Sorella minoreIl tentativo della Slovacchia di superare il complesso di inferiorità calcistica

Fin dai tempi della Cecoslovacchia, Bratislava ha recitato il ruolo di spalla rispetto al protagonismo di Praga: vale per la politica, l’economia, la cultura, e anche lo sport. Mentre la Cechia aveva successo come Nazionale indipendente, gli slovacchi faticavano a trovare un loro posto nel mondo. Ma forse negli ultimi anni qualcosa sta cambiando

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“Entropa” è un’opera d’arte satirica realizzata nel 2009 dall’artista ceco David Cerny. È stata realizzata per celebrare l’inizio della presidenza del Consiglio dell’Unione europea da parte della Cechia. Si tratta di una specie di puzzle in cui ogni Stato membro viene raffigurato con un simbolo: l’Italia, ad esempio, è rappresentata come un grande campo da calcio in cui i giocatori simulano autoerotismo; il Lussemburgo è “In vendita”, la Svezia una confezione dell’Ikea, mentre i Paesi Bassi sono sommersi dal mare.

L’opera stata molto criticata per il cattivo gusto nella rappresentazione di alcuni Stati. La critica più dura è stata quella della Bulgaria, rappresentata da una latrina alla turca – e non c’è bisogno di spiegare perché i bulgari si sono lamentati.

L’altro Paese a criticare fortemente l’opera è stata la Slovacchia, indicata con una gigantesca salsiccia ungherese. Il motivo del rimprovero da parte di Bratislava è legato alle storiche tensioni tra Slovacchia e Ungheria, ma anche all’orgoglio nazionale di un Paese che nella sua storia ha dovuto lottare per cercare il suo posto nel mondo, prima nell’Impero Austroungarico, poi proprio nella Cecoslovacchia.

Ecco, nella vecchia Cecoslovacchia, Bratislava ha sempre recitato il ruolo di spalla rispetto al protagonismo ceco. La capitale era Praga, che aveva centralizzato il potere politico; il ceco era una lingua più diffusa dello slovacco; e ovviamente i libri di Milan Kundera hanno avuto più successo di quelli di Milan Rúfus. In generale, la maggioranza ceca ha sempre imposto un’idea di uno Stato nazionale unitario in cui le altre minoranze erano considerato di serie B.

Anche sul piano economico le differenze era Cechia e Slovacchia erano evidenti. Se l’attuale Cechia vantava le aree più industrializzate, la Slovacchia era invece prevalentemente agricola. E nel 1991, poco prima della dissoluzione, il Pil pro capite degli abitanti della Cechia era superiore del 20% rispetto a quello della Slovacchia.

C’è un aneddoto che racconta la predominanza ceca sull’etnia slovacca. Nel 1992, durante i negoziati per la dissoluzione della Cecoslovacchia – quella che poi sarebbe passata alla storia come la Rivoluzione di velluto – venne introdotta una clausola che vietava l’uso dei simboli di Stato della Cecoslovacchia da parte di Cechia e Slovacchia.

Solo che oggi la bandiera della Cechia è esattamente quella dell’ex Repubblica: dopo l’accordo, Praga ha scavalcato la legge e ha adottato quella simbologia cambiandole di fatto il significato. È come se, attraverso la bandiera, la Cechia si fosse appropriata anche della storia della Cecoslovacchia.

Anche dopo la dissoluzione in due Stati, la Slovacchia è rimasta una sorella minore, più povera, meno presente sulla scena internazionale, meno rilevante in tutto.

Ancora adesso c’è chi ha difficoltà a individuare la Slovacchia come Stato indipendente. E spesso si fa confusione tra Slovenia e Slovacchia, ignorando completamente natura, storia, tradizione e cultura dell’uno e dell’altro Paese.

George W. Bush in un discorso da presidente ha citato un suo incontro con il ministro degli esteri slovacco, un incontro che però non è mai avvenuto (sì, era ministro sloveno). Nel 2003, Silvio Berlusconi – allora premier – ha presentato il primo ministro slovacco in una conferenza stampa. Era Anton Rop, leader dalla Slovenia.

Lo sport non ha mai fatto eccezione a questa regola. Nella Nazionale di calcio della Cecoslovacchia, fortissima nel secondo dopoguerra, campione europeo nel 1976, la maggior parte dei giocatori più rappresentativi – come Antonín Panenka, l’uomo a cui gli spagnoli hanno intitolato il rigore a cucchiaio – sono cechi.

