Cittadini di domaniIl romanzo che racconta la prossima dittatura digitale

Mattia Conti ne “Gli amanti sommersi” (Solferino libri) racconta gli anni ’30 del duemila in cui l’Italia sarà dominata da un regime paramilitare e tecnologico. Prenderà piede una nuova teoria della razza, ma ci sarà una forma particolare di resistenza

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Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai
viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e
non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore
e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente
piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno
a te, e tutte nella stessa sequenza e successione.

Friedrich Nietzsche, La gaia scienza

Dal Libro degli amanti

Una scarpa carminio, la usava per ballare. Il tacco in sughero è smussato. In una giornata di sole, lui le aveva limato anche l’altro, per livellarli. Il lembo del vestito troppo largo penzola da un ramo come una bandiera. Nei giorni di vento sembra un uccello di fuoco. La sua borsa è sul fondo del lago, il cuoio sgualcito, la stringe ancora.

Certe notti la luce della luna buca la superficie e irradia i fondali. Attraversa la materia rivelando bolle bianche, insenature, grotte. Non la illumina mai, ma, da dov’è lei, si può distinguere l’ovale bianco del satellite.

Quando erano vivi la luna era lontana ma l’acqua ora annulla le distanze. L’altra scarpa è ancora sul suo piede sinistro, impiastrata di alghe. La sua spilla si è sganciata un giovedì, una corrente l’ha fatta rotolare sul fondale, poi l’ha sollevata. Scintillante nel buio, una trota l’ha ingerita credendola un insetto. Se l’è portata appresso una stagione, nuotando fino a Menaggio, per farsi pescare con un’esca di mollica. In una cassa con altri pesci, ha fatto il giro del lago.

Al Grand Hotel di Bellagio una massaia dalle mani a chela si è punta col tesoro, stillando una sola goccia rubino. Ora quella spilla ce l’ha addosso sua nipote Sveva. L’aveva scelta lui, era un dono. Sveva la mette alle feste comandate. Il resto dei giorni la appoggia nel suo portagioie. Il gioiello torna a vivere ogni domenica mattina, alle nove e mezza in punto. È a quell’ora che l’acqua scintilla al Pizzo di Cernobbio, solo per un istante, sulla superficie.

Glauco Parte Prima

Ispeziona l’appartamento una seconda volta. Si aggiusta gli occhiali sul naso, il ponte punge tra gli occhi. L’arredamento è scarno ma dignitoso. La geometria del piccolo angolo cottura è rotta da una stria di acqua e di schiuma. Scivola a terra, allargandosi. Le pareti sono dipinte di un rosa saturo, fastidioso. Stampe di fiori esotici appese di fianco alla finestra. Le tende turchesi vengono mosse appena dall’aria. Ristagna una vaga puzza di ferro e di corpi; l’odore della morte gli è familiare.

Lo sguardo si blocca. Non se n’era accorto. Strano: un essere umano secco, buttato sul divanetto, come un sacco vuoto. È lei? Lo fissa schiudendo l’occhio. La pupilla le luccica come se piangesse. Allontana una mosca con la mano, le dita come stecchi. È una cavalletta con le zampe spezzate. Valigetta, guanti sterili. Flacone uno. Poche ore e sarà in volo per l’Italia. E se la morte cercasse lui? Potrebbe trattarsi di una trappola.

Esca, topo, molla: sua zia ne costruiva di simili. Luigino sottoterra, tienimi un posto a sedere. La civiltà, fuori da quella casa, gli sembra lontana: potrebbero tritarlo, infarinarlo, farne polpette tonde al curry e venderle al mercato. Beato il leone che mangia l’uomo, perché si farà uomo.

Si immagina su una zattera, affacciato a una cascata. Lo sciabordio dell’acqua, la vertigine. Si inginocchia accanto a lei. Ago, stantuffo. Tiopental sodico. Molto, la farà sognare. Si volta verso la finestra. Teme di individuare una sagoma spiarlo da dietro la tenda. Non c’è nessuno. Gli arriva solo il rumore delle bancarelle. Sconosciuti accalcati sulla merce. I respiri, il parlottare sommesso, cicalano come insetti. Potrebbero entrare a frotte e seppellirlo, come le cimici lo scorso inverno.

Alcol, cotone. Le tende il braccio; uno schiocco d’ossa e poi la molle resistenza della carne. La ragazza non emette alcun suono, forse non ha neanche un odore. Il lombrico della vena risplende sottopelle. «Your name?» La voce di lei è uno schiaffo. Ora lo fissa, in attesa. Non lo ha riconosciuto, sarà la stanchezza, forse la mascherina.

Finalmente ritrova in Ninì qualcosa di familiare: la totale rassegnazione nello sguardo. Ha un sorriso sfinito, sulle labbra l’alone rattrappito della saliva. «Glauco. I’m the doctor.» Ora zitta, pensa. Spinge con il pollice. Per non guardarla in viso, fissa la valigetta. Le fauci metalliche sorridono come una tagliola. Pancuronio. Lo sguardo gli sfugge di nuovo su di lei.

