Per andare da Cotignola a Firenze dovevamo attraversare l’Appennino e al Passo della Futa trovammo ancora la neve; la strada era brutta assai, ma i paesini che attraversavamo erano silenziosi e, con nostro gran piacere, non si vedeva nessuno in giro.
Sapevamo che dappertutto si nascondevano i partigiani e che, di quando in quando, i tedeschi facevano rastrellamenti e feroci rappresaglie; e temevamo ogni incontro. Ma tutto filò liscio, questa volta, e arrivammo alle porte di Firenze molto presto; pronti a un primo controllo che avrebbe messo alla prova la validità dei nostri documenti e la nostra faccia tosta.
Ma il camioncino della Cooperativa Muratori era conosciuto perché tutti i giorni portava gli operai, e nessuno chiese di verificare chi c’era dentro.
Così entrammo in città: quanto era diversa Firenze da quella che ricordavo io, piena di forestieri e di allegro movimento! Ora la gente camminava frettolosa e guardinga, ed erano per lo più donne, di uomini non se ne vedevano. Però l’apparenza era ancora di una certa tranquillità perché ben poche erano le case bombardate.
Eravamo diretti alla casa di un amico di Guido, e ci sapevamo attesi, ma io ero ben conscia che il nostro arrivo avrebbe portato loro disagio e preoccupazione e per questo non mi facevo troppe illusioni sull’accoglienza che avremmo ricevuto. Infatti gli amici Palmieri erano ben più consapevoli dei pericoli cui andavano incontro nell’accoglierci, di quanto non lo fossero Mario e Gigina al nostro arrivo a Cotignola, ciò nonostante ci ricevettero sorridenti e cercarono subito di metterci a nostro agio mostrandoci la camera in cui avremmo potuto dormire «per una sera o due» e un vasto stanzone vuoto dove sistemare valigie e provviste.
Che strani e confusi ricordi mi sono rimasti di quella casa e di quella famiglia! Il padre era ufficiale e lavorava alla farmacia militare, quindi aveva tutte le sue carte in regola e non troppo sospettabile, lo si vedeva poco in casa, era burbero e simpatico. La moglie, una buona massaia sempre alle prese con i problemi domestici, era contenta del contributo che potevamo portare alle razioni giornaliere, senza dover troppo pesare sulle loro assottigliate riserve.
Uno dei figli, studente, scriveva commedie ed era sempre in cerca di qualcuno disposto ad ascoltare qualche brano: c’era Luisella per questo. La bambina, che il giorno stesso del nostro arrivo, mentre preparava il tavolo, per l’agitazione lasciò cadere una pila di dieci o dodici piatti, con terribile fracasso e ancor più terribile occhiata materna!
Erano tutti pronti ad aiutarci, pieni di comprensione per la nostra situazione, ma mi auguravo di poter partire presto, di toglierli da uno stato di disagio e di preoccupazione. Erano buoni, non si sarebbero tirati indietro, ma non erano eroi e avevano quattro figli. Non dovevamo assolutamente approfittare troppo della loro bontà e partire al più presto.
Per questo Guido si era dato da fare subito per cercare gli amici dell’Eiar indicati da Rita. Era uscito, contento, fiducioso che nella grande città nessuno l’avrebbe riconosciuto, animatissimo all’idea di poter di nuovo agire, organizzare, definire tutto per la nostra partenza.
Secondo le notizie che ci avevano fatto avere, i camion che trasportavano avanti e indietro i funzionari viaggiavano due volte alla settimana, quindi se non oggi, sarà domani o dopodomani al massimo! Dovevamo tenerci pronti a partire da un momento all’altro.
Forse tra due o tre giorni saremo a Roma! E lì, nella città immensa, con l’aiuto di Rita, riusciremo a nasconderci fino al giorno dell’arrivo degli Alleati, giorno che non può essere lontano, ormai.
Ma ecco che Guido ritorna a casa, il suo sorriso baldanzoso si è spento, ci guarda con tristezza e le parole stentano a darci le notizie, che è dunque successo?
Ecco da ieri, proprio da ieri, sono sospesi i viaggi dell’Eiar tra Roma e Firenze; i bombardamenti sulle strade si sono fatti continui e terribili, non si può più far spostamenti di funzionari: ancora una volta il nostro ritardo sembra esserci fatale, e questa notizia di per sé buona perché preludeva, ne eravamo certi, a una rapida occupazione di Roma, ci gettava nello sconforto e nella disperazione. Ma per Guido non poteva durare più di un attimo questa debolezza e subito ci disse: «C’è anche un’ottima notizia, sono arrivate delle altre carte di identità, Rita non si dà per vinta e qualche cosa riuscirà certo a escogitare!».
Ecco dunque, non siamo più dei milanesi, dei settentrionali, che vogliono andare a Roma, e perché? A Roma da cui tutti i cosiddetti benpensanti sono già fuggiti da tempo, a Roma proprio adesso che gli Alleati sono alle porte?
No, siamo di Cava dei Tirreni, bella città che non abbiamo mai visto e che ha il pregio di essere al Sud, per cui potremmo anche trovare una spiegazione non del tutto inverosimile ai nostri spostamenti. Però il nostro bell’accento piemontese dove lo mettiamo? Su questo riusciamo ancora a scherzare e a fare coi bambini le solite prove di memoria circa i nomi e le origini…
da “Ci salveremo insieme. Una famiglia ebrea nella tempesta della guerra”, di Ada Ottolenghi, il Mulino, 2021, pp. 182, € 15,00