Anche dopo la dissoluzione la musica non è cambiata. Anzi, la Cechia è stata rilevante fin da subito, come testimoniano gli Europei inglesi del 1996, quando Nedved – poi anche Pallone d’oro nel 2003 –, Poborsky e compagni arrivarono fino alla finale, perdendo solo per il golden goal di Bierhoff.

Mentre ancora nel 2017 ai Mondiali di hockey su ghiaccio in Germania, i tifosi slovacchi hanno dovuto soffocare l’inno sloveno con i fischi.

La Slovacchia ha sempre avuto un rapporto difficile con lo sport. È vero che i pochi successi delle varie Nazionali sono sempre stati celebrati in patria, ma più spesso lo sport è stato fonte di critiche verso gli atleti da parte di tifosi e media.

Marek Hamsik è il calciatore slovacco più famoso della storia della Repubblica indipendente. È la stella della Nazionale, il giocatore più presenze e gol con la maglia dei Sokoli (i falchi). Ma, come ha sottolineato il Guardian, «anche il rapporto di Hamsik con i tifosi non è stato sempre facile. I tifosi della Slovacchia sono stati spesso impazienti in passato con Hamsik, il primo ad essere accusato quando le cose andavano male».

Ultimamente però qualcosa sta cambiando, sia in politica sia nel calcio. L’economia è riuscita a emergere, arrivando quasi a equiparare quella della Cechia nonostante le enormi differenze in partenza. Merito anche dell’ingresso nell’Unione europea (avvenuto il 1º maggio 2004), che ha permesso di rilanciare molti programmi di sviluppo e di aprire il Paese agli investimenti esteri.

Lo sport, come sempre, è un riflesso della società. La generazione di Marek Hamsik, Martin Skrtel (un passato nel Liverpool) e Robert Vittek ha raggiunto il primo grande risultato nella storia del Paese ai Mondiali del 2010, nel girone con l’Italia.

È stata la loro prima partecipazione a un grande torneo, ed è stata un successo: la vittoria nel terzo incontro del girone, proprio contro gli Azzurri, ha garantito la qualificazione agli ottavi di finale, dove la sconfitta per 2-1 contro l’Olanda ha permesso di chiudere la campagna sudafricana con grande soddisfazione.

Quel Mondiale è stato più un lampo che il frutto di una programmazione scientifica di lungo periodo. Già due anni dopo, a Euro 2012, la Slovacchia non c’era. E non avrebbe meritato di esserci: è arrivata quarta nel girone di qualificazione, preceduta da Russia, Irlanda e Armenia – non proprio superpotenze del calcio europeo.

Ma la Nazionale è riuscita a ripartire costruendo un altro grande successo nel 2016, con un gruppo che era un mix tra i reduci del Mondiale del 2010 e alcuni volti nuovi. Era la prima partecipazione agli Europei e la qualificazione agli ottavi di finale – poi persi con la Germania – è un risultato migliore anche delle aspettative dei tifosi.

Oggi la Slovacchia sembra aver trovato la sua dimensione, un gruppo per la prima volta compatto e la leadership ormai indiscutibile dell’unico vero campione avuto in questi anni, Marek Hamsik.

È vero che forse manca un vero e proprio ricambio generazionale che garantisca il futuro di questa formazione, ma il percorso fatto negli ultimi anni non è banale, se non altro perché non c’è una storia, una tradizione o un’esperienza da replicare. È perfino difficile parlare della chiusura di un ciclo e dell’apertura di uno nuovo, per la Slovacchia, perché non c’è un vissuto abbastanza lungo alle spalle.

Oggi alle 18, alla Cartuja di Siviglia, la Slovacchia si gioca il passaggio del turno contro la Spagna. Le Furie Rosse sembrano la versione sbiadita dell’Armada Invencible bicampione d’Europa e campione del mondo, frenata da se stessa e da avversari – Svezia e Polonia – che ne hanno reso il gioco meccanico, lento, prevedibile. Ma la Spagna resta la Spagna, e non c’è un singolo fattore che faccia pensare che la piccola Slovacchia possa fare risultato e passare il turno. Ma intanto sarà lì a giocarsela, faccia a faccia con una delle squadre più forti. Per fare la storia. Ed è già tanto così.