Una buona notizia sul fronte della produzione nel settore moda arriva da Missoni, marchio storico del Made in Italy che si è ora alleato con ACBC, una start-up meneghina esperta nella produzione di calzature sostenibili. Le nuove sneakers in questione sono caratterizzate da elementi iconici del knit missoniano ma, soprattutto, sono realizzate con materiali ricavati dagli scarti di grano e riciclo di bottiglie di plastica, garantendone così la circolarità.
Il mercato delle sneakers è uno dei settori più attivi e redditizi della moda, con ricadute sull’ambiente però straordinariamente negative.
Le cifre sono impressionanti: 4,3 miliardi di paia di sneakers sono state immesse sul mercato nel solo 2019. In pratica 66 milioni di calzature ogni giorno. Questa produzione è responsabile di un quinto dell’impatto ambientale dell’intera industria della moda e genera l’1,4% delle emissioni globali di carbonio riversate sul pianeta. La stragrande maggioranza delle calzature prodotte finisce in discarica, dove si assestano componenti di derivazione petrolchimica, come l’etilene vinil acetato, sostanza che impiega secoli a degradarsi.
Dietro l’accordo stipulato tra Missoni e ACBC c’è dunque anche la pressione a cui tutti i marchi moda sono sottoposti per fare sempre meglio e sempre di più questa direzione.
Nike, marchio leader in questo tipo di produzione a partire dal 2019, utilizza materiali riciclati nel 76% dei suoi prodotti. A partire dallo scorso 26 febbraio, ha poi proposto la collezione Cosmic Unity prima vera incursione del gigante statunitense nell’abbigliamento sportivo sostenibile.
Anche la nuova Index.01 della francese Salomon è stata pensata a questo scopo. È costruita con due soli materiali: una tomaia in poliestere riciclato e un fondo in schiuma a base di poliuretano termoplastico che può essere in un secondo tempo macinato per riutilizzarlo nella costruzione di scarponi da sci alpino, settore dove Salomon è regina.
Per le sue trainer Futurecraft.Loop, adidas ha scelto di utilizzare solo poliuretano termoplastico, che ha modellato per intersuole e suole, lavorando a maglia tomaie, solette e lacci. Il programma è ancora in fase di prova, ma l’idea è quella di creare un vero e proprio “circuito chiuso”: una volta che le scarpa utilizzata ritorna ad adidas, viene macinata e ricostruita. Il sogno è quello di creare una scarpa che si rinnova costantemente.
Si tratta in ogni caso di capsule produttive che incidono numericamente assai poco sulla produzione totale.
Sotto questo aspetto l’industria calzaturiera è indietro di almeno un decennio rispetto a quel che accade nei restanti settori produttivi della moda. Gran parte di questo ritardo si deve al modo in cui le scarpe sono in genere progettate: una t-shirt può comprendere uno o due tipi di fibre; una singola sneakers, al contrario, può essere costituita da decine di materiali disparati utilizzati per la protezione del piede e per il miglioramento delle prestazioni.
Con le tecnologie attualmente in uso la maggior parte delle scarpe può essere al massimo polverizzata in un pacciame adatto principalmente per la pavimentazione di campi da gioco o piste di atletica.
Non solo: i marchi leader in questo settore sono in gran parte di origine americana o europea, ma la maggior parte della loro produzione è delocalizzata in Asia: due sneakers su tre sono fabbricate in Cina, Vietnam o aree limitrofe, con scarsi o nessun controllo sulle façon. In termini di diritti dei lavoratori, di trasparenza riguardante i materiali utilizzati, e di modelli di business, resta ancora molto da fare.