Il sindaco di Budapest Gergely Karácsony, liberale, ha annunciato sulla sua pagina Facebook l’intenzione di candidarsi alle primarie del fronte unico formato da sei forze dell’opposizione ungherese, che tenterà di scalzare Viktor Orbán, al potere dal 2010, alle elezioni parlamentari previste per il prossimo aprile. «Mi candido perché la mia patria è nei guai. Il problema più grande dell’Ungheria oggi è la polarizzazione tra i suoi cittadini. Voglio riunione il paese», ha spiegato Karácsony, che ha anche rispolverato uno degli slogan del defunto movimento Occupy Wall Street: «Sarò al servizio del 99% della popolazione».
Per Karácsony, che ha servito come parlamentare durante la prima legislatura dominata da Fidesz (2010-2014), è il secondo tentativo. Già alle scorse elezioni (2018), era stato il candidato premier della coalizione tra il suo partito, Dialogo per l’Ungheria (PM, nell’acronimo ungherese), e il Partito Socialista Ungherese (MSZP), rimediando però solo poco meno del 12% e posizionandosi terzo dopo Orbán (49%) e il candidato di Jobbik Gábor Vona (19%).
Tuttavia, l’ultimo precedente gioca a favore del quarantacinquenne primo cittadino della capitale ungherese, eletto due anni fa proprio nel primo tentativo di alleanza trasversale tra le opposizioni. Al fronte unico degli anti-orbaniani hanno aderito verdi, socialisti, liberali centristi e per la prima volta anche Jobbik, il partito ultra-nazionalista e antisemita che negli ultimi anni sta cercando di ricollocarsi come forza di destra moderata. Nel 2019 non sostenne apertamente Karácsony, ma decise di non presentare un proprio candidato, facilitandone la vittoria e ponendo le basi per la successiva convergenza.
Quella tornata di votazioni municipali rappresentò la prima, inaspettata, crepa nel sistema di potere allestito da Fidesz.
In questi undici anni gli orbaniani hanno agito per svuotare di senso le elezioni, rendendole un mero pro forma, come tipico dei regimi di autoritarismo competitivo, dove la competizione elettorale viene simulata senza che dalle urne possa realmente emergere un’alternativa alla forza egemone.
Oltre ad assicurarsi il controllo dei mass media, estirpando quasi interamente le voci indipendenti, grazie a una super-maggioranza parlamentare di due terzi, Fidesz ha varato leggi che hanno ridisegnato i collegi elettorali in modo da favorire i suoi candidati, oltre ad altre norme minori che hanno reso più complesso per i suoi avversari lo svolgimento della propria campagna elettorale. Secondo le opposizioni, sono state queste manovre concepite ad hoc per far vincere Fidesz a costringere quasi tutti i soggetti interessati a detronizzare Orbán ad allearsi, soprassedendo sulle radicali differenze ideologiche e dimenticandosi anni di ostilità.
Nonostante le regole avvantaggino marcatamente il partito di governo, al momento i sondaggi danno Fidesz e il fronte unico delle opposizioni testa a testa, entrambi al 48%. Le uniche forze politiche che non aderiscono a nessuno dei due schieramenti principali sono la formazione ultra-nazionalista Movimento Nostra Patria (2%) di László Toroczkai, sindaco di Ásotthalom, e il Partito Ungherese del Cane a due code (1%), un’iniziativa goliardica più simile a una campagna di comunicazione satirica che a un partito.
Le primarie che incoroneranno il leader del fronte anti-orbaniano si svolgeranno in due turni a settembre e ottobre.
Come osserva l’Economist, Orbán e Karácsony non sono solo due rivali politici, ma incarnano due Ungherie opposte. Se l’attuale premier, che nella vita ha fatto quasi solo il politico, incarna il cuore rurale e provinciale del paese, lo sfidante, che ha lavorato all’Università Corvinus e all’istituto di ricerca Medián, ne rappresenta l’anima liberale, cosmopolita e urbana. La carica di sindaco di Budapest gli ha garantito molta visibilità e prestigio, risorse che ha subito investito per farsi conoscere anche fuori dai patri confini come “l’anti-Orbán”.
Già pochi mesi dopo la sua nomina, Karácsony aveva lanciato il Patto delle città libere, un forum di coordinamento tra i sindaci delle quattro capitali dei paesi del Gruppo di Visegrád (V4), tutte in mano a forze liberali e progressiste.
Il divario città-campagna è una delle dinamiche politiche più evidenti nella metà post-comunista dell’Ue. Anche alle recenti elezioni comunali di Zagabria ha trionfato una lista verde e liberale, sebbene la Croazia stia diventando, non diversamente dai quattro Stati mitteleuropei, un paese sempre più conservatore.