Per entrare nei temi della puntata di Ecotoni sui boschi di protezione, la cosa migliore è partire da una storia. La racconta a metà della puntata il ricercatore Giorgio Vacchiano, nella sua rubrica Radura.
È la storia di una delle prime rivolte ambientaliste in Italia, una protesta che aveva per oggetto proprio la protezione offerta da un bosco di larici a una borgata del comune di Fenestrelle, in Piemonte.
Era il 1879 e c’era fame di legno come materiale da costruzione, quel bosco era finito nei radar dell’amministrazione regia. Arrivò a un delegato da Pinerolo ad annunciarne e ordinarne il taglio. Gli abitanti di Fenestrelle non lo chiamavano «servizio ecosistemico» ma erano consapevoli del fatto che quei larici erano la loro assicurazione sul futuro, che rappresentavano la sicurezza della loro vita nella valle.
Ci fu conflitto sociale e politico, minacciarono di trasferirsi in blocco in America, e sarebbe stata un’altra grandiosa storia da raccontare, ma non lo fecero, perché scelsero la strada della rivolta. All’alba del giorno dei tagli furono le donne di Fenestrelle a decidere di salvare la riserva. Salirono nel bosco, alcune si legarono agli alberi, altre fecero rotolare a valle i massi che il bosco aveva trattenuto, vinsero e fecero scappare il nemico.
Le protagoniste di questa rivolta furono processate, ammonite ma non incarcerate. Il bosco è salvo e sta lì da allora.
Tra i servizi ecosistemici che Ecotoni (podcast sui boschi italiani condotto da me e Luigi Torreggiani) racconta, quello della protezione da erosione, frane, valanghe, caduta massi è quello più specificamente importante per un territorio verticale e delicato come quello italiano. Non solo perché il nostro è un Paese fatto per due terzi di colline e montagne, ma perché l’incuria e incapacità di gestire il territorio ha creato questa specie di emergenza secolare permanente che è il dissesto idrogeologico, un’eredità nociva tramandata di generazione in generazione.
Secondo i dati Ispra oltre il 90% dei comuni italiani ha almeno un’area a rischio frane o alluvioni, una condizione di rischio elevato che coinvolge 1,28 milioni di persone.
In un Paese verticale e friabile come l’Italia il patrimonio forestale ha un ruolo fondamentale per mitigare questi rischi, che la crisi climatica invece tende ad amplificare.
Ed è qui entrano in gioco la gestione e selvicoltura.
L’esistenza stessa del bosco ha già un effetto di protezione, contro l’erosione del suolo, per esempio, o facendo da pettine per trattenere la caduta massi. Dato il contesto, però, la gestione ha il ruolo fondamentale di amplificare questa protezione, è un «lavoro di squadra tra le foreste e gli esseri umani per indirizzare le dinamiche naturali verso la protezione», come spiega Alberto Dotta, direttore del consorzio forestale Alta Val Susa, che a Ecotoni porta l’esperienza di lavoro nella protezione forestale che si fa in quell’area.
È la stessa funzione che a fine ‘800 percepivano e proteggevano le donne rivoltose di Fenestrelle, oggi applicata con metodi scientifici.
L’obiettivo è raggiungere la struttura ideale per garantire la protezione dal rischio specifico di ogni area, che siano frane o valanghe. Leggere il territorio, comprenderne i problemi, lavorare col bosco per mitigarli.
«È come essere in cucina, quelle di protezione sono come delle ricette gastronomiche. Il numero di piante, il loro diametro, le loro dinamiche di rinnovazione sono gli ingredienti. La selvicoltura è l’insieme di strumenti e fornelli a nostra disposizione per prepararle».
Le ricette specifiche possono essere azioni di rimboschimento dove il bosco è invecchiato o al collasso, tagli mirati per indirizzare la rinnovazione naturale, posizionamento strategico di piante per ridurre l’erosione e le valanghe. Rimettere il bosco al centro dell’Italia è anche questo: intervenire per portare equilibrio nella doppia dinamica che rende così pericoloso il territorio italiano: il consumo di suolo a valle e l’abbandono in montagna.