Ritorno al presenteLa nostalgica somiglianza della Nazionale di Mancini agli Azzurri del passato

Raspadori paragonato a Paolo Rossi, uno staff con Vialli e De Rossi, un blocco di giocatori ripreso da una vecchia edizione dell’Under 21. L’Italia di oggi è una squadra quasi unica per il modo di giocare, ma la narrazione e le storie che la accompagnano ricordano alcune annate storiche

Lapresse / Alfredo Falcone

«Raspadori è diverso da Immobile e Belotti, potrebbe essere il futuro della Nazionale. Ha qualità straordinarie e questa è stata l’unica motivazione della convocazione. Spero che possa entrare e fare come Paolo Rossi». Prima dell’europeo Roberto Mancini aveva spiegato così la sua scelta di portare nella rosa dei 26 Giacomo Raspadori: una convocazione che ha sorpreso molti, vista la mancanza di esperienza internazionale dell’attaccante del Sassuolo.

Il ct ha usato un termine di paragone forte per provare a razionalizzare e giustificare la sua decisione. Lo ha fatto in realtà nel modo migliore possibile: ha costruito un ponte con l’Italia del 1982, cioè quella del Mundial spagnolo vinto a Madrid l’11 luglio, la stessa data della finale degli europei di quest’anno.

Il riferimento a Paolo Rossi è un azzardo, e al momento Raspadori ha giocato solo una manciata di minuti contro il Galles. Ma si tratta di un attaccante che potrebbe tornare utile nella fase a eliminazione diretta e un elemento fuori dagli schemi come la punta del Sassuolo potrebbe fare la differenza. Dopotutto lo stesso Pablito fu praticamente assente nelle prime tre partite di Mundial, pur giocando.

Non solo il legame con Rossi ha un senso, ma è tutta l’Italia di Euro 2020 che ricrea un continuo rimando a storie del passato, peraltro brillanti come quella del 1982.

Lo stesso Mancini aveva detto che per la coesione del suo gruppo non conta chi scende in campo, perché questa squadra ha una sua identità ben definita. Poi ha aggiunto che questa particolarità è riconducibile a due edizioni vincenti della Nazionale, quella del 1982 e quella del 2006. La pressione se l’è messa da solo, dimostrando però anche ambizione e fiducia nei propri mezzi.

Tutta questa Nazionale sembra trovare punti di contatto con il passato. Un passato che in realtà per Mancini, a livello di Nazionale, non così brillante.

Il 1988 sembrava il suo anno, quando il ct Azeglio Vicini convocò in blocco il gruppo che due anni prima era arrivato fino in finale – sotto la guida dello stesso Vicini – agli Europei Under 21: Walter Zenga, Gianluca Vialli, Riccardo Ferri, Giuseppe Giannini, Fernando De Napoli, Roberto Donadoni, e proprio Mancini, cioè quelli che all’epoca erano considerati il futuro della nazionale.

Quel gruppo perse in finale agli Europei di categoria solo contro una grande Spagna, ai rigori. Oggi Mancini ha convocato una parte dell’undici titolare che nel 2013 arrivò in finale, perdendo proprio contro la Spagna, agli Europei Under-21. Sono Verratti, Immobile, Insigne, Florenzi, pilastri della rosa impegnata nel 2021.

Dopo il 1988 il rapporto di Mancini con la Nazionale non sarebbe potuto andare peggio. Ai Mondiali di Italia ‘90 Vicini lo lasciò in panchina per tutto il torneo, senza concedergli un minuto nemmeno nella finalina per il terzo posto.

L’Italia di quelle Notti Magiche, però, è un’altra selezione in cui si ritrova qualcosa della Nazionale attuale. Intanto è una delle poche che aveva un gioco offensivo, una predilezione per il gol. Come ha detto Giuseppe Bergomi a inizio giugno «quella Nazionale era frizzante, leggera, coraggiosa. Oggi Mancini ha conservato la tradizionale solidità difensiva portando però un po’ di quel gioco brillante, offensivo, moderno».

A Italia ‘90 i due attaccanti della Sampd’oro – la Sampdoria che tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90 risultati incredibili – furono solo delle comparse: Mancini, come detto, relegato in panchina; Vialli, frenato dai problemi fisici, non riuscì mai a segnare. Oggi i due sono ancora colleghi, nello staff dell’attuale Nazionale. E tra i collaboratori di Mancini c’è anche Daniele De Rossi, uno che con la maglia azzurra ha vinto i Mondiali tedeschi nel 2006.

Molti di quel gruppo guidato da Marcello Lippi erano cresciuti avendo negli occhi l’impresa del Mundial 1982 (e alcuni facendo i raccattapalle a Italia 90) allo stesso modo i giocatori alla corte di Mancini sono cresciuti con il trionfo del 2006.

E anche l’Italia del 2006 era una squadra che tatticamente e tecnicamente aveva un’identità. Non un gioco particolarmente moderno o spettacolare come la Nazionale di oggi. Però, come ha detto Mancini, era una squadra vera, unita, compatta – proprio come l’Italia di oggi.

Tornando all’attualità, viene da pensare se l’ultima partita del girone – quella vinta contro il Galles per 1-0 – non abbia in realtà complicato il percorso dei ragazzi di Mancini: perdendo l’Italia avrebbe chiuso al secondo posto, traslocando dall’altro lato del tabellone, dove avrebbe incrociato la Danimarca agli ottavi e la vincente tra Paesi Bassi e Cechia eventualmente ai quarti; mentre adesso gli Azzurri se la vedranno con la sorprendente Austria made in Bundesliga e poi eventualmente la vincente di Belgio-Portogallo.

Nel 2016 un’Italia meno qualitativa di quella attuale riuscì a passare prima in un girone non semplice, mettendosi alle spalle il Belgio. In quel modo però finì per affrontare la Spagna agli ottavi e la Germania – che vinse ai rigori – ai quarti. Mentre ai Diavoli Rossi toccarono l’Ungheria e il Galles. Il fatto che poi il Galles avrebbe vinto quel quarto di finale forse è di buon auspicio: fare troppi calcoli potrebbe portare spiacevoli sorprese.

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