebbero più soldi dei millennial.
Il problema è lo stesso di ogni dichiarazione identitaria. Mark Zuckerberg è un millennial, e sono abbastanza certa che abbia più soldi di me e anche dei boomer che mi leggono.
Ma il problema, soprattutto, è che gli americani una volta erano capitalisti: erano gente che, se vedeva una limousine, fantasticava del giorno in cui ne avrebbe comprata una. Poi sono diventati come noi: se vedono una limousine pensano che di sicuro quello lì l’avrà ereditata, il solito raccomandato, e poi non pagherà le tasse.
Persino se sei una che è diventata famosa in quanto miliardaria con uso d’autoscatto, persino allora il nuovo tempo che abitiamo si aspetta tu ti finga povera. Pensavamo che Chiara Ferragni non sapesse stare al mondo, quando la vedevamo mangiare sushi dalla confezione da asporto. Cosa sei ricca a fare, sospiravo spolliciando Instagram, io sarei una ricca migliore di te, io avrei un cuoco stellato a domicilio tutte le sere. E invece aveva ragione lei, sapeva quel che faceva: l’unico modo per sopravvivere a un’immagine da ricchi è fingersi poveri.
D’altra parte proprio in questi giorni casca l’anniversario della festa al supermercato, quando la Ferragni e il marito furono accusati dai social di lesa verdura, di lesa fame nel mondo, di leso pauperismo per essersi lanciati della lattuga che era stata regolarmente pagata.
Io non arrivo alla fine del mese e voi sprecate il cibo (quand’eravamo piccoli, e non si parlava mai della fine del mese, il ricatto era: i bambini muoiono di fame in Africa).
C’è un racconto di Scott Fitzgerald sui nati ricchi il cui incipit viene molto citato da chi non l’ha letto, ed è quindi convinto che la frase iniziale si possa applicare a chiunque abbia soldi, anche ai poveri che hanno fatto i soldi. La frase è: «Lasciate che vi sveli qualcosa di chi è molto ricco: sono diversi da voi e da me». Parlava, appunto, di chi eredita, non di chi costruisce le proprie fortune nel nuovo mondo, di chi ha un patrimonio in cuoricini e il dovere di non far sentire inferiore chi lo spollicia, di chi si mette in vetrina ogni giorno affinché noi poveracci possiamo disprezzarne le fortune.
Lasciate che vi sveli qualcosa di questi nuovi martiri del nostro intrattenimento: hanno più soldi di voi e di me. Annotatevelo, così magari alla prossima isola privata, al prossimo supermercato a noleggio, al prossimo passatempo che non vi potete permettere non perdete tempo a stupirvene. Ah, sì, me l’ero segnato qui: esistono i ricchi.