L’apocalisse può attendereIl climate change potrebbe non essere il problema ambientale più importante

Attivista, giornalista, ambientalista e consulente statunitense per il Congresso degli Stati Uniti e per il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, il 49enne californiano Michael Shellenberger ha spiegato a Greenkiesta l’evoluzione del suo pensiero sull’ambientalismo e la crisi climatica, denunciando chi avrebbe veicolato una comunicazione distorta su un tema diventato cruciale nel dibattito pubblico

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Una specie di ecomodernista. È così che probabilmente preferisce definirsi Michael Shellenberger, giornalista, ambientalista statunitense e studioso di politiche ambientali celebre per le sue posizioni contro “l’ecologismo radicale”.

Confondatore del Breakthrough Institute e fondatore di Environmental Progress, due think tank su temi green, esperto di energia consultato dal Congresso degli Stati Uniti e consulente per il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), il 49enne californiano è tornato a far parlare di sé dopo la pubblicazione della sua ultima fatica letteraria “L’apocalisse può attendere. Errori e falsi allarmi dell’ecologismo radicale”.

Greenkiesta l’ha intervistato per comprenderne meglio l’evoluzione del suo pensiero sull’emergenza climatica, su come questa deve essere affrontata e sul perché i media avrebbero commesso diversi errori nel comunicarla.

A suo avviso, il cambiamento climatico costituisce un problema di cui dovremmo (pre)occuparci? Se sì, in che modo?
Certamente dobbiamo fare i conti con il climate change, che non è però una crisi, un’emergenza o una minaccia esistenziale per l’umanità. Non è nemmeno il nostro problema ambientale più importante. La povertà lo è. Le società che versano in condizioni di precarietà economica devono dipendere dal legno e dal letame come combustibile, e questo danneggia le foreste. Non hanno gli strumenti per dar vita a un’agricoltura industrializzata, quindi necessitano di più terra per coltivare e procurarsi il cibo. Non dispongono nemmeno dei moderni sistemi di gestione dei rifiuti, e ciò contribuisce a generare nuovo inquinamento. Questi fattori distruggono l’habitat e danneggiano le specie.

Quali sono allora le soluzioni al climate change?
Sono l’energia nucleare e l’innovazione, non il sacrificio personale e la fine della crescita economica, che è quello che molti ambientalisti propongono. Il nucleare può decarbonizzare con successo le reti elettriche, come in Francia, e, a condizione di innovare, può fornire l’energia e il calore necessari per i processi industriali. L’innovazione nei trasporti, nell’agricoltura e nella produzione ridurrà anche le emissioni di carbonio.

La tecnologia che ruolo ha in tutto questo?
È il tramite attraverso cui risolveremo il cambiamento climatico. Non possiamo fare altrimenti, ad esempio consumando meno, come dimostra la crisi del Covid-19. Per affrontare questa pandemia, abbiamo spogliato le nostre vite di attività non essenziali e fermato la crescita economica, ma le emissioni di carbonio sono scese solo del 20 per cento, e questi cambiamenti di stile di vita sono insostenibili. Non possiamo togliere le gioie dalla vita per sempre. Ciò significa che la maggior parte delle riduzioni delle emissioni deve venire dall’adozione di tecnologie più pulite.

La sua posizione sull’ambientalismo ha subito una evoluzione negli ultimi anni. Che cosa le ha fatto cambiare idea e che cosa l’ha portata oggi a puntare il dito contro quello da lei definito come “ecologismo radicale”?
In primo luogo, ho messo in discussione il discorso dominante sull’energia, l’ambiente e il cambiamento climatico nei primi anni Duemila perché era troppo deprimente e pessimista. L’allarmismo climatico sta facendo credere a milioni di bambini che non diventeranno adulti perché il mondo finirà prima che possano crescere, nonostante le tendenze positive. Le vite umane sono in crescita e l’inquinamento, comprese le emissioni di carbonio, sta diminuendo. Coltiviamo il 25 per cento in più di cibo rispetto a quello di cui abbiamo bisogno per vivere. La povertà globale sta diminuendo. Dal 2000, gli Stati Uniti stanno abbattendo le loro emissioni più di qualsiasi altra nazione in termini assoluti. Ho imparato che la maggior parte delle nazioni in Europa ha visto il picco e il declino delle loro emissioni dagli anni Settanta o Ottanta, che le morti per calamità naturali sono scese quasi a zero nella maggior parte delle nazioni ricche e che le morti per disastri naturali sono diminuite di oltre il 90 per cento. Inoltre, ho imparato che, rispetto all’energia nucleare, l’energia rinnovabile che gli ambientalisti promuovono richiede un’estensione di terra 300 o 400 volte maggiore. E questo va ovviamente a discapito dell’ambiente.

È corretto dire che l’ambientalismo di un certo tipo sta fuorviando l’opinione pubblica?
Nessuno scenario del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico include esiti apocalittici. Gli eventi meteorologici estremi probabilmente aumenteranno di intensità del 5 per cento, per poi diminuire, a livello di frequenza, del 25 per cento. Le morti per calamità naturali sono diminuite di oltre il 90 per cento dal 1900: non c’è motivo per cui il cambiamento climatico dovrebbe inficiare questo progresso, purché ci adattiamo. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha anche pubblicato relazioni su come i raccolti aumenteranno drasticamente nonostante il cambiamento climatico. L’ambientalismo inganna l’opinione pubblica quando afferma che le energie che dipendono dal meteo, come il solare e l’eolico, possono garantirci tutta l’energia di cui abbiamo bisogno. Queste energie funzionano sulla rete solo grazie ai combustibili fossili e al nucleare, e la quantità di energia immagazzinata necessaria per rendere il solare e l’eolico le uniche fonti di energia è tanto grande da essere irraggiungibile.
Gli ambientalisti si oppongono anche all’agricoltura industrializzata nonostante le enormi quantità di cibo che essa può produrre su una terra relativamente piccola. Nonostante l’aumento della popolazione, la quantità di terra utilizzata per l’agricoltura nei Paesi sviluppati è diminuita significativamente proprio grazie all’agricoltura industrializzata. Questo ci permette, ad esempio, di destinare sempre più terra alla tutela delle specie protette.

Qual è la tesi fondante della sua ultima fatica letteraria “L’Apocalisse può attendere”?
Il mio argomento principale è che il cambiamento climatico non è così negativo come molti attivisti, giornalisti e politici sostengono, e che le soluzioni che essi propongono non funzionano. Lo sviluppo permette alle nazioni di adattarsi al cambiamento climatico, cosa che possiamo fare con successo. Dovremmo sostenere i Paesi in via di sviluppo per permettere loro di creare ricchezza grazie, ad esempio, alle dighe idroelettriche, i combustibili fossili e infine il nucleare. Il solare e l’eolico non possono alimentare la nostra civiltà.  

Michael Shellenberger

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