L’Italia è stata la miglior squadra degli Europei durante i gironi. Gli Azzurri sono quelli che si sono qualificati apparentemente con minor fatica, esprimendo il gioco più bello e più concreto di tutti, garantendosi il passaggio agli ottavi dopo le prime due partite e sigillando il primo posto – forse con il senno di poi sarebbe stato meglio arrivare secondi, visto il tabellone – nell’ultimo incontro.
Il vero valore aggiunto dell’Italia, rispetto alla concorrenza, è il gruppo. È stato detto più volte: la squadra costruita da Roberto Mancini sembra un club più che una nazionale, tutti sanno mandare a memoria lo spartito, conoscono il proprio ruolo e quando vanno in campo riescono a esprimersi al meglio. È per questo che tra gli uomini di Mancini è difficile trovare un singolo che abbia trascinato la squadra più di altri.
È vero, Ciro Immobile finalmente ha iniziato a segnare con regolarità in azzurro, e Manuel Locatelli è stato devastante nella partita contro la Svizzera. Ma nelle tre partite Mancini ha mandato in campo 25 giocatori diversi ottenendo sempre lo stesso risultato e la stessa risposta convincente dai suoi giocatori.
Si è sempre visto quel gioco basato sul dominio del possesso, le verticalizzazioni improvvise, l’uso fantasioso degli scambi sugli esterni e il pressing alto e tutto il resto. L’identità della squadra è più forte dei singoli: l’Italia non dipende da nessuno, ma sono tutti in qualche modo decisivi.
È un’eccezione, in questi Europei. Le squadre forti sono passate tutte – per la prima volta in un Europeo si qualificano Germania, Francia, Inghilterra, Olanda, Spagna, Belgio e Portogallo – ma tra queste non ce n’è una che non abbia mostro qualche debolezza, almeno una crepa nel suo fortino.
Tutte alla fine sono state trascinate al turno successivo dai colpi dei loro campioni, che hanno dovuto brillare al di sopra del collettivo per necessità più che per conseguenza del gioco di squadra.
Non che il calcio si sia improvvisamente ridotto a gioco individuale: anche chi è decisivo da solo lo è in funzione di una squadra e di un collettivo che devono metterlo in condizione di eccellere. Però a Euro 2020 c’è una sproporzione enorme tra quanto prodotto dai grandi campioni e il resto della squadra. E la scena se la sono presa i protagonisti più attesi, fregandosene delle storie tipiche dei tornei estivi che spesso propongono eroi a sorpresa.
Mercoledì sera è andata in scena la Royal Rumble del gruppo F, quello in cui erano raggruppate le ultime due squadre campioni del mondo e la detentrice del titolo europeo, lo stesso girone in cui la squadra che ha reso al meglio delle sue possibilità è arrivata quarta – cioè l’Ungheria – e in cui Portogallo e Germania sono riuscite a trovarsi in tutte le quattro posizioni di classifica durante gli ultimi 90 minuti.
Proprio in Francia-Portogallo c’è stato un giocatore che è riuscito a incidere forse più dei due marcatori. Paul Pogba è stato il vero attore protagonista: sempre il più presente nel gioco francese, ha servito Kylian Mbappé nell’azione del rigore dell’1-1, ha mandato in porta Benzema con un tracciante di 50 metri per il vantaggio dei Bleus.
Negli ultimi 90 minuti Pogba ha replicato quello che aveva fatto vedere anche negli episodi precedenti: nella vittoria contro la Germania è stato lui a dare a Lucas Hernandez il passaggio decisivo prima dell’autogol di Mats Hummels, ed è sempre stato lui a controllare il gioco e i ritmi della Francia, costringendo gli avversari a muoversi al suo tempo, in un dominio tecnico, fisico e mentale su ogni partita.
Nel girone delle tre superpotenze ogni partita poteva essere determinante e non c’era tempo per rilassarsi. E Cristiano Ronaldo si è acceso subito per trascinare i suoi agli ottavi: il campione di Madeira dai gironi con cinque gol all’attivo, sbriciolando tutti i record di marcature con le Nazionali, diventando primatista praticamente in qualunque classifica.
