Eroine trascurateLe donne che crearono l’Italia moderna

Hanno partecipato alla Resistenza, hanno ricostruito un Paese dalle macerie, hanno partecipato ai lavori per la scrittura della nuova Carta. Eliana Di Caro recupera e racconta, in “Le Madri della Costituzione”, le loro storie, coraggiose e innovatrici

di Mauricio Artieda, da Unsplash

Senza le battaglie delle ventuno elette all’Assemblea Costituente, diversi articoli della Costituzione – compresi i principi fondamentali – non sarebbero gli stessi.
Eppure, non sono conosciute e ricordate come dovrebbero. Al di fuori del mondo accademico e di alcune associazioni (legate al mondo femminile e a quello della Resistenza), sono assenti dal discorso pubblico, assenti dai programmi scolastici (salvo qualche eccezione). Ma non sono ignote soltanto alle ragazze e ai ragazzi, l’oblio pare generalizzato.
Persino il Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani, il più completo repertorio delle figure illustri che hanno costruito l’identità del nostro Paese, contiene solo alcuni dei profili. Al netto di ricorrenze e celebrazioni – momenti episodici in cui tornano in primo piano – il silenzio avvolge le Madri della Costituzione.
Questo lavoro, dunque, vuole dare, nel suo piccolo, un segnale per rompere il silenzio e provare a restituire loro un barlume della visibilità che meritano. È un omaggio grato al loro esserci state. Con l’augurio che un’iniziativa di peso, strutturata e permanente, si concretizzi nelle istituzioni: a partire dalla ripubblicazione dei loro scritti, alcuni dei quali difficilmente recuperabili, degli interventi e delle immagini che documentino le energie profuse nel Paese (nelle campagne elettorali, nei Congressi di partito, nelle associazioni politiche, sui giornali, oltre che naturalmente in Parlamento), ma anche raccogliendo testimonianze utili a completare il quadro. Per preservarne la memoria in modo vivo, stimolante, aperto: proprio come erano loro.

Teresa Mattei (1921 – 2013), comunista

Il primo, impetuoso atto di rifiuto del regime fascista risale a quando ha 17 anni ed è tra i banchi del blasonato liceo Michelangiolo a Firenze (i Mattei si erano trasferiti a Bagno a Ripoli nel 1933): mentre il professor Santarelli si diffonde sulla necessità delle leggi razziali, di colpo lei si alza e dice «Esco, perché queste cose vergognose non le posso sentire».

Una ribellione che le costa l’esclusione da tutte le scuole del Regno. Solo grazie a Calamandrei, che riesce a trovare una smagliatura nella legge, potrà concludere il liceo sostenendo l’esame da privatista. Si iscrive a Lettere e Filosofia, tra i suoi professori figura Giovanni Gentile, ma intanto nel 1940 scoppia la guerra.

Due anni dopo Teresa milita nel Partito comunista assieme al fratello maggiore Gianfranco che si è trasferito a Milano e insegna chimica al Politecnico, ma presto si dedicherà a tempo pieno alla Resistenza. Con la caduta di Mussolini, anche lei intensifica il proprio impegno in un gruppo di antifascisti della sua facoltà, che dopo l’8 settembre si struttura per la clandestinità. È in questa fase che conosce Bruno Sanguinetti, tra i promotori della lotta partigiana a Firenze e Roma, futuro padre dei suoi primi due figli.

Nel febbraio successivo c’è una prima, forte cesura nella sua vita: il fratello, trasferitosi a Roma dove si erano spostati anche i genitori e incaricato dai comunisti romani di allestire un deposito di bombe e munizioni per la lotta armata dei Gap (Gruppi di azione patriottica), viene catturato e portato nel carcere di via Tasso con Giorgio Labò.

Torturato a lungo, senza pietà, Gianfranco, per il timore di non reggere e fare i nomi dei compagni, si impicca con la cintura dei pantaloni dopo aver lasciato un biglietto (Teresa Mattei lo riceverà da Giorgio Amendola e Sandro Pertini): «Carissimi genitori, per una disgraziatissima circostanza di cui si può incolpare solo il fato avverso, temo che queste saranno le mie ultime parole. Sapete quale legame di affetto ardente mi lega a voi, ai fratelli ed a tutti. Siate forti sapendo che io lo sono stato. Vi abbraccio».

