Covid-19 come prova generale. Di che cosa? Per alcuni, dell’età delle pandemie che ci saremmo guadagnati antropizzando il pianeta. In realtà, di limitazioni della libertà individuale e politiche pubbliche che, sperimentate nell’ultimo anno, dovrebbero restare con noi tendenzialmente per sempre. È un classico caso in cui la diagnosi è strumentale alla terapia che si vuole somministrare.
È singolare ascoltare da un autorevole esperto di sanità pubblica che “abbiamo creato la povertà, l’affollamento, la promiscuità tra uomini e animali, i cambiamenti climatici e gli spostamenti che aiutano la rapida trasmissione” dei virus. Doppiamente singolare è sentirglielo dire in un convegno di economisti.
Noi non abbiamo creato la povertà, perché il mondo era tanto più povero di adesso quanto più si retrocede nel passato. Lo sapeva bene Adam Smith, che infatti si interrogò sulla causa della ricchezza delle nazioni: è la ricchezza a rappresentare l’anomalia, la povertà è lo stato “naturale”.
Non dipende dalla nostra volontà l’affollamento, ma dal fatto che siamo esemplari di una specie biologica: chi condanna l’affollamento dovrebbe avere il coraggio di chiedere la sterilizzazione coatta, che in vari modi diversi regimi totalitari nella storia hanno sempre praticato o hanno tentato di praticare per il controllo delle nascite. La storia suggerisce che la natalità diminuisce dopo il declino della mortalità infantile e quando aumenta il benessere economico, nonché quando a decidere liberamente quanti figli fare sono davvero i genitori, affrancati da malattie e povertà. Se pubblicizzare una scelta così privata è incompatibile con qualsiasi definizione minimamente seria di libertà, la pretesa razionalità di quella decisione non si misura in astratto, ma nelle peculiari circostanze di ciascuno ed è pertanto assai diversa nei differenti contesti economici e sociali.
La promiscuità tra uomini e animali è iniziata con l’evoluzione dell’uomo nella foresta – ci sono prove scientifiche che era molto superiore prima della transizione agricola – e dopo millenni di promiscuità con gli animali domestici negli ultimi secoli è significativamente diminuita.
Forse siamo coinvolti come specie nel cambiamento climatico in corso, ma il pianeta di cambiamenti che hanno stravolto civiltà del passato non ne ha lesinati di “sua sponte”: le ondate di epidemie che spazzarono via l’Impero Romano, e che iniziarono a seguito di un drastico raffreddamento climatico che durò secoli, e la Piccola Glaciazione con cui iniziò la Peste Nera non furono certo causate da attività umane.
È vero che gli spostamenti più rapidi – in breve, gli aerei – hanno aiutato la trasmissione di virus emergenti, ma hanno anche agevolato il progresso economico, tecnologico e scientifico grazie al quale disponiamo non solo di più benessere ma anche degli strumenti per controllare i virus. Il bilancio degli spostamenti è ampiamente positivo. E allora?
Ben pochi esperti e scienziati che sono stati scoperti e lanciati dai palinsesti mediatici nell’ultimo anno si sono trattenuti dal pontificare, predicare, divinare, etc. La previsione che a pandemia apparentemente in via di esaurimento più eccita sembra essere che le pandemie siano un destino, che dopo questa ne verranno altre e tante, che dobbiamo prepararci, che quelle in arrivo saranno peggio di Covid-19 e che pertanto è bene che il principe si rassegni a seguire le indicazioni di questi suoi nuovi consiglieri.
Uno dei più influenti biologi evoluzionisti del Novecento, Ernst Mayr, detto anche “il Darwin del Ventesimo secolo”, insisteva che quando si ha a che fare con fenomeni biologici, e le epidemie/pandemie sono processi biologici che si manifestano producendo effetti sanitari, non si possono fare previsioni o comunque le dinamiche epidemiologiche manifestate dalle popolazioni (consideriamo anche solo i virus che mutano incessantemente e casualmente) a seguito dei processi di selezione rendono altamente stocastici i fenomeni che si producono.
Nel campo dell’infettivologia sono state sbagliate molte previsioni. Negli anni Settanta i massimi esperti mondiali di malattie infettive scrivevano, al contrario di quello che si dice oggi, che era terminata l’era delle epidemie, e il mentore di Anthony Fauci scrisse nel 1978 un articolo in cui sosteneva che gli infettivologi non servivano più. Costoro furono smentiti dall’arrivo nel 1981 del virus HIV. Negli Stati Uniti fu un caso il fiasco della previsione di un’influenza suina del 1976, che causò rilevanti effetti collaterali da vaccinazioni. Non meno eclatante l’errore di previsione degli epidemiologi e virologi dell’OMS per quanto riguarda l’influenza suina del 2009, impropriamente definita pandemia.
Anche la minaccia che pareva imminente di una pandemia influenzale dovuta al salto di specie di un virus aviario, che ci intrattenne alla fine degli anni Novanta, non si realizzò. Siamo stati fortunati, ma quando si ha a che fare con fenomeni che vedono in gioco la circolazione di (e l’incontro tra) genomi molto numerosi, la lotteria è il modo naturale in cui avvengono le scelte che ci riguardano. Sempre per il motivo per cui non è il destino, ma il caso genetico-biologico a consentire a un virus di diventare parassita dell’uomo e di causare una pandemia.
I generali combattono sempre l’ultima guerra. Per quanto chi lo fa possa compiacersi del suo “pessimismo della ragione”, dire che ci saranno altre pandemie non ha nulla di originale: è un truismo. Il punto è che nessuno sa come saranno, queste pandemie. Quasi tutti coloro che negli ultimi anni avevano predetto l’avvento di un nuovo virus pandemico si aspettavano una pandemia influenzale e invece è arrivato un coronavirus. È vero che il mondo globale favorisce i virus, ma solo alcuni, e diversi a seconda dei contesti, hanno qualche chance di diffondersi. Non si contano i virus che hanno tentato di diventare patogeni dell’uomo, ma non ci sono riusciti o non ci stanno riuscendo.
L’esperienza di quest’anno può indurci a pensare che la prossima pandemia somiglierà al Covid-19 e che dunque dovremo abituarci a restrizioni come quelle che abbiamo conosciuto nel 2020. Ma è più probabile che la prossima pandemia, che nessuno può dirci quando avverrà, avrà caratteri radicalmente diversi e in un certo senso prepararsi ossessivamente per rischi come quelli che Sars-Cov-2 porta con sé rischia semmai di lasciare scoperti e indeboliti altri fianchi.
È curioso che proprio gli esperti di salute pubblica non riescano a comprendere la natura evolutiva di questi fenomeni, che tanto ha dato loro in termini di visibilità. La biologia evolutiva forse andrebbe meglio considerata, e integrata nei piani pandemici.
Certo è che la reputazione degli esperti ormai è inversamente proporzionale alla perentorietà. La loro legittimità agli occhi dell’opinione pubblica si riduce e ad alcuni vien facile dare la colpa al populismo. In realtà, si capisce che le persone facciano fatica a dar credito a chi oggi continua a parlare di “zero Covid” (magari riverniciandolo come “no Covid”) ma all’inizio della pandemia sconsigliava l’uso della mascherina. Non è una colpa, sia ben chiaro: siamo tutti umani. È solo che proprio perché gli esperti non si sono dimostrati particolarmente attrezzati nel corso della pandemia, non si capisce perché dar loro credito per pandemie di cui ancora non si sa, fortunatamente, proprio nulla.