Finalmente è arrivato il momento degli Europei, con un anno di ritardo. La più importante competizione continentale per Nazionali parte da Roma e dall’Italia, con gli Azzurri che dovranno sostenere il peso di grandi aspettative – come abbiamo raccontato ieri.
Gli uomini di Roberto Mancini iniziano il loro percorso contro la Turchia, che viene da un periodo positivo: nel 2021 ha giocato sei partite ed è ancora imbattuta; nel girone di qualificazione agli Europei ha vinto 7 partite su 10, portando a casa 4 punti dal doppio confronto con la Francia.
Negli ultimi anni, però, la formazione allenata da Şenol Güneş ha attirato l’attenzione dei media e del pubblico europeo soprattutto per motivi extracalcistici.
Il saluto militare rievocato da alcuni giocatori durante le esultanze hanno fatto molto discutere, soprattutto per il coinvolgimento della Turchia nel conflitto in Siria. Il tema si è diffuso sui giornali e sui social poco meno di due anni fa, nell’autunno del 2019: dopo il gol decisivo dell’attaccante turco Cenk Tosun in Turchia-Albania la maggior parte dei giocatori turchi aveva festeggiato con il saluto militare, in omaggio alla decisione di Ankara di avviare un nuovo intervento militare nel nord-est della Siria.
Non c’erano dubbi che fosse un omaggio a quell’operazione: molti giocatori prima della partita avevano pubblicato sui loro profili social dei post di incoraggiamento nei confronti dell’esercito, con l’hashtag #OperationPeaceSpring – cioè Operazione Fonte di Pace, il nome dell’offensiva.
Il saluto militare in realtà aveva iniziato a diffondersi da prima – in Italia l’avevamo visto dopo una doppietta di Cengiz Ünder in un Roma-Benevento del febbraio 2018 – ma l’attenzione globale sul conflitto siriano aveva dato attirato l’attenzione generale, e quasi tutti i calciatori furono accusati di sostenere una guerra criminale e il regime di Recep Tayyp Erdogan.
«Fino a una decina d’anni fa in Turchia l’esercito era un’istituzione politicamente potentissima, con i vertici militari puntualmente in tv o sui giornali a dispensare pareri e opinioni sulla politica e altri argomenti. Poi da quando Erdogan ha consolidato in maniera granitica il suo potere sono cambiate un po’ le cose, ma il gradimento dell’esercito tra i ceti popolari è ancora altissimo», dice a Linkiesta il professor Fabio Salomoni, che insegna alla facoltà di scienze umane e sociali alla Koç University di Istanbul, spiegando che prima ancora del sostegno al regime quel saluto militare è un pezzo dell’identità nazionale turca, è radicato nella cultura e nella società.
È per questo che dimostrare sostegno all’esercito è un gesto quasi naturale, soprattutto per i giovani. «Si dice che il turco nasce soldato: mettersi sull’attenti è una pratica che inizia nelle scuole prima delle lezioni e finisce allo stadio, con l’inno nazionale suonato prima di ogni partita. E tra i ceti popolari fare il servizio militare è considerato un pezzo fondamentale della biografia personale. Poi tutto questo è stato si è ingigantito con la guerra permanente contro il Pkk: il conflitto è un moltiplicatore di logiche e meccanismi securitari, militari, identitari», aggiunge Salomoni.
Poi c’è la dimensione politica della questione, perché come in tanti altri Paesi lo sport – e il calcio in particolare – è permeato da interessi politici. A ottobre 2019 qui a Linkiesta scrivevamo: «Il sostegno all’esercito indigna tanti, ma siamo sicuri che oggi in Turchia sia possibile non essere d’accordo con il presidente? Sicuri che gli sportivi abbiano tutta questa libertà di poter formulare il proprio pensiero? Perdonerete lo spoiler ma la risposta sembra chiara: no. Oggi in Turchia lo sport è pura e semplice politica».
Le infiltrazioni del regime nel calcio sono ormai macroscopiche, come dimostra l’İstanbul Başakşehir: la squadra, di proprietà del ministero turco per la Gioventù e lo Sport, è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni, è arrivata fino alla Süper Lig – la prima divisione calcistica – grazie alle sovvenzioni del governo. E ovviamente il costruttore dello stadio del Başakşehir è uno dei grandi imprenditori vicini a Erdogan, così come il proprietario dello sponsor principale.
Se è vero che lo sport turco appoggia il governo, è altrettanto vero che molti sportivi sono costretti a tacere o a fingere sostegno uniformandosi agli altri: chi non fa buon viso a cattivo gioco deve scontare la ritorsione del regime.
Negli ultimi anni sono stati raccontati soprattutto i due casi mediaticamente più rilevanti di atleti che si oppongono a Erdogan: uno è Hakan Şükür, ex giocatore dell’Inter e della nazionale turca che dopo il ritiro si era impegnato proprio con governo di Erdogan, l’altro è il cestista Nba Enes Kanter – che ha già definito il leader turco «l’Hitler del nostro secolo». Le loro vicende e il loro rapporto conflittuale – a dir poco – con il regime sono già state raccontate da più parti (qui un esempio dal New York Times, qui il Guardian).
Sono entrambi sostenitori dell’Hizmet (“il Servizio”, in turco), il movimento di Fethullah Gülen nato negli anni ‘60 e passato in breve tempo da alleato a «organizzazione terroristica» – definizione di Erdogan – nel giro di vent’anni.
Il movimento gulenista è stato a lungo il principale sostenitore dell’Akp, il partito di Erdogan, e ne ha guidato l’ascesa: «Nelle parole di Gülen c’era un Islam buono, tollerante, aperto e democratico, e l’Hizmet aveva infiltrazioni in politica, nella polizia, nell’esercito, nella magistratura: così ripuliva l’immagine di Erdogan. Poi ovviamente il movimento gulenista non è una onlus, e i suoi sostenitori, anche se oppositori a un regime, non sono necessariamente dei martiri», dice il professor Salomoni.
All’inizio degli anni Dieci è finita la luna di miele tra Erdogan e Gülen: il leader del movimento era contrario alla guerra in Siria e aveva denunciato la repressione delle proteste di piazza Taksim e uno scandalo per corruzione che aveva travolto il governo; “il Sultano” ha risposto accusando Gülen di essere a capo di uno «Stato parallelo nemico» che trama contro di lui.
A quel punto tutti i discepoli del movimento, come gli atleti Şükür e Kanter, sono stati perseguitati e attaccati con ogni mezzo dal regime. Ma se loro due, in particolare, possono in qualche modo continuare di opporre una certa resistenza al regime, per un atleta o un personaggio pubblico minore potrebbe essere diverso, certamente più complesso. Ad esempio, gli ex calciatori della Nazionale Ugur Boral, Ömer Catkic, Zafer Biryol e Bekir Irtegün sono stati processati in Turchia con accuse di terrorismo e condannati a pene detentive che vanno dai 2 ai 6 anni. È in questo contesto si muove quel sostegno apparentemente incondizionato dei calciatori e degli sportivi turchi all’esercito e al regime di Erdogan.