Il mondo sta iniziando a intravedere i primi benefici effetti del 5G, ma per chi ha mire ambiziose è già tempo di pensare alla nuova sfida nel campo delle telecomunicazioni, arrivando preparati per poterla vincere. Chi per primo si dimostrerà in grado di sviluppare e brevettare i servizi della rete 6G, cento volte più veloce del 5G, avrà in mano il controllo di quella che per gli esperti sarà la nuova rivoluzione industriale, con evidenti ricadute geopolitiche. Sarà come se le fiction di fantascienza diventassero realtà. Una realtà che forse non vivremo prima di 15 anni, ma i ricercatori più lungimiranti hanno già un’idea di come potrebbe essere.
Il primo a parlarne era stato Donald Trump nel 2019, ma non era stato preso troppo sul serio. L’ex presidente aveva affidato a un tweet l’urgenza di avere il 6G «il prima possibile».
«L’impresa è talmente importante da poter essere paragonata a una corsa agli armamenti – ha detto a Bloomberg Peter Vetter, uno dei direttori del settore ricerca di Nokia – per restare competitivi è necessario avere un esercito di ricercatori dedicati solo a questo».
Domenica 6 giugno la Cina ha pubblicato il primo libro bianco sulla tecnologia 6G. Il documento evidenzia 8 possibili applicazioni aziendali e 10 tecnologie chiave, oltre che una visione complessiva della rete di sesta generazione. Lo studio, elaborato dalla China Academy of Information and Communications Technology, organizzazione sostenuta dal governo cinese, provvede a «fornire agli operatori del settore una guida chiara e un vantaggio sul piano della ricerca e dello sviluppo».
Come scrive il Global Times, quotidiano che esprime il punto di vista di Pechino, il 6G dovrebbe essere completamente commercializzabile entro il 2030. Mentre si intensifica lo scontro in campo tecnologico tra le sue superpotenze, gli autori dello studio si dicono fiduciosi che la leadership cinese già raggiunta nel 5G potrà estendersi anche al nuovo terreno di confronto, considerato che la Repubblica Popolare avrebbe cominciato a studiare il 6G a partire dal 2019, e dunque prima degli Stati Uniti.
Secondo il documento, la nuova tecnologia potrebbe trovare applicazione in campo medico, favorire i sistemi di trasporto intelligenti, riuscendo a colmare i gap di tecnologia emersi con lo sviluppo della rete di quinta generazione. Potrebbe favorire l’innovazione e la trasformazione digitale delle industrie, aumentandone la produzione, e rispondere alle esigenze di industrie nascenti.
La competizione tecnologica tra Pechino e Washington negli Stati Uniti è una questione bipartisan. L’8 giugno il Senato ha approvato l’Innovation and Competition Act (USICA), destinato a trovare senza problemi anche l’approvazione della Camera e diventare così legge. Il progetto di legge propone un aumento delle spese nel settore dell’innovazione pari a 200 miliardi di dollari per i prossimi cinque anni.
Lo scopo è versare miliardi a favore dello sviluppo di nuove tecnologie per gareggiare e battere la Cina negli anni a venire. Nonostante le relazioni molto tese dell’era Trump e i tentativi statunitensi di raggiungere il primato, la Repubblica Popolare resta leader nel settore 5G e Huawei offre agli acquirenti di tutto il mondo prezzi più bassi.
Ma per il 6G gli Stati Uniti vogliono che la storia sia diversa. «È molto probabile che la competizione per conquistare la leadership per il 6G sarà molto più feroce», ha commentato Vikrant Gandhi, consulente di Frost & Sullivan negli Stati Uniti. Lo scorso ottobre, l’Alliance for Telecommunications Industry Solutions (ATIS), un’organizzazione che sviluppa standard e soluzioni tecniche e operative le tecnologie dell’informazione, ha lanciato la Next G Alliance proprio per concretizzare il primato nordamericano per il 6G. Ne fanno parte Apple, Qualcomm, Google, Samsung Electronics, ma non Huawei.
È un’alleanza che, come spiega Bloomberg, riflette la divisione di campo resa evidente dalla rivalità sul 5G. Una divisione netta tra Paesi alleati di Washington e schierati contro l’azienda di Shenzhen per i presunti rischi legati alla sicurezza e allo spionaggio, accuse sempre respinte da Huawei, e altri che ne hanno accolto i servizi, come la Russia, le Filippine, la Thailandia, molte nazioni in Africa e in Medio Oriente. Anche l’Europa ha i propri piani sul 6G, progetto affidato a Nokia a cui partecipano anche Ericsson e alcune università. In questa sfida Washington intende lavorare con gli alleati asiatici, come Giappone e Corea del Sud. Nella dichiarazione congiunta seguita al vertice tra il presidente americano Biden e il sudcoreano Moon il 6G viene menzionato 3 volte.
Ad aprile il summit tra Joe Biden e il premier giapponese Suga è servito a confermare l’intenzione di cooperare sulle tecnologie «oltre il 5G», investendo peraltro 4,5 miliardi di dollari in questo settore. Gli Stati Uniti investiranno 2,5 miliardi, il Giappone altri 2, denaro che verrà utilizzato per un 6G «sicuro e aperto», in alternativa ai progetti cinesi.
Gli investimenti saranno indirizzati al concetto di “Open RAN”, non propriamente una nuova tecnologia ma piuttosto un cambio di architettura che permette alle reti di essere costruite con componenti sviluppate da venditori diversi. Huawei al momento è il maggior fornitore di questi equipaggiamenti perché controlla il 31% del mercato, secondo Dell’Oro Group, Nokia ed Ericsson sono al numero due con il 15%. Cambiare l’ecosistema delle reti mobili porterà un vantaggio strategico sostanziale agli Stati Uniti, come hanno evidenziato gli analisti di CSIS nel report “Global Networks 2030” dello scorso marzo.
Restano alcune lacune da colmare prima di poter cantare vittoria sul 6G, alcuni ostacoli scientifici da risolvere. Per esempio, resta da capire come le onde che viaggiano a distanze estremamente ravvicinate possano penetrare il vapore acqueo o oltrepassare un foglio di carta.