Il libro-scandalo dell’ex pm Luca Palamara, intitolato «Il sistema», non ha fatto in tempo a uscire dalle classifiche dei saggi più venduti, dopo lunghissima permanenza ai vertici, che correnti, corvi e complotti all’interno della magistratura hanno già trovato un nuovo cantore, l’avvocato Piero Amara, e un nuovo sistema da raccontare. O non raccontare. Questa però è un’altra storia, e riguarda l’estremo garantismo che in Italia, per uno strano paradosso, si applica solo ai grandi inquisitori (ma ho detto che è un’altra storia, dunque ne parleremo un’altra volta).
Nel frattempo, fanno molto discutere le parole di un signore che al telefono spiega a Fedez la necessità di adeguarsi al «sistema», parole per cui l’amministratore delegato della Rai ha chiesto scusa, al di là degli altri aspetti della vicenda contestati dall’azienda, dichiarando che non c’è e non può esserci nessun «sistema» del genere. Ma la verità è che ce ne sono fin troppi. La passione feticistica per il sistema, utilizzato come spiegazione passe-partout per qualunque problema affligga il singolo non meno che la collettività, dall’economia internazionale alla cronaca rosa, ammorba praticamente ogni pubblica discussione, cacciandola sempre nello stesso circolo vizioso.
Perché alla fin fine, in Italia, non importa chi tu sia, e cosa tu faccia per vivere, prosperare o tirare avanti: il cantante o il politico, l’influencer o il funzionario televisivo, il pm o il pr. Ci sono ancora alcune cose che ci rendono tutti uguali. Tu, io, loro, tutti. Perché, per essere felici, tutti abbiamo bisogno di un sistema da odiare. O dietro cui nascondere le nostre responsabilità.
In origine, il sistema oggetto della contestazione di partiti e movimenti della sinistra, e contro il quale non mancava di «scagliarsi» anche la gioventù di estrema destra, era il sistema capitalistico. Magari con l’implicito corollario del sistema democratico, la deprecata «democrazia borghese». E l’espressione, per quanto generica e retorica, aveva se non altro un senso, denotava qualcosa che era possibile definire in modo abbastanza univoco.
Da tempo però quel genere di retorica ci ha preso la mano, e chissà che non ci sia un qualche paradossale legame tra la diffusione incontrollata di un simile modo di esprimersi – al giorno d’oggi, è rimasto più un giornalista, un cantante, un idraulico che non si batta eroicamente contro il sistema? – e la scomparsa di ogni serio tentativo di immaginare davvero, in politica, un qualche sistema alternativo. Perlomeno tra i partiti dell’arco parlamentare, da decenni non risultano più formazioni intenzionate a fuoriuscire dal sistema capitalistico e democratico nemmeno per scherzo (e per fortuna, visti gli esiti dei precedenti tentativi).
Per molti anni, ed è stata a mio giudizio l’origine di gran parte dei nostri guai, si è diffusa in Italia l’idea che «il sistema» fosse semplicemente la politica, cioè il sistema dei partiti, tutti compresi e nessuno escluso, fonte di ogni ruberia e corruzione, causa di tutti i ritardi e le arretratezze del nostro Paese. Ora però che di quel sistema non è rimasta in piedi pietra su pietra, e i partiti di oggi, quando non sono il frutto diretto di quell’ispirazione (la Lega prima, il Movimento 5 stelle poi), sono ridotti a uno stato talmente misero da non poter spaventare nessuno, vediamo come i sistemi, le trame, i complotti si moltiplichino ovunque, a cominciare da quella magistratura che avrebbe dovuto liberarcene definitivamente.
Ma proprio il fatto che siano così tanti, dovrebbe indurre a riconsiderarne l’importanza. Quello del sistema è infatti quasi sempre un alibi, se non proprio una forma di paranoia, dietro cui si nascondono più burattini che burattinai, e moventi assai più banali di quel che si creda. Dietro le sofisticate macchinazioni di cui ci piace tanto parlare non ci sono quasi mai grandi vecchi e menti raffinatissime, dunque è inutile farsi prendere dall’angoscia, perché nove volte su dieci non c’è alcun sistema, al massimo qualche modesto tentativo di sistemarsi.