Teresa corre a Roma, non sa ancora del gesto del fratello, ma il camion sul quale era riuscita a trovare un posto per il viaggio viene colpito e fermato dai tedeschi, l’arrestano e la portano a Perugia. I militari la violentano tutta la notte. Riesce miracolosamente a fuggire, si rifugia in un convento e da lì finalmente può tornare a Roma e ritrovare i genitori, annichiliti dal dolore.

A quel punto, la sua motivazione a combattere è fortissima. Il nome in codice Chicchi, a dispetto dell’apparenza frivola, è quello di chi rischia in operazioni ardite: il 4 giugno fa saltare in una galleria un convoglio di 12 vagoni carichi di tritolo, pronti a essere usati dai tedeschi. Anche qui l’epilogo è rocambolesco. Chi era con lei, il compagno Dante, inciampa ed è travolto dall’esplosione.

Teresa scappa in bicicletta, tallonata dai nazisti. Trova riparo all’università, dove sono in corso le discussioni di laurea e prega il professor Eugenio Garin di inscenare la propria discussione. Lei è convincente, tanto che non solo inganna gli inseguitori ma porta a casa anche il titolo. In questo 1944 così tumultuoso va ricordato anche un altro fatto, destinato a suscitare polemiche e strumentalizzazioni: in primavera aveva fornito a Sanguinetti l’indicazione di chi fosse Giovanni Gentile – lo avevano incrociato e il professore l’aveva salutata – e due membri dei Gap, il 15 aprile, avevano freddato il filosofo, ideologo del regime. Teresa Mattei racconterà la dinamica dell’accaduto molti anni dopo in un’intervista al Corriere della Sera (2004).

Sul finire della guerra, Teresa Mattei comanda la brigata intitolata al fratello Gianfranco: guida 50 partigiani nelle fasi pericolosissime che precedono la liberazione di una Firenze in ginocchio tra le macerie, nell’agosto del ’44.

È tra le prime aderenti all’Unione donne italiane (Udi), facendo parte del comitato direttivo, e s’impegna molto per la concessione del diritto di voto alle donne e per convincere le italiane che esercitarlo è determinante per le loro vite. Con la sua storia e la sua personalità, non può che entrare nella direzione del partito, che la candida alla Costituente: viene eletta nel collegio di Firenze–Pistoia con 5.299 voti ed è subito nominata segretaria dell’ufficio di presidenza. A 25 anni è la più giovane dell’Assemblea ma, come immaginabile, certamente non la più timida.

È pronta a rimettere al proprio posto chi è inopportuno, come Monsignor Barbieri, che in abito talare il primo giorno si aggira nel Transatlantico. Alla Buvette, come lei stessa racconta, l’apostrofa con queste parole: «Che bella ragazza. E così giovane. Come ci fa piacere avere finalmente le gonnelle tra di noi. Venga che le offro io il caffè», prendendola sotto braccio. Ma lei si svincola e lo fulmina: «Le uniche gonnelle ammesse qui dentro sono le mie, non le sue!», e se ne va.

Teresa mostra lo stesso carattere e la stessa prontezza negli interventi in Aula. È rimasto celebre quello sull’emancipazione della donna, il 18 marzo 1947. Vale la pena di leggerlo tutto, qui se ne citano pochi, significativi passaggi. La soddisfazione di partecipare alla stesura di una Costituzione in cui «trova posto, nell’articolo 7 (diventerà l’articolo 3, ndr), la necessaria affermazione della completa eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e politiche», è seguita dal monito di chi sa guardare lontano e leggere le insidie che potrebbero ostacolare il processo virtuoso: «Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo. (…) Le donne italiane desiderano qualche cosa di più, qualche cosa di più esplicito e concreto che le aiuti a muovere i primi passi verso la parità di fatto, in ogni sfera, economica, politica e sociale, della vita nazionale».

E poi, l’affondo sul mancato accesso delle donne alla magistratura, una battaglia che le Costituenti perderanno ma la cui strada, per lo meno, sarà aperta: «Anche ammesso, come speriamo, che il futuro ordinamento giudiziario sia ben migliore di quello vigente, noi non possiamo ammettere che alle donne, in quanto tali, rimangano chiuse porte che sono invece aperte agli uomini. Sia tolto ogni senso di limitazione e sia anzi affermato, in forma esplicita e piena, il diritto delle donne ad accedere, in libero agone, ad ogni grado della Magistratura, come di ogni altra carriera».

da “Le Madri della Costituzione”, di Eliana di Caro, Il Sole 24 Ore edizioni, 2021, pagine 224, euro 14,90 (disponibile dal 10 giugno)

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