Dopo aver ripercorso la storia delle interpretazioni della Sindone, dal primo resoconto documentato del 1357 fino a oggi, confutando ogni singola teoria sulla sua origine, Allen conclude che «questa immagine può essere stata prodotta soltanto facendo ricorso a una tecnica molto simile alla fotografia».
Fa poi notare come tutti gli elementi costitutivi di una tecnica basata su quella fotografica – il procedimento della camera oscura, le sostanze chimiche fotosensibili (il cloruro d’argento e il nitrato d’argento) e le lenti – fossero già noti prima del 1260, pertanto era plausibile fossero stati combinati assieme.
Queste conoscenze provenivano in gran parte dal Kitāb al-Manāzir (o De Aspectibus) di Ibn al-Haytham, un filosofo della natura arabo noto nell’Occidente latino come Alhazen, che visse dal 965 al 1039 circa. I sette volumi del Kitāb al-Manāzir contengono infatti dettagliate nozioni di ottica, oltre a un primo esempio di camera oscura (il termine latino fu coniato solo nel 1604 da Giovanni Keplero, che fu anche il primo a utilizzare la parola “camera” isolatamente per indicare la sua versione portatile).
Di questo testo circolarono traduzioni in latino a partire dal 1250 in avanti. Sulla stessa falsariga Allen fornisce una sintesi dei saperi medievali su reagenti fotosensibili e lenti, aggiungendo che nella storia vi sono senza dubbio altri esempi di conoscenze acquisite e poi andate perdute per un certo periodo di tempo. A conclusione del suo studio illustra come lui stesso sia riuscito a riprodurre l’immagine della Sindone di Torino impiegando tecniche medievali.
Ma perché ci è voluto così tanto a “inventare” la fotografia? La domanda non è certamente nuova. Difficile perciò resistere alla tentazione di rispondere con un’altra domanda: e se non ci fosse voluto così tanto?
Secondo Picknett e Prince, Leonardo avrebbe creato la Sindone con un tessuto vecchio tra i sessanta e i cento anni utilizzando tecniche protofotografiche; lo scopo era quello di produrre un’immagine credibile del corpo di Cristo crocifisso che potesse rimpiazzare immagini di qualità inferiore realizzate in precedenti tentativi di fabbricare una Sacra Sindone. Ipotizzano anche che il volto della Sindone di Torino, divenuta uno degli archetipi più iconici dell’immagine di Cristo, sia in realtà un ritratto dello stesso Leonardo.
Non sarebbe poi così azzardato immaginare l’uomo che ha inventato macchine volanti, sottomarini, carri armati, mute subacquee e lenti a contatto alle prese con la protofotografia. Sappiamo che Leonardo era affascinato dalla luce e dall’ottica, che dissezionava cadaveri per conoscere meglio l’anatomia umana, e anche che studiò nel dettaglio le implicazioni anatomiche della crocifissione (anche se non ne dipinse mai una); dissezionò un occhio umano e sperimentò a lungo con lenti, specchi e una camera oscura (che chiamava oculus artificialis, “occhio artificiale”), e inventò persino un esposimetro.
Se qualcuno poteva avere trovato il modo di fissare su un’emulsione sensibile l’immagine di un corpo proiettata attraverso un foro o una lente su una scatola nera, questo qualcuno era probabilmente Leonardo. E soltanto Leonardo avrebbe avuto l’audacia di farlo, architettando una burla rivolta contro la Chiesa (o forse proprio per suo conto).
da “Perché crediamo alle immagini fotografiche”, di David Levi Strauss, Johan & Levi, 2021, pagine 88, euro 10