L’incremento della tassa di successione sui grandi patrimoni è una proposta condivisibile se non altro per allinearci ai grandi Paesi europei. Vanno però anche segnalate alcune storture che altri Paesi hanno già affrontato, prima fra tutte l’esenzione della tassa sui titoli di Stato che rende la tassa di fatto una tassa sulle “morti improvvise” e sugli immobili, lasciando tutto il tempo per evaderla laddove ci siano decorsi lenti o prevedibili, con una evidente iniquità.
Sarebbe da rivedere anche la tassazione delle imprese familiari, che in Germania comporta invece un abbattimento dell’85 per cento dell’imponibile, onde evitare crisi aziendali e dissoluzioni di valore creato in generazioni per pagare appunto la tassa di successione.
Bene ha fatto Mario Draghi a chiarire subito che la tassa di successione va inserita in un più ampio disegno armonico di riforma del sistema fiscale italiano e non usata come una clava sull’altare delle correnti interne al Pd per blandire la sinistra del partito contro Base riformista o il senatore Andrea Marcucci.
Ma quello che lascia invece perplessi, per non dire profondamente delusi o peggio inferociti, pur consapevoli dei vizi storici ineliminabili di una cultura contro l’impresa e contro l’iniziativa individuale del Partito democratico, è collegare la tassa che va riformata e inserita in un disegno coerente con la populistica e ridicola affermazione della dote di diecimila euro per i giovani.
Cosa sono diecimila euro a fronte dell’enorme trasferimento intergenerazionale che la sinistra del Pd, ben coadiuvata dai Cinquestelle, ha pervicacemente imposto sulle generazioni di giovani? La vera dote da dare ai giovani è l’opportunità di lavoro e di crescita individuale e non il seppellirli sotto un immane debito pubblico, sotto un sistema di welfare che favorisce le basi elettorali storiche del Pd a danno di tutti i giovani, sotto una burocrazia statale che soffoca ogni impresa e ogni iniziativa privata.
È davvero un insulto all’intelligenza pensare che la misera dote derivante dalla tassa di successione possa nascondere la difesa strenua di privilegi e di rigidità che hanno fermato la crescita del Paese per trent’anni, gran parte dei quali con il Pd al governo, nella convinzione che sindacati, pensionati e dipendenti pubblici fossero l’asse portante del consenso del partito a danno delle imprese e del lavoro autonomo e in genere di ogni iniziativa privata che peraltro ha finanziato la spesa pubblica inefficiente.
Il riflesso atavico “tassa e spendi” continua, cercando di adottare i giovani alla demagogia del consenso. Gli stessi giovani che saranno costretti a pagare tasse altissime per le scelte scellerate sulle pensioni, sulla rigidità del lavoro e sulla spesa pubblica inefficiente, spesso clientelare, ancora più spesso finalizzata all’intermediazione di potere, ma sulla quale non si sente nemmeno un accenno di revisione da parte del Pd e dei Cinquestelle.
Il futuro del nostro Paese dipende, come ha molto enfatizzato Mario Draghi, dalla capacità di realizzare una crescita sostenibile, duratura e non congiunturale dopo l’uscita dal Covid. E questa crescita dipende dalle imprese e dall’iniziativa individuale del lavoro autonomo, dalla capacità delle persone – e soprattutto dei giovani – di innovare, intraprendere, rischiare.
Non dipende invece dalla capacità dello Stato di trovare nuove e continue vessazioni fiscali o regolatorie, che hanno strozzato la crescita del Paese sotto la bandiera dell’equità falsamente sventolata. Certo che bisogna combattere l’evasione fiscale e il lavoro nero: è assolutamente doveroso. Ma evasione fiscale e lavoro nero non si combattono con norme lunari che rendono l’assunzione un impegno a vita e l’adempimento fiscale una giungla di difficoltà inaudite.