Ha la testa reclinata sulla destra, le ciocche umide, nere, le coprono le guance e il naso. Dissolto ogni indizio di bellezza. Una goccia luccica, impigliata alle ciglia scure. Punta l’indice sulla carotide, risponde una pulsazione vigorosa. È una ragazza forte. È la prima volta, che lo fa, ma la mano non gli trema. Ogni nervo è al suo posto. La cascata ferma il flusso, la zattera risale lenta la corrente. Respira il proprio alito caldo, irrancidito.

Con la prossima iniezione le paralizzerà il diaframma. I suoi polmoni diventeranno spugne tossiche di anidride carbonica. Palloncini pronti a esplodere. Cosa si prova nel trapasso? Tenacia, rabbia e poi abbandono. Forse un secondo di serenità. Prepara già anche l’iniezione successiva perché la cosa sia rapida. Il cloruro di potassio la condurrà all’arresto cardiaco. «Il tempismo è tutto» così gli hanno detto. «Non essere avaro con il tiopental.» Il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo.

Ha letto che in Cina, nei furgoni della morte, le esecuzioni avvengono in tempo reale, fuori dai tribunali. Possono essere seguite in diretta tv dai membri del Congresso, grazie a un sistema video a circuito chiuso. Ci stanno provando anche in Italia, un po’ alla volta. Canali tematici. Ancora un poco e il malvagio scompare: cerchi il suo posto, ma lui non c’è più.

Ecco, si immagina la sua Delegazione riunita intorno a un tablet sul volo di ritorno. I loro occhi tondi, avidi, a nutrirsi della sua incertezza mentre infila l’ago in vena.

Non sa cosa ne sia lì, in Thailandia, di chi aiuta a morire. Nel suo caso, comunque, vigono altre leggi. Sente le galline lottare in cortile. Emettono suoni simili a starnuti, grida. La ragazza sobbalza, come le udisse. Il suo corpo si tende per intero, poi crolla, rilassandosi.

Glauco si alza spazzolandosi con il palmo i pantaloni. Un’ultima occhiata per accertarsi di non aver lasciato nulla dietro di sé. Gli scivola lo sguardo sulla morta sudata, composta. Sotto l’indice ha il fastidio dell’ultimo battito prima del silenzio. È solo un corpo. Deve permettere alla luce di entrare, apre la tenda di colpo. Glielo raccontava Ploy, che i defunti devono incrociare la luce appena trapassati. Avverte il bisbiglio dei phi, i fantasmi della terra. La ragazza ora è un grumo di energia inespressa, potrebbe sfiorarla nell’aria, inspirarla e poi soffiarla fuori. Lo fa: leva la maschera e respira profondamente, lo spettro cristallino gli inumidisce i polmoni.

Ora lo emette e lo libera, una volta per tutte. Si accorge dell’altro quando ormai è alla porta. Prima ne avverte la voce, un miagolio sommesso. Per vederlo deve abbassarelo sguardo. Il bambino cammina dandogli le spalle: una testa scura, due gambe da nano. Marcia verso il corpo sul divanetto, deciso, prima di arrestarsi. Resta in osservazione, non osa toccarla. Riprende a miagolare. Quando si volta verso di lui, punta dritto ai suoi occhi, cercando una risposta.

Glauco apre la porta, la corrente d’aria agita le tende azzurre. Sembrano ricamate a mano. Il sole lo abbaglia, gli impedisce di distinguere subito i contorni del cortile. Ciondola. È completamente pacificato ma non riesce a mantenere l’equilibrio. Danzatore di un film muto. Investe una delle galline, che apre le ali e rotola via. Il rumore del fiume, un odore di fango, inizia a riprendere possesso di sé. Si fa spazio tra la calca del mercato. Inciampa in un vecchio, pelle tesa sulle narici, sembra già morto: un teschio con orbite piene, denti e fiato. Cerca di parlargli ma Glauco passa oltre, gli avambracci alzati per impedire a chiunque di bloccarlo. È un volatile, è la gallina. Li sente mugugnare, dietro. Accelera. Nel van l’autista sorride, beffardo, con la sua faccia da ragazzino. Occhiali da sole e i capelli fissati dal gel. Accende il motore e solleva il vetro. L’aria condizionata è al massimo, Glauco si copre la gola con i palmi, come se si volesse strangolare. Mentre schizzano verso l’aeroporto, non resiste alla tentazione di voltarsi.

Di fronte all’ingresso dell’appartamento, ora, c’è una piccola folla. Un ragazzo corre veloce dietro il loro mezzo agitando le braccia, la fossa della bocca spalancata in un grido. Ora la moglie di Lot si guardò indietro e divenne una statua di sale.

da “Gli amanti sommersi”, di Mattia Conti, Solferino libri, 2021, pagine 304, euro 18