Bracconieri per fameIl problema dei cacciatori improvvisati in Uganda

Le popolazioni rurali dello Stato africano, spinte dalla miseria hanno iniziato ad avventurarsi nei parchi protetti per abbattere antilopi e bufali e venderne le carni al mercato nero. Spesso mettendo a repentaglio la propria vita

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Proteggere la fauna anche a prezzo della vita degli umani? Distinguere tra chi uccide gli animali selvatici per cinismo o commercio e chi li uccide per mangiare?

Sono questi i quesiti (per nulla di poco conto) che sorgono se si scorre la cronaca recente che arriva dall’Uganda, Paese con uno dei più grandi patrimoni naturali del mondo e le cui popolazioni rurali e contadine vivono in condizioni di grandissima miseria (inevitabilmente peggiorata negli ultimi due anni) e che, per fame e sopravvivenza, hanno preso ad avventurarsi nei parchi protetti per cacciare antilopi e bufali, così da poterne vendere le carni al mercato nero.

Spesso (numeri certi non se ne hanno, ma si tratta di decine ogni anno) questi bracconieri per necessità non tornano per niente dalla loro battuta illegale o, se lo fanno, lo fanno con la sensazione fisica di aver avuto solo molta fortuna a portare a casa la pelle.

Le battute di caccia illegali, che consistono nell’entrare di notte all’interno delle aree protette per cacciare erbivori, sono spesso particolarmente pericolose.

Lo sono per due tre ragioni. La prima: questi bracconieri per caso, che sono contadini poveri e non veri cacciatori, spesso si muovono con armi di fortuna (machete, lance, bastoni, frecce, raramente armi da fuoco: niente a che fare con gli arsenali dei bracconieri veri e propri, quelli che cercano zanne di elefante o denti di ippopotamo) e questo rende inevitabilmente poco efficaci non solo le loro azioni di offesa e i loro tentativi di uccisione di grandi animali selvatici, ma anche quasi completamente vano ogni loro tentativo di difendersi dal contrattacco degli animali cacciati.

La seconda: nelle aree protette in Africa ci sono animali feroci, come leoni, leopardi o ippopotami che raramente gradiscono la presenza di ospiti nel loro territorio.

La terza: l’assai concreto il rischio di incappare nelle pattuglie di ranger che, nella migliore delle ipotesi, arrestano i cacciatori, e nella peggiore, per colluttazioni o paura, possono sparare e uccidere.

I casi, sempre più numerosi, di contadini ugandesi uccisi nei modi più disparati durante tentativi illegali di caccia, stanno diventando un problema sempre più grave nel Paese, ed è indice di altri, ed altrettanto gravi, problemi che non si sono affrontati negli scorsi decenni, quando la volontà di istituire zone protette che potessero attrarre fondi e turisti da tutto il mondo, ha portato a espropriare terre e coltivazioni di intere popolazioni contadine, lasciandole di fatto senza nulla.

Il giornale americano Foreign Policy riporta il caso dei pastori ugandesi Basongora, il cui 90% delle terre ora fa parte del parco ugandese Queen Elizabeth National Park, la cui costituzione, negli anni ’50, li ha di fatto costretti a una complicata diaspora in Congo.

All’inizio degli anni 2000, però, con il Congo devastato dalle guerre civili e dalla violenza, i Basongora sono tornati in Uganda, con il problema però che le loro terre non c’erano più, completamente occupate dal parco, da leoni, elefanti e gazzelle.

Una situazione di disequilibrio che sembrò essersi placata, alcuni anni dopo, con la trasformazione della natura selvatica in affare per il turismo e per i contadini che, alla cura del poco di terra ancora disponibile, avevano preso ad affiancare la vendita di artigianato locale ai viaggiatori americani ed europei.

Poi però, come noto, è arrivato il Covid, che ha bloccato completamente viaggi e visitatori, affamando, più di quanto già non fossero, le popolazioni locali. Non solo. Ma il governo locale, alle prese con la crisi, ha preso a essere sempre più lento (ove non assente) nel ristorare i contadini i cui campi sono di frequente trasformati in pascoli da elefanti, ippopotami, bufali.

Una concomitanza di eventi che ha fatto sì che, come prevedibile, negli ultimi mesi le incursioni di questi bracconieri della domenica siano riprese, con maggiore frequenza che in passato, ma non con maggiore fortuna e  con non poche e non lievi conseguenze, per le popolazioni contadine, in un quadro in cui non vince nessuno: non gli umani, che si ritrovano a cacciare in modo pericoloso e sostanzialmente inutile, perché le battute di caccia, anche quando vanno bene, non risolvono nessun problema di lungo periodo; non gli animali, che se vivono circondati da contadini poveri, disperati e arrabbiati, sono inevitabilmente più in pericolo di prima; non le riserve che non hanno nessun interesse a diventare luogo né di caccia ai bufali né di caccia all’uomo. Perdono tutti e nessuno è davvero protetto.