Nel girone B sono stati Romelu Lukaku e Kevin De Bruyne a elevare il gioco del Belgio, rendendolo probabilmente la squadra più convincente dopo l’Italia. La sensazione, però, è che senza le connessioni tra loro due sarebbe stata un’altra storia.
La partita vinta contro la Danimarca è il miglior esempio. Nel primo tempo il Belgio ha avuto difficoltà a uscire dalla metà campo, ha subito il gol dell’1-0 dopo pochi secondi, poi è parso spaesato e confusionario.
La Danimarca è stata superiore in tutto per 45 minuti e avrebbe probabilmente meritato un vantaggio ancora più ampio. Dopo l’intervallo, però, gli equilibri si sono ribaltati senza appello: il Belgio ha iniziato a macinare gioco, ha costretto i biancorossi a rintanarsi negli ultimi trenta metri e alla fine ha vinto meritatamente.
Dal primo minuto del secondo tempo è entrato in campo De Bruyne, giocando alle spalle di Lukaku. Sono bastati dieci minuti per intuire come sarebbe andata a finire: il centrocampista del City e l’attaccante dell’Inter hanno costruito l’azione del pareggio giocando in verticale per mandare in porta (quasi letteralmente) Thorgan Hazard. Poi Lukaku si è inventato uno slalom nei pressi della linea laterale, ha messo il pallone al limite dell’area e dopo un paio di scambi è arrivato il sinistro di De Bruyne per il 2-1.
Il 9 belga ha dominato le tre partite segnando 3 gol e portando a casa due titoli di Man of the match – il terzo l’ha preso KDB, ovviamente, che ha giocato solo la metà dei minuti totali, ma gli sono bastati per cambiare il volto della sua squadra.
L’Inghilterra, un po’ come Francia e Portogallo, è una delle squadre che ha deluso di più per il gioco espresso in relazione al talento smisurato. In tre partite i Tre Leoni hanno segnato solo 2 volte, hanno spesso girato a vuoto, non hanno subito gol ma hanno rischiato in più di un’occasione. Southgate ha anche cambiato disposizione tattica e uomini per cercare la quadra, portando a casa 7 punti e il primo posto, ma una sensazione di incompiutezza che dagli ottavi – dove inontrerà la Germania – dovrà allontanare.
A risolvere, almeno momentaneamente i problemi, è stato Sterling, che ha segnato gli unici gol della squadra. Anche qui, l’attaccante del Manchester City non ha fatto tutto da solo: Southgate ha costruito una Nazionale in cui è normale che sia Sterling l’uomo chiave in fase di realizzazione, con i movimenti a liberare spazio nella fascia centrale di Kane e il lavoro di rifinitura dei vari Grealish, Foden, Mount. Senza Sterling, però, quest’Inghilterra avrebbe avuto un percorso diverso in quel girone con Scozia, Repubblica Ceca e Croazia.
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La stessa Croazia finalista ai Mondiali è arrivata all’ultima partita con un solo punto in classifica. Nella terza giornata, contro la Scozia, c’era bisogno di qualcuno che accendesse la luce. Allora è salito in cattedra Luka Modric. È suo il gol che ha dato il vantaggio decisivo ai balcanici nel secondo tempo (la prima frazione si era chiusa sul 1-1): un graffio con l’esterno destro per dare alla palla una traiettoria imprendibile. Il tutto in una partita – che per la Croazia era da win or go home – in cui ha giocato 116 palloni, realizzato sette lanci lunghi su dieci tentativi e a tempo perso ha messo giù anche l’assist per il 3-1.
Il discorso fatto per Modric, Pogba, Lukaku, Cristiano Ronaldo, vale anche per altri: da Forsberg della Svezia (3 gol, per il primo posto nel girone della Spagna) a Wijnaldum capitano dell’Olanda (anche per lui 3 gol e primo posto), fino a Schick della Repubblica Ceca (3 gol e qualificazione) o Shaqiri della Svizzera, quest’ultimo determinante con l’assist per Embolo alla prima partita e la doppietta contro la Turchia valida per il passaggio del turno.
Sono tutti, in qualche modo, i volti noti delle rispettive Nazionali, le figurine speciali da attaccare sul diario. Adesso si riparte dagli ottavi, con tutte sfide da dentro o fuori, in cui ogni pallone può essere decisivo. E magari stavolta il protagonista sarà il meno atteso di tutti.