I disabili non possono prendere la metro perché nelle stazioni non funzionano gli ascensori. I tram devono procedere a passo d’uomo per non deragliare da binari troppo vecchi. Gli autobus si incendiano e i passeggeri sono costretti ad aspettare invano alla fermata. Così a Roma, tra il 2015 e il 2019, le corse di bus cancellate sono triplicate: da 566.779 a 1.626.905.
Nella Capitale chi usa i mezzi pubblici subisce un’umiliazione quotidiana. E chi può, scende di corsa. Solo nel 2019 la linea A della metropolitana ha perso sette milioni di passeggeri. Un dato clamoroso. Non stupisce che sei romani su dieci si muovano in auto o in moto, contro i tre di Berlino e i due di Parigi. D’altronde prima della pandemia, Roma era la terza metropoli al mondo per quantità di ore perse nel traffico: ben 166.
In città molti chiedono la liberalizzazione del trasporto pubblico attraverso gare e bandi. Ma Virginia Raggi continua a ripetere che Atac, l’azienda di proprietà del Comune che gestisce bus, metro e tram, «deve restare pubblica perché solamente con un’azienda pubblica possiamo permetterci un servizio universale che raggiunga tutti i punti della città». In realtà all’orizzonte non c’è nessuna privatizzazione.
«Il servizio rimarrebbe pubblico e il Comune potrebbe scegliere gli operatori che garantiscono le performance migliori al prezzo più vantaggioso. Un esempio? La gara per gestire la metropolitana di Copenaghen, in Danimarca, è stata vinta da Atm, l’azienda dei trasporti pubblici milanesi». Andrea Giuricin, economista dei Trasporti all’Università Bicocca, studia da anni il dossier della mobilità romana. Al telefono con Linkiesta, non ha dubbi: «Quando i politici dicono che Atac deve rimanere pubblica, intendono che deve rimanere sotto il controllo della politica. Parliamo di un’azienda con 11mila dipendenti, a cui bisogna aggiungere famiglie e fornitori. Un centro di potere, un enorme bacino elettorale».
La rivoluzione a Cinque Stelle è scesa a patti con le municipalizzate. E la sindaca in tv sforna annunci per la nuova campagna elettorale. «Abbiamo risanato Atac», assicura. Ma la Corte dei Conti non la pensa allo stesso modo. Nell’ultima relazione sulle partecipate romane, i magistrati contabili parlano di «recupero incerto» rilevando «diffuse criticità» negli equilibri di bilancio.
Dal 2009 al 2019 Atac è costata 9 miliardi di euro tra contributi pubblici e perdite accumulate. Le spese per il personale pesano per il 57 per cento sui costi totali e valgono il doppio dei ricavi da biglietti e abbonamenti. «Atac è un’azienda scelta senza gara che costa tanto e continua a non rispettare il contratto di servizio, nonostante un concordato preventivo che ne ha agevolato il lavoro posticipando i debiti», spiega Giuricin.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Un esempio: nel mese di maggio il servizio tram si è fermato sotto il 60 per cento rispetto agli obiettivi fissati nel concordato. Il calcolo è del Blog di Mercurio, un gruppo di studiosi che ogni giorno monitora l’attività di Atac. Del resto le vetture che circolano sono sempre meno. Nell’ultimo mese, dai depositi sono usciti solo sei dei cinquanta tram più nuovi in dotazione ad Atac. La situazione è paradossale. Il maggior numero di tram in circolazione è rappresentato dai mitologici “Stanga”, immatricolati negli anni Cinquanta. Quelli delle cartoline. L’atmosfera però non è da Vacanze Romane.
La rete tranviaria della Capitale è in condizioni critiche per colpa dell’età dei binari. Atac ha ammesso che oltre il 75 per cento della rete ha dai 25 ai 40 anni, superando così la vita tecnica utile dei binari, pari a 25. In attesa di nuove rotaie, la linea 2 è sospesa da mesi e altre potrebbero essere interrotte a breve. Se non bastasse, in molti tratti i tram devono procedere a passo d’uomo, tra i cinque e i dieci chilometri all’ora, per evitare il deragliamento.
Una beffa, nella Capitale del traffico. A Roma la maggior parte del trasporto pubblico si fa su gomma. E l’inquinamento è solo un dettaglio. A maggio appena il 5 per cento delle corse in superficie è stato effettuato con mezzi elettrici. Il 70 per cento a diesel. Qualche settimana fa Virginia Raggi ha annunciato: «Entro fine 2021 arriveranno altri 62 veicoli a metano». Una buona notizia? Macché. In realtà erano a gasolio. La sindaca aveva promesso anche il ritorno di 60 minibus elettrici per il centro storico, ma oggi ne funzionano solo venti. I filobus, invece, sono diventati rari come i panda. Su 75 in dotazione, in strada ne scendono appena una decina.
La sindaca ha puntato tutto sull’acquisto di nuovi bus: in totale dovrebbero essere 900 alla fine dell’anno. D’altronde il parco mezzi di Atac è obsoleto, con una manutenzione sempre più costosa da sostenere. A dicembre 2020, come rilevato nella relazione della Corte dei Conti, più della metà della flotta aveva un’età uguale o superiore a 15 anni. E la vecchiaia si fa sentire nei modi peggiori. Dal 2016 a oggi sono andati a fuoco quasi 200 bus. Un numero impressionante su cui anche i magistrati contabili hanno chiesto chiarimenti, senza ricevere «specifiche informazioni al riguardo». Ormai i flambus sono diventati una specialità romana, simbolo della Capitale a Cinque Stelle.
Dopo tram e bus, non c’è pace nemmeno per la metropolitana. Nel 2019 le linee A e B hanno perso 8 milioni di passeggeri. Tra questi ci sono anche molti disabili. Per chi deve spostarsi in sedia a rotelle prendere un treno è una missione quasi impossibile. La metà dei montascale non è in funzione, il 25 per cento degli ascensori è guasto. Senza contare che alcune stazioni, come quelle di Castro Pretorio e Policlinico, sono chiuse dallo scorso autunno per la sostituzione delle scale mobili. Il record spetta a Barberini, bloccata per 319 giorni.
Il lieto fine non c’è e il futuro sembra tutt’altro che roseo: la linea A della metro ha per la gran parte binari di quarant’anni, a fronte di un ‘ciclo vita’ di trenta. Tra gli addetti ai lavori c’è chi teme nuovi stop: «Se si fermasse anche la metro, la situazione diventerebbe ingestibile». E a quel punto non resterebbe che attaccarsi al tram.