Le tasse devono essere chiare, trasparenti e facili da riscuotere. Oggi se un giovane compra casa paga la tassa di registro, la tassa sul mutuo, la tassa rappresentata dal notaio, deve certificare l’abitazione nella classe energetica, preoccuparsi della conformità dell’abitazione a infinite norme di tutti i tipi, iniziare a pagare la tassa sui rifiuti e l’IMU, rapportarsi a un catasto immobiliare fermo a 50 anni fa che non dà risposte, non può spostare un muro senza passare dalle forche caudine della Scia o della Dia o di altro permesso cervellotico a garanzia di una interferenza continua dello Stato anche per lo spostamento di un muro interno.
La dote per i giovani non consiste nella regalia di diecimila euro per poi riprenderli con gli interessi quando un giovane decide di diventare “ricco è tassato” acquistando una casa. Ma consiste nel fare in modo che un giovane che si impegna e lavora non venga vessato continuamente nella sua legittima aspirazione di comprare una casa per la sua famiglia, venga favorito fiscalmente se fa un figlio. E consiste nel capire che sarà normale cambiare lavoro varie volte e che quindi, invece della falsa protezione del posto di lavoro con il blocco dei licenziamenti, serve una protezione vera del lavoratore nella transizione da un lavoro all’altro.
Tutte queste “doti” sono invece idiosincratiche per il Pd, perché lasciano che i privati trovino nella loro autonoma iniziativa i mezzi per crescere e non configurano l’intermediazione, vale a dire la possibilità di fare passare i soldi dalle mani dello Stato per restituirli ai privati (specie i privati che tendenzialmente votano Pd…), salvo poi tassarli all’atto della morte, dopo che per tutta la vita hanno contribuito allo Stato.
È ben triste osservare come tutto questo venga tacciato come “liberismo selvaggio” da gran parte dei media e dell’intellighenzia di sinistra. Lo statalismo selvaggio ci ha portati, in trent’anni anni, a essere ultimi per tasso di crescita e primi per debito pubblico e a essere il Paese del cashback, dei banchi a rotelle, delle mascherine acquistate e non usate, di quota 100 e del reddito di cittadinanza, dell’Ilva e di Alitalia, e di mille altre nefandezze della spesa pubblica. Ma, sempre e comunque, si cercano modi per aumentare il tasso di intermediazione dello Stato nascondendo dietro a un dito il fallimento storico di questa operazione.
La tassa di successione è una buona tassa, se è gestita in modo appropriato e se è armonica al resto del sistema fiscale. Spenderla bene è però ancora più importante e non si può continuare a non affrontare i mali storici di questo Paese solo perché vengono colpiti gli interessi dei ceti che storicamente votano Pd.
E ancora più ributtante è il tentativo di sembrare paladini dei giovani, dopo che per anni gli interessi veri di una generazione sono stati allegramente nascosti, sepolti sotto il populismo dei “diritti”, fino a creare una situazione di debito quasi insostenibile che ricadrà su di loro.
Quindi, sarebbe accettabile parlare di giovani solo se, insieme con la revisione della tassa di successione (o, meglio, del sistema complessivo fiscale), si parlasse anche di una spending review durissima, dell’eliminazione del reddito di cittadinanza e di quota 100, della fine di infiniti privilegi per le persone legate al sistema dei partiti e soprattutto all’unico partito – il Pd, appunto – che ancora “gestisce” questo complesso sistema di Stato nello Stato attraverso nomine clientelari in svariati enti, aziende municipalizzate, partecipate o controllate dal settore pubblico.
Lavarsi la coscienza con diecimila euro è insopportabile dopo avere attivamente creato un debito che vale 250.000 euro per ogni giovane dai 10 ai 30 anni. Farlo cercando di arruolare i giovani al meccanismo dello scambio di “consenso elettorale con mancetta” è addirittura disgustoso, tipico peraltro di chi, già sconfitto dalla storia, cerca rivincite senza avere per nulla elaborato i veri motivi della sconfitta.
Per fortuna, tra non molto si vota e i giovani non sono per nulla fessi.